ADOLF HITLER LA STORIA MAI RACCONTATA
TRADOTTO DA: GIANPAOLO PUCCIARELLI
Ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la possibilita' di vivere.... Assistiamo a questo straordinario spettacolo: la stessa Chiesa alleata ai suoi piu' acerrimi nemici. La Chiesa non vuole, a Roma, un'altra forza, preferisce degli avversari deboli a degli amici forti.
Io sono come il grande clinico che non ha saputo fare la cura esatta e che
non ha piu' fiducia dei familiari dell'importante degente. Molti medici si
affollano per la successione. Molti di questi sono gia' conosciuti per inetti;
altri non hanno che improntitudine o gola di guadagno. Il nuovo dottore deve
ancora apparire. E quando sorgera' dovra' riprendere le ricette mie. Dovra'
solo saperle applicare meglio.
Lasciate passare questi anni di bufera. Un giovane sorgera'. Un puro. Un capo
che dovra' immancabilmente agitare certe idee. Collaborazione e non lotta
di classe; carta del lavoro; la proprieta' sacra fino a che non diventi un
insulto alla miseria; cura e protezione dei lavoratori, specialmente dei vecchi
e degli invalidi; cura e protezione della madre e dell'infanzia; assistenza
fraterna ai bisognosi; moralita' in tutti i campi; lotta contro l'ignoranza
e contro il servilismo verso i potenti; esaltazione dello spirito di orgoglio
di essere italiano; Abolizione di ogni dogana; libero commercio fra paese
e paese, regolato da una convenzione;
moneta unica; educazione in profondita'
e non, purtroppo in superficie, come e' avvenuto per colpa degli avvenimenti
e non per deficienza ideologica. Liberta' di pensiero, di parola e di stampa?
Si', purche' regolata e moderata da limiti giusti, chiaramente stabiliti.
Senza di che, si avrebbe anarchia e licenza. E ricordatevi soprattutto la
morale deve avere i suoi diritti. Sara' un giovane a fare tutto questo. Io
non saro' piu', ma la storia mi dara' ragione."
Benito Mussolini
di: Fabio Calabrese
Come è consuetudine da tre quarti di secolo, l’Italia si appresta anche quest’anno, il 25 aprile, a festeggiare la sua sconfitta nella seconda guerra mondiale.
Senza girarci intorno, se continua a esserci imposta questa festività grottesca, è perché, in buona sostanza, essa è la festa della sinistra, della parte “rossa”, dei “vincitori” che continuano a dominare l’Italia a dispetto di qualsiasi risultato elettorale.
l'omicidio del giudice Falcone fu voluto da ambienti internazionali; l'esecuzione fu progettata e attuata da uomini di servizi esteri (sicuramente ex militari dei corpi speciali) , con l'aiuto di manodopera locale, servizi italiani e mafie, che poi dovevano fungere da capro espiatorio da dare in pasto all'opinione pubblica;
Giovanni Falcone doveva essere eliminato perché divenuto una minaccia, essendo arrivato a capire seguendo conti correnti, transazioni di soldi e vari collegamenti, chi sono i veri poteri che governano l'Italia dal 1946 in poi; era arrivato a capire come funziona la gestione della colonia Italia con prove reali tramite il terrorismo, mafie, politica, media,servizi segreti, massonerie e banche, quest' ultime collegano tutti tramite il denaro che viene fatto transitare.
L'esecuzione doveva essere spettacolare e sproporzionata, per dare un messaggio preciso alla classe politica di allora, ricordiamo a tutti che dopo l'esecuzione di Falcone e la sua scorta, si avvio la decimazione dei politici che non si piegavano tramite l'operazione mani pulite, dove vennero annientati interi partiti della vecchia politica, per poi avviare la svendita delle aziende statali italiane, la globalizzazione, la finanziarizazione degli stati, e il progetto europeo (BCE) che negli anni successivi vide la sua nascita.
