Il Mito non rimane fermo nelle sue allegorie storiche, si evolve con la Storia, il Sacro s’incarna ogni volta, ripetendo se stesso, essendo così Eterno Ciclo, ed usando un terminologia nietzcheana, Eguale Ritorno dell’Identico.
Ed è così che in un’opera di fantascienza tecnologica come 2001, Odissea nello spazio, di A. Clarke, ritroviamo nascosti nella Tecnica i simboli dei Miti Arcani.
Condivide
Clarke con Nietzsche l’Oltreuomo, che nell’Opera al Nero del filosofo
come in un Athanor alchemico distrugge nella nigredo ogni concezione
umana, per giungere nel superamento di ogni ideologia all’Oltreumano:
Dio.
Non c’è un Dio creatore nell’opera di Clarke e Kubrick, dice Mike Plato sul suo blog nell’interessante analisi del film-libro 2001 (http://mikeplato.myblog.it/), ma una perfetta aderenza alla scienza darwinista. Dunque,
se l’uomo è solo materia, un composto casuale d’atomi che dal primitivo
è giunto al complesso Uomo, nel film-libro la scimmia è il punto di
partenza per il viaggio della Coscienza. Però, già da qui, lo scienziato Clarke si pone il dubbio se la Coscienza possa essersi sviluppata spontaneamente dalla natura, dalla materia, come credono gli scienziati-materialisti.
Qualcosa per Clarke deve essere intervenuto nel processo naturale che porta da quel barlume d’intelligenza della Scimmia, quel poco che la Natura ha potuto fare per uscire fuori del suo stato d’incoscienza, alla nascita di un essere compiutamente Intelligente, intendendo Intelligenza come Coscienza: consapevolezza assoluta di se stesso e del cosmo.
Ci troviamo di fronte a due forze Arcane ordinatrici e creatrici: il nous e le forze ctonie.
Così nel mito di Mithra, il nous-Mithra affronta la forza ctonia del
Toro, e solo vincendola supera la prova, come nel film-libro David
Bowman, nuovo Mithra, affronta la forza ctonia della tecnologia, HAL.
Le
prove dei gradi del culto di Mitrha rispecchiano il viaggio dell’Eroe,
il percorso iniziatico attraverso i pianeti del sistema solare, la
Prigione Planetaria, le Sette Sfere, dove ogni sfera è un Arconte, una
delle sette entità emanata dal Primo Motore, il Pleroma.
Gli
Arconti, i cattivi demiurghi, hanno creato l’universo e l’uomo, e i
gradi del culto di Mithra ne seguono l’ascesa per le sette sfere
planetarie:
1 grado
Corax
Primo Arconte
Elohim
2 grado
Nymphus
Secondo Arconte
Astaphaios
3 grado
Miles
Terzo Arconte
Jahve Sabaoth
4 grado
Leo
Quarto Arconte
Jahveh
5 grado
Perses
Quinto Arconte
Jaroah
6 grado
Heliodromus
Sesto Arconte
Adonaios
7 grado
Pater
Settimo Arconte
Jaldabaoth
L’ultimo
pianeta - la porta per l’infinito e la divinità, per il ritorno al
Pleroma - è Saturno, seppure nel film, a differenza del libro, per
ragione puramente tecniche - la difficoltà nel rappresentare
efficacemente gli anelli di Saturno – fu scelto Giove, ma non
casualmente, in quanto Giove è il pianeta di Jahveh, il demiurgo
giudaico, che è nel grado mitraico il Leone, che poi per lo gnosticismo
il leontocefalo è il simbolo di Saturno.
Con
Giove, chiaro riferimento al dio giudaico, si è voluto accennare a quel
dio che M. Palto dice di non aver visto nell’opera di Clarke-Kubrick.
A
differenza del film, nel romanzo di Clarke è Saturno l’ultima porta.
Qui si materializza il Monolite, il contatto. Seppure il libro è più
aderente alla cosmogonia gnostica, la variazione kubrickiana rende più
incisiva la scelta, poiché Giove non è altri che Jahveh, il dio della
genesi che ha insufflato nell’inerte materia l’anima e l’intelligenza,
come nel film il Monolite ha fatto con la curiosa scimmia.
Non
è del resto quello sfiorare delle dita della scimmia – che nel libro ha
un nome: Guarda La Luna - sulla levigata superficie nera del Monolite
un accenno all’Uomo e al Dio Michelangiolesco?
Plato
vede in quel Monolite un prodotto degli Arconti, che nel mito gnostico
sono d’ostacolo all’ascesa dell’uomo per le sfere planetarie, ma nelle
inquadrature del film l’incontro con il Monolite, seppure momento di
freddo smarrimento di fronte alla vertigine dell’assoluto, ha quel
qualcosa che ci porta oltre, oltre noi stessi, e ci appare come incontro
venato di lieve dolcezza,e seppur alieno nell’incontaminata purezza del
nero acciaio tecnologico, il Monolite conduce quella scimmia diventata
uomo nel suo viaggio tra le sfere planetarie quasi come una madre, non
certo negli atteggiamenti esteriori, ma come la Santa Sophia, madre della Conoscenza Gnostica, ella allunga quel filo d’Arianna nelle orbite dei pianeti per far giungere quel figlio perduto, David Bowman, al suo cospetto.
Qui Jahveh non è l’Arconte che ostacola l’Uomo, anzi, gli offre l’entrata per le stelle.
Il
precipitare della bara-veicolo di David Bowman nel varco dell’immenso
Monolite orbitante presso Giove, ripete in luci psichedeliche il viaggio
dell’anima nella Luce Chiara narrata dal Bar-do To-dol, il libro dei
morti tibetano, manuale mistico che aiuta l’anima a riconoscere i
pericoli delle illusioni del post mortem e a non perdere la sua meta
verso la Luce Bianca. I demoni del libro tibetano sono rappresentati nel
film-libro nelle luci rosse e blu delle galassie che assalgono David,
ma superata le mostruosità di luce, l’ultimo astronauta e uomo penetra
nella Luce Chiara del Pleroma. Al termine del viaggio c’è la rinascita,
per Bowman al di fuori del Samsara, del ciclo delle rinascite.
Il bambino delle stelle è il Corpo di Gloria.
Quindi è Giove la porta che conduce fuori delle sfere planetarie degli Arconti, e solo uno degli Arconti aiuta Bowman, mentre l’ultimo Arconte, Saturno, Jaldobaoth è Satana, colui che imprigiona nella materia. Jahveh-Giove è Lucifero, il Portatore di Luce.
All’inizio
del film il Monolite è in posizione verticale, è il TOTEM, mentre alla
fine del film-odissea è in posizione orizzontale, è una bara, come nella
tomba di Trilussa: il Sarcofago. I due Monoliti in una postuma
immaginaria geometria formano la Croce, al centro dei quattro punti
cardinali il Cuore del Cristo, il quinto elemento, come il quinto grado è
il Leone, Giove.
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