di: Mario Michele Merlino
Dalla
piccola stazione di Réthondes, nella foresta di Laigle, ad una decina
di chilometri da Compiègne, nel dipartimento dell’Oise, partiva un
binario che si biforcava all’interno del bosco. Qui si incontrarono le
due delegazioni, il mattino dell’8 novembre 1918, quella degli alleati
guidata dal maresciallo Ferdinand Foch e quella tedesca dall’ex ministro
Matthias Erzberger. Le condizioni imposte, non negoziabili, erano
qualcosa di più che l’inesorabile iato tra i vincitori, tronfi del
successo, e i vinti, umiliati e dimessi.
La sera stessa il Kaiser Guglielmo II prendeva la via
dell’esilio dopo aver rimesso la carica di Cancelliere nelle mani
dell’ex sellaio Friedrich Ebert, capo riconosciuto del socialismo
tedesco. Era la vergogna di novembre (November-schande, come la definì
Adolf Hitler), avvertita dai soldati in armi quale Dolchstoss (pugnalata
alle spalle). Soprattutto, quando rientrando in patria avvertirono il
loro sacrificio deriso e offeso. E, allora, portarono il filo spinato la
trincea le bombe a mano il senso virile del cameratismo e se ne fecero
bandiera – la vecchia bandiera bianca nera e rossa – da opporre a quanti
l’avevano calpestata…
Le
notizie di quel novembre, cupo, così improvvise e dissacranti giunsero
fino all’ospedale della cittadina di Pasewalk in Pomerania, dove giaceva
al riparo da ogni raggio luminoso il Gefreiter (di prassi lo si
definisce caporale anche se il termine più esatto indica un soldato
scelto) Adolf Hitler. Nella notte del 14 ottobre il reparto in cui
militava, 7° compagnia del 16° reggimento bavarese di fanteria di
riserva, venne bloccato da uno sbarramento britannico su una collina a
sud di una località di nome Werwick.
Nell’occasione gli inglesi
adoperarono un gas capace di produrre gravi irritazioni agli occhi e
alle vie respiratorie. Alcuni commilitoni vi rimasero uccisi, ‘verso il
mattino – come egli stesso racconta – anch’io fui preso da dolori…
alcune ore più tardi i miei occhi erano come tizzoni ardenti, e tutto
intorno a me s’era fatto il buio’. L’esperienza del fronte e le modalità
della resa rimarranno incise per sempre. Mentre molti degli altri
ricoverati attendevano la fine della guerra – e molti ne gioivano –,
egli s’illudeva ancora nella vittoria possibile, in una resa onorevole
nel peggiore dei casi. ‘… all’improvviso e senza alcun segnale
d’avvertimento, la tragedia si abbattè’.
Dopo
il fallito attentato del 20 luglio del ’44 ad opera degli ufficiali per
eliminarlo e giungere – illusi – ad un accordo con gli alleati e,
magari, combattere al loro fianco contro i sovietici, la repressione si
rese feroce e spietata tramite liste di proscrizione tribunali del
popolo il filo d’acciaio del pianoforte per eseguire molte delle
condanne a morte. Di suo pugno egli cancellò il nome dello scrittore
Ernst Juenger, capitano a Parigi, pur se il suo reale coinvolgimento
appare marginale, memore dell’eroe della Grande Guerra e autore, fra
l’altro, di Tempeste di acciaio (In Stahlgewittern).
Pagava così il
debito alla Kameradschaft, allo spirito della trincea, al cameratismo, a
chi, come Juenger appunto, ne aveva scritto in risposta a tutti coloro
che, si pensi A niente di nuovo sul fronte occidentale di Remarque, ne
avevano tratto note dolenti e sofferte, scadendo in un pacifismo vile e
di maniera. Simile al poeta Rainer Maria Rilke, che annunciava
l’indissolubile ‘identità tra terrore e piacere’, così il giovane
tenente di un plotone del 73° fucilieri d’Hannover rammentava come
‘avevamo lasciato aule universitarie, banchi di scuola, officine; e
poche settimane d’istruzione militare avevano fatto di noi un sol corpo
bruciante d’entusiasmo. Cresciuti in tempo di sicurezza e tranquillità,
tutti sentivamo l’irresistibile attrattiva dell’incognito, il fascino
dei grandi pericoli. La guerra ci aveva afferrati come un’ubriacatura’.