In questo contesto, la mafia è uno strumento dell’oligarchia atlantica
per perseguire obiettivi addirittura in contrasto con gli interessi di
Cosa Nostra: è infatti assodato che la stagione stragista debilitò
gravemente Cosa Nostra, “spremuta” nella strategia della tensione del
1992-1993 fino quasi a svuotarla. Allargando l’analisi, non si può certo
definire un’eccezione l’impiego del crimine organizzato da parte degli
angloamericani: anzi, sembrerebbe quasi una costante della storia italiana. Del
biennio 1992-1993 abbiamo detto a sufficienza: passiamo ora in rassegna
gli altri momenti cruciali del Bel Paese, verificando se ci sia o meno lo zampino della malavita.
Sequestro di Aldo Moro, 16 marzo 1978: è ormai appurato che la ‘ndrangheta abbia partecipato al commando12
che rapì il presidente della DC, reo di turbare gli assetti
internazionali con la sua apertura al PCI. Non solo, il capo della Nuova
Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, ha ammesso che avrebbe potuto
salvare Moro se i servizi segreti non si fossero opposti3. Piazza Fontana,
12 dicembre 1969: la strage che inaugura la strategia della tensione è
perpetrata dalla destra eversiva di Franco Freda, in stretto contatto
con la ‘ndrangheta. Omicidio di Enrico Mattei, 1962: è Cosa Nostra a sabotare all’aeroporto di Catania Fontanarossa4 il velivolo su cui trovò la morte il presidente dell’ENI, scomodo alle Sette Sorelle. Sbarco angloamericano in Sicilia del 1943:
è il mafioso Lucky Luciano a facilitare la conquista dell’isola e
papaveri di Cosa Nostra presenziano anche all’armistizio di Cassibile,
che sancisce la fine delle ostilità tra l’Italia e gli Alleati. Sbarco di Giuseppe Garibaldi a Marsala, 1860: i “picciotti” danno un contributo determinante alla spedizione di Mille, benedetta e protetta da Londra.
Cosa sono dunque la mafia, la camorra e la ‘ndragheta? Perché affiorano in tutti i passaggi della storia italiana a fianco di Londra e Washington. Perché sono sovente associate ad un’altra organizzazione segreta di matrice anglosassone, la massoneria speculativa?
Sul crimine organizzato che flagella il Meridione e l’Italia sin dal 1861
sono state condotte migliaia di inchieste giudiziarie, diverse
inchieste parlamentari, sono stati scritti migliaia di libri e girati
migliaia di film e documentari: ci campano non soltanto i malavitosi, ma
anche i “professionisti dell’antimafia” che pullulano nei tribunali,
pennivendoli del calibro di Roberto Saviano ed il variegato mondo di
preti, intellettuali e soloni che ruota attorno alla “lotta alla mafia”.
Toccare l’argomento non sarebbe solo inutile, ma addirittura dannoso,
se non fosse possibile dare un contributo originale e chiarificatore: si rischierebbe soltanto di alzare altra polvere.
È il mestiere, detto per inciso, per cui sono profumatamente pagati
giornalisti, pubblici ministeri, politici e membri delle forze
dell’ordine. Se anche noi quindi ci occupiamo di Cosa Nostra e delle sue
sorelle, è perché abbiamo la presunzione di avere perlomeno intuito la vera natura del crimine organizzato: la vera natura di quella mafia che, come notò lo stesso Giovanni Falcone, presenta forti analogie con le Triadi cinesi, la malavita turca e la Yakuza giapponese (nata dopo l'occupazione militare del giappone da parte degli alleati NDR).
Servendoci del solito procedimento di comparazione con realtà simili, di un respiro storico più che giornalistico e di un approccio “geopolitico”,
indispensabile per capire quali attori operano in una determinata area e
quali sono i loro interessi, siano giunti alla nostra definizione di
mafia, camorra ed ‘ndragheta: sono società segrete paramassoniche dedite al crimine, vere e proprie “sette” che rispondono alle logge inglesi ed americane, sin dalla loro origine agli inizi dell’Ottocento.
