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mercoledì 23 settembre 2015

IMMIGRAZIONE: GLI SCHIAVI DI RISERVA DEL CAPITALISMO





Nel 1973, poco prima di morire, il presidente francese Georges Pompidou ha ammesso di aver aperto le cateratte dell’immigrazione, su richiesta di un certo numero di grandi imprenditori, come Francis Bouygues, che era desideroso di approfittare di manodopera docile ed economica, priva di coscienza di classe e di qualsiasi tradizione di lotta sociale. 

Questa mossa aveva lo scopo di esercitare una pressione al ribasso sui salari dei lavoratori francesi, ridurre il loro zelo nel protestare, e in aggiunta, spezzare l’unità del movimento operaio. I grandi capi, aveva detto, “vogliono sempre di più.”



Quaranta anni dopo non è cambiato nulla. In un’epoca in cui nessun partito politico oserebbe chiedere un’ulteriore accelerazione del ritmo di immigrazione, solo i grandi imprenditori sembrano essere a suo favore – semplicemente perché è nel loro interesse. L’unica differenza è che i settori economici interessati sono ormai più numerosi, andando oltre il settore industriale e il settore alberghiero e della ristorazione – per includere ora professioni una volta “protette”, come ingegneri ed informatici.

La Francia, come sappiamo, a partire dal XIX secolo, allungò la mano in maniera massiccia per immigrati stranieri. La popolazione immigrante era già di 800.000 unità nel 1876, e raggiunse 1,2 milioni nel 1911. L’industria francese fu il principale centro di attrazione per gli immigrati italiani e belgi, seguiti da immigrati polacchi, spagnoli e portoghesi. “Tale immigrazione, non qualificata e non sindacalizzata, permise ai datori di lavoro di eludere crescenti esigenze relative al diritto del lavoro” (François-Laurent Balssa, Un choix pour les grandes salarial entreprises – Le Spectacle du monde, Ottobre 2010).

Nel 1924, su iniziativa del Comitato per le Miniere di carbone e dei grandi agricoltori dal nord-est della Francia, venne fondata un “agenzia generale per l’immigrazione” (Société Générale d’immigrazione). Questa aprì uffici di collocamento in Europa, che operavano come pompe di aspirazione. 

Nel 1931 c’erano 2,7 milioni di stranieri in Francia, vale a dire il 6,6% della popolazione totale. A quel tempo la Francia mostrava il più alto livello di immigrazione nel mondo (515 persone su 100.000 abitanti). “Questo fu un modo pratico per un gran numero di grandi imprenditori di esercitare una pressione al ribasso sui salari. … Da allora il capitalismo ha partecipato al concorso per la forza lavoro per arrivare agli eserciti di riserva dei lavoratori dipendenti.”

All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, gli immigrati cominciarono ad arrivare sempre più frequentemente dai paesi del Maghreb; prima dall’Algeria, poi dal Marocco. Camion noleggiati da grandi aziende (in particolare nel settore automobilistico e delle costruzioni) venivano a centinaia per reclutare immigrati sul posto. Dal 1962 al 1974 quasi due milioni di immigrati aggiuntivi arrivarono in Francia, di cui 550.000 reclutati dal Servizio di Immigrazione Nazionale (ONI), un’agenzia statale, ma controllata sotto banco dalle grandi imprese. Da allora, l’onda ha continuato a crescere. François-Laurent Balssa osserva che quando si verifica una carenza di forza lavoro in un settore, tra le due possibili scelte o si dovranno aumentare gli stipendi, o si dovrà entrare in contatto con manodopera straniera. Di solito era la seconda opzione ad essere favorita dal Consiglio Nazionale dei datori di lavoro francesi (CNPF) e dal 1998 dal suo successore, il Movimento delle imprese (MEDEF). 

Tale scelta, che testimonia il desiderio di benefici a breve termine, ritardò il progresso degli strumenti di produzione e l’innovazione industriale. Durante lo stesso periodo, tuttavia, come dimostra l’esempio del Giappone, il rifiuto dell’immigrazione straniera e il favorire la forza lavoro nazionale consentiva al Giappone di raggiungere la propria rivoluzione tecnologica, ben prima della maggior parte dei suoi concorrenti occidentali.