E, al termine del conflitto, egli poteva annoverare venti ferite e
vantare la più alta decorazione, la Pour le Mérite…
Furono
i reduci della Grande Guerra l’ossatura del Fascismo in Italia con lo
squadrismo e in Germania con le ‘squadre d’assalto’, le S.A.. Erano
uomini che non avevano dismesso lo spirito di gruppo la coesione che si
determina sulla linea di fuoco il fango i pidocchi la sfida; forse
avevano acquisito una certa brutalità (lavacro purificatore quale
lievito della storia), strafottenti e irridenti il sangue e la morte,
propria e dell’avversario. La cosiddetta ‘terra di nessuno’ s’era
trasformata, assalto dopo assalto, in una nuova e al contempo antica
patria, la Heimat, da amare possedere conquistare.
Ebbero giovani capi,
sovente i medesimi ufficiali del fronte, che li condussero alla
vittoria. Poi ‘la politica’ li mise da parte li relegò dietro le quinte
(si legga, ad esempio, Il soldato postumo di Marcello Gallian) … ma
questa è altra narrazione, legata alle necessità agli accordi alle
istituzioni al realismo del presente con qualche compromesso di troppo e
forse troppo sovente (che non sempre paga e il Fascismo italiano lo
conobbe bene con il 25 luglio prima e con la mattanza del 25 aprile nel
suo epilogo tragico ed esaltante).
(Divagazione
sul tema o quasi. Inverno del 1983. Vado con Sandro al cinema Gioiello a
vedere il film Rambo con Sylvester Stallone. Il reduce dal Viet-Nam con
i suoi incubi la solitudine l’emarginazione e il rifiuto della società
americana di farsi carico della sconfitta. La reazione contro il sopruso
e la battaglia contro lo sceriffo ottuso e la cittadina simbolo della
sua esclusione. Poi, nelle sequenze finali, il rottame psichico il
pianto il bambino a cui è stato sottratto il giocattolo. Il soldato
americano… Uscendo al termine della proiezione, ci assalgono le immagini
le vecchie fotografie i fogli ingialliti i resoconti le testimonianze
il BL 18 che corre su strade sterrate gli squadristi in camicia nera
bastoni e bombe a mano, i canti e il fiasco di vino che passa di mano
oppure la pioggia che scorre fitta e continua, cielo grigio mura grigie
di anonimi caseggiati di quartieri popolari di Berlino, il ‘rosso’
Wedding, e gli uomini dei Freikorps in armi nella patria tradita. Altri
tempi, si dirà, no, altra razza…).
Negli
anni del conflitto, raccontano testimoni e lo riconoscono gli storici,
Adolf Hitler fu un uomo felice e un soldato coraggioso. E, aggiungiamo,
fortunato. In più occasioni fu sfiorato dalla morte tanto che si fece in
lui tenace convinzione d’essere protetto da un destino superiore. Vi
doveva essere una ragione precisa, un motivo ancora oscuro e non
definito, ma egli era sicuro di rappresentare, come ebbe a dire nel 1938
‘uno degli strumenti della Provvidenza’. (L’uso che egli fece del
termine per indicare il suo ruolo nel superiore e grandioso disegno
della storia non va confuso con quanto proposto dalla dottrina
cristiana, qui vi aleggia l’antico, primordiale, dominante Fato di cui i
greci disvelarono la presenza). Se il fronte aveva dato un senso alla
sua esistenza, accanto al vivo sentimento mai dimentico dell’arte, la
fine della guerra – e il modo come s’era verificata – gli ‘impose’ di
restare nella Reichswehr, assegnato al campo di Traunstein – già
destinato ai prigionieri russi – a circa cinquanta chilometri da Monaco.