Sia chiaro: è una verità perfettamente nota agli “addetti ai lavori”
(vertici della mafia, politici, Grande Oriente d’Italia, CIA, MI6, etc.
etc.), spesso intuita e talvolta accennata da onesti magistrati e seri
studiosi. Non ci risulta però che nessuno abbia sinora affrontato
l’argomento in maniera così esplicita ed organica come stiamo per fare,
colmando così quella che ci sembra una lacuna dell’autocoscienza nazionale.
Cominciamo col porre il quesito chiave: perché le mafie si sviluppano in tre regioni meridionali quasi contemporaneamente,
tra gli anni ‘10 e ‘30 dell’Ottocento? Le risposte più frequenti,
quelle fornite per stendere una cortina attorno al fenomeno, sono di natura socio-economica
e si ripetono ossessivamente dal 1861 ad oggi: l’arretratezza del
Meridione, il retaggio della dominazione spagnola, la presenza del
latifondo, le mentalità della popolazione, la diffusione di miseria e
povertà, etc. etc.. Sono risposte fuorvianti, se non errate tout court: il reddito pro-capite del Regno delle Due Sicilie era paragonabile a quello del resto d’Italia5,
la povertà simile a quella di alcune zone del Piemonte e del Veneto che
non produssero crimine organizzato, la dominazione spagnola aveva
interessato pure la “civilissima” Lombardia e altre regioni meridionali
persino più povere (come il Molise e la Basilicata) non conobbero le
mafie, che germogliarono invece in due ricche capitali come Palermo e
Napoli.
Per scoprire le autentiche origini del fenomeno mafioso occorre
tuffarsi nella storia, accantonando analisi pseudo-economiche, per
afferrare le forze vive e la geopolitica dell’epoca: è lo stesso procedimento che abbiamo usato per dimostrare come l’ISIS, il sedicente Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, non sia altro che uno strumento degli angloamericani per balcanizzare il Medio Oriente e dividerlo lungo faglie etniche e religiose, piuttosto che il frutto spontaneo del fondamentalismo islamico o la naturale conseguenza dei “regimi dittatoriali”.
Tra la fine del Settecento ed i primi anni dell’Ottocento, il mondo è
in fiamme per la guerra tra Francia rivoluzionaria e le altre monarchie
europee: la rivoluzione francese, in cui Londra ha
giocato un ruolo determinante (si pensi agli “anglofili” come Honoré
Mirabau, il Marchese de La Fayette e Philippe Égalité), è sfruttata
dagli inglesi per liquidare la Francia come grande potenza marittima, estendere i propri domini in India e rafforzare l’egemonia su un’area chiave del mondo: il Mar Mediterraneo,
da unire in prospettiva al Mar Rosso ed all’Oceano Indiano con il
canale di Suez. Il Regno di Napoli, di fronte all’avanzata delle truppe
rivoluzionarie francesi, è costretto ad aprire i propri porti alla flotta inglese, senza
sapere che, così facendo, firma la sua condanna a morte: gli inglesi
sbarcano infatti coll’obiettivo di rimanerci anche dopo la guerra,
installandosi così nello strategico Sud Italia
che presidia il Mar Mediterraneo. Per un certo periodo, gli inglesi
diventano addirittura padroni del Regno: quando infatti il francese
Gioacchino Murat si insedia a Napoli, il re Ferdinando IV si rifugia in
Sicilia protetto dagli inglesi e Lord William Bentinck governa l’isola come un dittatore de facto.