LE BANLIEUE PARIGINE, I QUARTIERI GHETTO FRANCESI, DOVE LA CRIMINALITA' E IL DEGRADO COSTITUISCONO IL QUOTIDIANO. NESSUNA INTEGRAZIONE MA ANZI AL CONTRARIO DEGRADO E BANDE RIVALI CON SFONDO RAZZIALE, CHE SI AMMAZZANO PER IL CONTROLLO DELLA DROGA. LA MISERIA E LA DEGRADAZIONE RIGUARDANO SIA CHI VI ABITAVA PRIMA, CHE GLI SCHIAVI DI IMPORTAZIONE, STESSE SCENE E STESSO COPIONE SI PUOSSONO NOTARE IN TUTTE LE ALTRE CITTA' COSIDDETTE "MULTICULTURALI"; IL SIMBOLO DI QUESTE SOCIETA'  FALLITE E DEVASTATE RESTA SEMPRE L'AMERICA, DOVE IL MULTICULTURALISMO CHE VORREBBERO ESPORTARE DIMOSTRA CON I FATTI IL FALLIMENTO DI QUESTE SOCIETA', MA NATURALMENTE SAPPIAMO CHE L'ERRORE NON E' CASUALE, MA VIENE PERPETRATO PROPRIO DA CHI VUOLE TRARRE I BENEFICI DAL CAOS ETNICO IMPOSTO CON L'INGANNO E LA PROPAGANDA DEGLI IMPOSTORI MEDIATICI,I LORO VILI SERVI  DI TALI PIANI DI DOMINIO.


















Il grande business e la sinistra; una Santa Alleanza

 
All’inizio, l’immigrazione era un fenomeno legato alle grandi imprese. E continua ad essere così. Coloro che reclamano sempre più immigrazione sono le grandi aziende. Questa immigrazione è in linea con lo spirito del capitalismo, che mira alla cancellazione delle frontiere («laissez faire, laissez passer»). “Mentre obbedendo alla logica del ribasso sociale, continua Balssa, era stato così creato un mercato del lavoro “low cost” con i “senza documenti” e “poco qualificati”, che funzionavano come tappabuchi “tuttofare”. 

Così, le grandi imprese davano la mano all’estrema sinistra, le prime con l’obiettivo di smantellare lo stato sociale, considerato troppo costoso, la seconda distruggendo lo stato-nazione considerato troppo arcaico. “Questa è la ragione per la quale il Partito comunista francese (PCF) e il sindacato francese (CGT) (che sono cambiati radicalmente da allora) avevano combattuto, fino al 1981, contro il principio liberale delle frontiere aperte, in nome della difesa degli interessi della classe operaia.

Per una volta un ben ispirato liberal-conservatore cattolico, Philippe Nemo, non fa che confermare queste osservazioni:

In Europa ci sono persone responsabili dell’economia che sognano di portare in Europa manodopera a basso costo. In primo luogo, per fare lavori la cui forza lavoro locale scarseggia; in secondo luogo, per esercitare una notevole pressione al ribasso sui salari degli altri lavoratori in Europa. Queste lobbies, che possiedono tutti i mezzi necessari per essere ascoltate dai loro governi o della Commissione di Bruxelles, sono, in generale, sia a favore dell’immigrazione che dell’allargamento dell’Europa – il che faciliterà notevolmente le migrazioni di manodopera. Hanno ragione dal loro punto di vista – una visione dalla logica puramente economica […] 





Il problema, tuttavia, è che non si può ragionare su questa questione solo in termini economici, in quanto l’afflusso della popolazione extra-europea ha anche gravi conseguenze sociologiche. Se questi capitalisti prestano poca attenzione a questo problema, è forse perché godono di grandi benefici economici dell’immigrazione, senza però   soffrire i suoi contraccolpi sociali. Con i soldi guadagnati dalle loro aziende, la cui redditività è assicurata in questo modo, essi possono risiedere in bei quartieri, lasciando i loro connazionali meno fortunati a far fronte da soli con la popolazione straniera nelle zone suburbane povere. (Philippe Nemo, Le Temps d’y penser, 2010)