La
capitale della Baviera era, insieme a Berlino, il laboratorio di quel
caotico mondo di conflitti che stava attraversando la Germania, fra le
spinte estreme sul modello del Soviet, il pangermanesimo (si pensi alla
Società di Thule) e tanta utopia, di sanguinosi accadimenti resi famosi
dall’espressione der Krieg nach dem Kriege (dopo la guerra, la guerra).
Il soldato sconosciuto Adolf Hitler scoprì, allora, una doppia vocazione
di cui egli stesso fa rivelazione: ‘Ich aber beschloss, Politiker zu
werden’ (come già s’era detto quando ancora giaceva nel letto
d’ospedale, ‘decisi di darmi all’attività politica’). Inviato dal
comando militare, a tenere sotto controllo i vari movimenti politici,
egli – la sera del 12 settembre 1919 – partecipò in incognito ad una
riunione del DAP (Deutsche Arbeiterpartei), il partito dei lavoratori
tedeschi guidato dal meccanico delle ferrovie Anton Dexter nel retro
della birreria Sterneckerbraeu. Quel piccolo partito, alla riunione vi
erano meno di quaranta persone, sarebbe divenuto nelle mani dello stesso
Hitler i partito nazionalsocialista. La seconda vocazione, una sorta di
naturale magnetismo, applicato con innovative tecniche di propaganda e
alla coscienza del compito assegnatogli dal destino, con cui avrebbe
affascinato un popolo intero e dato un volto nuovo alla Germania, fu di
saper dominare con la parola chiunque gli fosse di fronte, uno cento
mille milioni di ascoltatori. ‘Ich konnte reden! (sapevo parlare!).
Non
citerò, per l’ennesima volta, il Platone delle Leggi – certo, però, che
a Monaco, in quei mesi, anni di un dopoguerra apparentemente senza fine
ebbe inizio quell’avventura, con i suoi errori e orrori compresi, che
avrebbe segnato la storia d’Europa e, fra le macerie di Berlino, maggio
’45, la sua fine (così l’interpretava Adriano Romualdi e, al contempo,
ne auspicava la rinascita). E, nel novembre del ’23 (forse ne scriverò
in seconda battuta), il ‘fallito’ putsch con i suoi sedici caduti sotto
il fuoco della polizia alle spalle della loggia dei marescialli (la
Feldherrnhalle). Eppure quello scacco fu anch’esso un inizio – stupore
degli dei risorti in armi.
Circondatosi di ex commilitoni, di uomini con
il fronte nella mente e nel cuore, egli li pensò li volle li portò in
battaglia ‘veloci come levrieri, resistenti come il cuoio, e tenaci come
l’acciaio Krupp’. Un branco di lupi nella notte, ululanti alla luna, in
attesa dell’aurora germanica…
fonte: ereticamente.net
anche steiner partecipò alle "trattative" alla fine della grande guerra, propose la sua antroposofia e la triarticolazione sociale per ricostruire un'europa giusta su una base spirituale ed ancestrale, non fu ascoltato, come altri, ma il piano che comprendeva la seconda guerra e la terza era già stato scritto da decenni, esattamente come la distruzione culturale e spirituale grazie ad una completamente inutile politica di immigrazione, l'unica speranza è l'insorgere di quei popoli ancora non corrotti che stanno fra la russia bianca ad est, la germania l'austria l'ungheria e parte dell'italia. Solo questi hanno la possibilità la cultura la necessità e l'esperienza per fermare questo disastro che porterebbe un salto all'indietro di secoli.
RispondiEliminajj
non sarà vana attesa perchè come dice il titolo molti sono:
Come lupi nella notte, in attesa dell’aurora