Arriviamo così alle origini di Cosa Nostra. Scrive un grandi esperto di mafia come Michele Pantaleone (1911-2002):
“Il brigantaggio, comune alla Sicilia come al resto dell’Italia meridionale, si risolveva nell’attività di bande mal coordinate e spesso contrapposte (…). Soltanto dopo il 1812, quando il potere feudale venne praticamente eliminato, il brigantaggio per bande assunse una funzione, per così dire, sociale. È storicamente documentato che lo spirito di mafiosità sorse in concomitanza con la formazione delle famigerate compagnie d’armi, create dalla baronia siciliana nel 1813 a difesa dei diritti feudali. (…) È in questo periodo, dunque, che – tra il 1812 ed il 1850 – prende forma lo spirito di mafiosità. Il suo epicentro è nel palermitano e di qui si irradia verso la Sicilia orientale con manifestazioni più sfumate, via via che si allontana dalla capitale.”Il 1812 è un anno citato in tutti i testi di storia sulla mafia. È l’anno in cui il “dittatore” Lord William Bentinck impone al re esule a Palermo l’adozione di una Costituzione sulla falsariga di quella inglese, in comune accordo con i baroni siciliani: gli stessi baroni che creano quelle “compagnie d’armi”, prodromi della futura mafia. Strane davvero queste “compagnie”, “consorterie” o “sette” che iniziano a pullulare dopo il 1812: presentano singolari analogie con la massoneria speculativa che gli inglesi innestano ovunque arrivino: segretezza, statuti, rituali d’iniziazione, mutua assistenza, diversi gradi di affiliazione, livelli sconosciuti agli altri aderenti. E poi la pretesa di non essere volgari criminali, ma “un’aristocrazia del delitto riconosciuta, accarezzata ed onorata”, proprio come i massoni si definiscono gli “aristocratici dello spirito” in contrapposizione all’antica nobiltà di sangue. “Mafia” nei rioni di Palermo significa “bello, baldanzoso ed orgoglioso”.
La Restaurazione reinsedia Ferdinando IV, ora Ferdinando I
delle Due Sicilie, sul trono di Napoli. Il re non perde tempo a revocare
(1816) la Costituzione scritta dagli inglesi, considerata come
un’insidiosa minaccia alle sue prerogative: i germi inoculati
dagli inglesi, le misteriose sette criminali che dalla periferia di
Napoli e Palermo si irradiano verso i palazzi di baroni e notabili però
crescono. Corrodono il Regno delle Due Sicilie dall’interno, emergendo come un vero Stato nello Stato:
trascorreranno poco meno di cinquantanni prima che contribuiscano in
maniera determinante allo sfaldamento del Regno borbonico. È tra il 1820
ed il 1830 che lo scrittore Marc Monnier (1829-1885) situa la comparsa a Napoli di una misteriosa setta paramassonica, la “bella società riformata”, dedita ad attività illecite: è la futura camorra, che nel 1842 scrive il primo statuto definendo i vari gradi di affiliazione sulla falsa riga della libera muratoria, da “giovanotto onorato” a “camorrista”, passando per “picciotto di sgarro” e così via. Quasi contemporaneamente, al di là dello Stretto di Messina, la mafia è già ad uno stadio avanzato, perché nel 1828 il procuratore di Girgenti scrive dell’esistenza di un’organizzazione di oltre 100 membri di diverso rango, “riuniti in fermo giuramento di non rilevare mai menoma circostanza delle operazioni”. Idem per la ‘ndrangheta in Calabria.
Nel 1848 Londra incendia l’Europa usando come cinghia di trasmissione la solita massoneria speculativa: è la “Primavera dei popoli”,
cui seguiranno tante altre primavere di complotti, da quella di Praga
del 1968 a quella Araba del 2011. Nel Mar Mediterraneo gli inglesi si
adoperano per staccare la Sicilia, avamposto strategico per ogni
operazione militare e politica in quel quadrante, dal Regno Borbonico: i
“baroni”, gli stessi che comandano le malfamate “compagnie d’armi”,
insorgono contro Ferdinando II, proclamando decaduta la corona borbonica
ed affidandosi alla corona d’Inghilterra, disposta a difendere
l’indipendenza dell’isola. Il contesto internazionale non è però
favorevole alla secessione dell’isola e Ferdinando II reprime manu militari l’insurrezione,
guadagnandosi l’appellativo di “re bomba”, dipinto dalla stampa
anglosassone come un sanguinario ed illiberale despota. Le carceri, che
già allora sono il principale centro di propagazione delle mafie, si riempono di patrioti-liberali e “picciotti”, uniti dal comune retroterra massonico: si saldano così legami che saranno presto utili.