Secondo le cifre ufficiali, gli immigrati che vivono in famiglie regolari rappresentano 5 milioni di persone, che era l’8% della popolazione francese nel 2008. I figli di immigrati, che sono discendenti diretti di uno o due immigrati, rappresentano 6,5 milioni di persone, che è l’11% della popolazione. Il numero di clandestini è stimato tra 300.000 a 550.000. (L’espulsione di immigrati clandestini è costata 232 milioni di euro all’anno, vale a dire, 12.000 € per ogni caso). Da parte sua, Jean-Paul Gourevitch, stima la popolazione di origine straniera che vive in Francia nel 2009 di 7,7 persone milioni (di cui 3,4 milioni provengono dal Maghreb e 2,4 milioni dall’Africa sub-sahariana), vale a dire 12,2% della popolazione metropolitana. Nel 2006, la popolazione immigrante rappresentava il 17% delle nascite in Francia.
La Francia sta oggi sperimentando insediamenti migranti, che è una conseguenza diretta della politica di ricongiungimento familiare. Tuttavia, gli immigrati rappresentano più che mai l’esercito di riserva del capitale.

In questo senso è sorprendente osservare come le reti dei “senza documenti”, gestite dall’estrema sinistra (che sembra aver scoperto nei suoi immigrati “sostituto proletariato”) servano gli interessi del grande capitale. Le reti criminali, i contrabbandieri di persone e merci, le grandi imprese, gli attivisti dei “diritti umani” e i datori di lavoro in nero – tutti loro, in virtù del libero mercato globale, sono diventati ragazze pon pon per l’abolizione delle frontiere.

Ad esempio, è rivelatore il fatto che Michael Hardt e Antonio Negri nei loro libri Empire e Multitude approvino la “cittadinanza mondiale” quando richiamano alla rimozione delle frontiere, che deve avere come primo obiettivo nei paesi sviluppati l’insediamento accelerato delle masse di lavoratori del Terzo Mondo a basso salario. Il fatto che la maggior parte dei migranti di oggi debbano il loro dislocamento all’esternalizzazione, determinata dalla logica infinita del mercato globale, e che il loro spostamento è esattamente qualcosa per cui si adopera il capitalismo al fine di adattare chiunque al mercato, e, infine, che ogni attaccamento territoriale possa far parte di motivazioni umane – non preoccupa per niente questi due autori. Al contrario, essi notano con soddisfazione che “il capitale stesso richiede una maggiore mobilità del lavoro, nonché la migrazione continua oltre i confini nazionali”. 

Il mercato mondiale dovrebbe costituire, dal loro punto di vista, un quadro naturale per la “cittadinanza mondiale”. Il mercato “richiede uno spazio liscio di flusso senza restrizioni e deterritorializzato”, destinato a servire gli interessi delle “masse”, perché “la mobilità comporta un prezzo di capitali, che vuol dire desiderio maggiore di libertà”.







Il problema con tale scusa dello spostamento umano, visto come prima condizione di “nomadismo liberatorio”, è che si basa su una prospettiva completamente irreale della situazione specifica dei migranti e degli sfollati. Come scrivono Jacques Guigou e Jacques Wajnsztejn, “Hardt e Negri si illudono con la capacità dei flussi migratori, pensati come una fonte di nuove opportunità per la valutazione del capitale, nonché come base per il miglioramento della possibilità delle masse. Eppure, le migrazioni non significano nient’altro che un processo di concorrenza universale, considerando che migrare ha un valore non più emancipativo dello restare a casa. Una persona “nomade” non è più incline alla critica o alla rivolta rispetto a una persona sedentaria”. (L’Evanescence de la valeur. Une Présentation du groupe critica Krisis, 2004).

“Finché le persone continuano ad abbandonare le loro famiglie, aggiunge Robert Kurz, e cercare lavoro altrove, anche a rischio della propria vita – solo per essere, in ultima analisi, triturate dal tapis roulant del capitalismo – saranno sempre meno araldi di emancipazione e più agenti compiaciuti dell’Occidente postmoderno. In realtà, essi rappresentano solo la sua versione miserabile”. (Robert Kurz, L’Empire et ses théoriciens, 2003).

Chi critica il capitalismo, pur approvando l’immigrazione, la cui classe operaia è la sua prima vittima, farebbe meglio a stare zitto. Chi critica l’immigrazione, pur rimanendo in silenzio sul capitalismo, dovrebbe fare lo stesso.




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