di: Paolo Sizzi
Più sentiamo
blaterare Jorge Bergoglio più noi, dotati di coscienza identitaria,
veniamo pervasi da un sentimento di irritazione e fastidio di fronte al
ragliare al cielo dei moderni esponenti del clero cattolico. Oddio, non
che le cose fossero di molto diverse prima dell’avvento dei
postconciliari, ma è indubbio che l’anti-identitarismo bergogliano abbia
raggiunto livelli intollerabili, tanto più che il suo farneticare è
palese ingerenza negli affari politici italiani (che in altri ambiti
verrebbe condannata senza appello).
Bisogna partire dal presupposto che la
Chiesa cattolica e il cristianesimo in generale siano corpi estranei
incistati in Europa, che lentamente ma inesorabilmente ne hanno
avvelenato la mente e le membra riducendola ad una grande famiglia di
narcotizzati castrati dalle evangeliche fanfaluche; in questo senso, la
Chiesa postconciliare è certo più coerente col verbo del Nazareno, a
tutto svantaggio degli indigeni d’Europa. Un tempo i nostri Padri erano
vessati dall’oscurantismo e dall’assolutismo papale, oggi noi loro figli
lo siamo dallo sfrenato ecumenismo che se la prende con confini,
frontiere, muri, barriere, dogane pur di abbattere le sacrosante difese
nazionali di un Paese. L’odio anti-europeo rimane il comun denominatore
di una baracca crociata estranea alla etno-genesi europea (anche in
senso culturale, ovvio), e se prima l’intolleranza colpiva l’Europa nei
suoi più intimi recessi spirituali oggi la tormenta facendo leva sulla
questione allogena, una questione che ad una Chiesa sempre più ignorata e
mal sopportata dagli Europei vede la sua ancora di salvezza nelle torme
di disperati del terzo mondo, abbondantemente preda delle superstizioni
cattoliche.