I rapporti tra Napoli e Londra, già deterioratesi con la questione degli zolfi, sono ai minimi termini, convincendo che Ferdinando II che è opportuno rafforzare i legami con la Russia, allora acerrima rivale geopolitica degli inglesi : sono gli anni del Grande Gioco e Londra e San Pietroburgo si sfidano in Eurasia per l’egemonia mondiale.
Quando nel 1853 scoppia la guerra di Crimea, il Regno delle
Due Sicilie rimane rigorosamente neutrale e nega addirittura alle navi
inglesi e francesi dirette verso Sebastopoli di attraccare nei propri
porti per rifornirsi. Il primo ministro inglese, Lord Palmerston, non ha dubbi: il Regno Borbonico, nonostante la grande distanza geografica, è diventato un vassallo della Russia. Chi partecipa alla “Guerra d’Oriente” è invece il Regno di Sardegna, consentendo così al primo ministro, Camillo Benso, conte di Cavour, di acquisire un ruolo da protagonista nell’ormai imminente riassetto dell’Italia: la storiografia certifica che Cavour, da buon reapolitiker qual è, non ha in mente “l’unità” della Penisola, bensì “l’unificazione” doganale, economica e militare di tre regni autonomi.
Camillo Benso, conte di Cavour |
Le strade e le grandi città sono invece passate
sotto il controllo del crimine organizzato: “i picciotti”, che agiscono sempre in sintonia con i “baroni”,
danno un aiuto determinante all’avanzata dei Mille. Il Regno delle Due
Sicilie, svuotato da uno Stato parallelo che è cresciuto dentro lo Stato
di facciata, si squaglia rapidamente: Reggio Calabria non oppone alcuna
resistenza, mentre Napoli precipita nel caos, lasciando che il vuoto di
potere sia colmato la camorra, lieta di accogliere Garibaldi e le sue truppe. Nasce così il Regno d’Italia, che ancora oggi paga il prezzo del suo peccato originale. È uno Stato strutturalmente debole, nato senza possedere il monopolio della violenza, costretto a convivere con due gemelli siamesi, le mafie e la massoneria speculativa, che non solo altro che meri strumenti in mano a chi ha davvero orchestrato l’Italia unita: l’impero britannico.
L'italia e sopratutto il sud Italia per la sua posizione geo-strategica nel mediterraneo è da sempre nelle mire dei potentati esteri, impensabile non tenere conto di questo fattore e di chi vuole tenere sottomessa la nostra nazione.
Londra non è certo animata da nobili sentimenti: ha defenestrato i
russofili Borbone per sostituirli con i fedeli Savoia, ha creato a Sud
delle Alpi una media potenza da opporre alla Francia (si veda la
Triplice Alleanza), ha partorito uno Stato sufficientemente robusto da
reggersi in piedi, ma altrettanto debole da non insidiare la sua
egemonia sul Mar Mediterraneo. Le stesse mafie che hanno corroso il
Regno delle Due Sicilie sono lasciate infatti in eredità allo Stato
unitario: è un’eredità avvelenata, finalizzata a compiere una perdurante opera di destabilizzazione nel Meridione, cosicché non possa mai sfruttare il suo enorme potenziale geopolitico di avamposto verso Suez, il Levante ed il Nord Africa.
Le mafie come strumento inglese di destabilizzazione non sono una peculiarità del Sud Italia. Si considerino ad esempio le Triadi Cinesi che smerciano nell’Impero Celeste quell’oppio
per cui Londra ha addirittura combattuto una guerra (1839-1842): le
analogie con la mafia, come già notato da Giovanni Falcone, sono
incredibili. Tatuaggi, mutua assistenza, omertà, segretezza, riti
d’iniziazione, diversi gradi di affiliazione, struttura piramidale:
anche le Triadi sono sette criminali paramassoniche e, non a caso, quando i comunisti prenderanno il potere nel 1949, ripareranno nella colonia britannica di Hong Kong.
“La storia della mafia coincide con l’introduzione dell’ordinamento liberale e democratico nella comunità civile (…). Lo stato liberale e democratico enuncia diritti (statuti e costituzioni) ed assume l’impegno di farli valere ugualmente verso tutti. Di fronte a tale “pretesa” la mafia si configura, nello stato liberale, come un quid anomalo, come un conato di potere locale, come un mini-stato che non si eleva mai al rango di antistato, ma solo di co-stato, condizione ammessa, eccezione consentita e tollerata”.
I governi democratici e liberali, sono solo il potere legale dei criminali, dei corrotti e degli usurai di poter depredare e sottomettere i popoli e le nazioni;
le capre alzate (mafiosi) sono come da tempo proclamiamo un nemico interno, al servizio dell'invasore, annientare senza pieta questa cloaca di sub umani e vili traditori è una delle prime cose da fare per liberare il nostro paese, questo paese deve essere liberato tramite il ferro e il fuoco non ci può essere altra soluzione.
Mafia ed “ordinamento liberale”, si è visto con la
costituzione del 1812 patrocinata da Lord William Bentinck, procedono di
pari passo. Non c’è alcun dubbio che “l’Italia liberale” fondata nel
1861 sia terreno fertile per lo sviluppo del crimine organizzato: mafia,
camorra ed ‘ndrangheta si sviluppano nelle rispettive regioni come
Stati paralleli a quello unitario, prosperando più che ai tempi del
Regno delle Due Sicilie: massoneria e mafie, benedette da Londra, sono i motori dell’Italia liberale, un edificio che sembra spesso vicino al crollo,
totalmente ripiegato su se stesso.
La mafia contribuisce a mantenere
l’Italia in un perenne stato di fibrillazione, guidando ad esempio la rivolta del “sette e mezzo” che paralizza la Sicilia nel 1866, quasi l’antefatto di quel 1992 che abbiamo recentemente analizzato.
Il fenomeno mafioso è contenuto finché la Destra storica, quella di Cavour, resta al potere, ma esplode con l’avvento nel 1876 della Sinistra storica: sotto la presidenza del consiglio di massoni come Agostino Depretis e Francesco Crispi, è inaugurato il “Vice-Regno della mafia” che dal 1880 circa si estende fino al 1920. “Lo Stato liberale abdica a favore del baronato” e l’intera Sicilia, formalmente governata da Roma, è in realtà un feudo anglo-mafioso: Londra non ha bisogno di staccare l’isola del governo centrale come ai tempi di Ferdinando II, perché esercita il controllo de facto con la “setta” criminale paramassonica. È la stessa organizzazione che negli Stati Uniti assume nomi evocativi come “Mano Nera” o “Anonimi Assassini”: quando nel 1909 il commissario delle polizia di New York, Joseph Petrosino, sbarca a Palermo per indagare sui legami tra mafia americana e siciliana, “i picciotti” non si fanno scrupoli a sparargli in testa.
Il trasformismo parlamentare dell’epoca giolittiana è terreno fertile
per la malavita, determinante per l’elezione degli onorevoli espressi
dalle popolose regioni meridionali. Un cambiamento si registra dopo la marcia su Roma del 1922: è vero che Benito Mussolini,
un vecchia conoscenza di Londra sin dalla Prima Guerra Mondiale e dalla
campagna interventista del “Popolo d’Italia”, conquista la presidenza
del Consiglio con l’appoggio determinante degli inglesi e della
massoneria di piazza del Gesù, ma tende ad emanciparsi in fretta.
la marcia su Roma |
“Il signor Mori ha certamente restaurato l’ordine (…). Ha eliminato numerosi mafiosi e ras ed anche numerosi innocenti con mezzi molto dubbi, comprese prove fabbricate dalla polizia e processi di massa.”
Un vero governo che ama il suo paese e i suoi cittadini, non potrà mai permettere che la feccia criminale al servizio dei potentati esteri, possa spadroneggiare per il paese; e la forza dello stato non può essere minimamente paragonata a nessuna criminalità organizzata, lo stato con i mezzi che ha a disposizione annienterebbe le varie mafie in meno di un mese, se questo stato non lo fa, a differenza dell'unico vero governo che abbia avuto dall'unita dell'Italia in poi, cioe quello fascista, vuol dire che i vari governi attuali, democratici e liberali come i padroni hanno imposto, sono il difensore di questa feccia criminale, e questi altro non sono che la loro bassa manodopera.
Mafie e massoneria, sorelle inseparabili, piombano quindi “nel
sonno”, in attesa di essere risvegliate al momento opportuno: proprio
come ai tempi delle guerre napoleoniche, sbarcheranno in Sicilia con gli
inglesi, accompagnati questa volta anche dalle forze armate
statunitensi.
È il 1943 e la mafia non solo facilita lo conquista dell’isola attraverso Lucky Luciano, ma addirittura presenzia alla firma dell’armistizio di Cassibile nella persona di Vito Guarrasi, lontano parente di Enrico Cuccia
(la cui famiglia è originaria del palermitano). Finché il “continente” è
occupato dai tedeschi, gli angloamericani coltivano la ricorrente idea
di separare la Sicilia dal resto dell’Italia: è il momento d’oro del separatismo e del bandito Giuliano, destinato
a scemare man mano che le truppe alleate risalgono la penisola. Perché
infatti accontentarsi della Sicilia se, come ai tempi d’oro dell’Italia
liberale, è possibile costruire dietro lo Stato di facciata un secondo
Stato, retto dalle mafie a dalla massoneria?
Inizia così la lunga stagione dei “misteri italiani” dove mafia, camorra e ‘ndrangheta, figureranno a fianco di servizi segreti “deviati” e logge massoniche in decine di omicidi ed attentati: dal disastro aereo di Enrico Mattei alle bombe del 1993, dal sequestro Moro al rapimento dell’assessore campano, Ciro Cirillo. Come abbiamo appurato, il fenomeno rientra nella norma, perché sin dalle origini nella prima metà dell’Ottocento le mafie non altro che società segrete paramassoniche, dedite al crimine ed obbedienti alle logge inglesi ed americane.
Ha affermato il pentito Giovanni Gullà,
spiegando agli inquirenti i meccanismi di “Mamma Santissima”, la nuova
‘ndrangheta che contribuirà in maniera decisiva alla strategia della
tensione:
“La “Santa” si spiega nella logica della “setta segreta”: si è inteso creare una struttura di potere sconosciuta agli altri per ottenere maggiori benefici. (…) Posso affermare con convinzione che la santa, come setta segreta, è l’esatto corrispondente della massoneria coperta rispetto a quella ufficiale. (…) Va chiarito che l’appartenente alla ‘ndrangheta non può essere massone, ma questo vale per la ‘ndrangheta “minore” e la massoneria pubblica. Ma come ho già detto la “Santa” rappresenta una struttura segreta dentro la stessa ‘ndrangheta, pertanto se il fine mutualistico può essere soddisfatto con l’ingresso con l’ingresso di massoni nella struttura e viceversa, nessun ostacolo può essere frapposto”.
La “santa” è l’élite della ‘ndrangheta, costituita negli anni ‘70 nel nome di tre personaggi storici, tutti risalenti al Risorgimento, tutti massoni, tutti ottime conoscenze di Londra: Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini e Giuseppe La Marmora.