Per tutta la vita avevo coltivato il desiderio di
andarmene. Nulla mi legava alla terra che mi aveva dato i natali. Se,
nell’infanzia, non sapevo che potevano esserci luoghi in cui la gente
era, anche fisicamente, diversa, e viveva in modo sensibilmente
differente, una volta giunto all’adolescenza non potei più ignorarlo, e
da allora non passò giorno senza che sognassi di terre e genti altre,
fra le quali non avrei potuto che stare meglio. Ciò che mi circondava
non portava che lo stigma della grettezza, dell’ottusità, della
limitatezza. Era la vita nella provincia profonda dell’Italia del Sud,
in un paese di qualche migliaio di abitanti, dove la principale fonte di
sostentamento rimaneva l’agricoltura e la pastorizia.
Partii. Vissi per mesi, poi per anni, in alcune delle
principali metropoli europeo-occidentali. Mi trovai inquadrato nei più
classici cliché della vita urbana della seconda metà del XX secolo:
lavoro in ufficio, vita in appartamenti di pochi metri quadri, attesa
del venerdì sera come se, dai bar e dai locali più alla moda, dovesse
rivelarsi il paradiso in terra, spostamenti in metropolitana, movimenti
frenetici perso in fiumane di gente senza volto, senza identità, né
interesse per quelli e quelle altrui.
Mi sentivo roso dentro, giorno dopo giorno, appassire
come una pianta senz’acqua, soffocata dall’aria viziata e dalle polveri
di quei luoghi senza cielo, senza orizzonte, senza silenzio.
Ricorderò sempre cosa sentii quando tornai a casa (che,
“casa”, quei luoghi in cui ora vivevo non lo sarebbero stati mai), la
prima volta dopo un’assenza di molti mesi, sbarcando dall’aereo. Sentii i
profumi della terra. Li conoscevo tutti, mi avevano accompagnato sin
dai primissimi passi dell’infanzia, io che ero nato in una famiglia di
contadini e pastori da generazioni senza numero. Ma non li avevo mai
sentiti così forti. Era come se mi penetrassero le viscere, le carni,
come se mi inondassero le vene. Non era una carezza, era una presa,
forte e decisa. Quanto vorrei averne capito già allora il significato,
senza buttare al vento di una vita impossibile ancora molti anni, che
meglio avrei speso altrove. Ma ciascuno segue ciò che il Destino gli ha
tracciato, in libertà eppure senza scampo.
su Sangue e Suolo, e non ne avevo mai capito il senso
profondo e la verità eterna: anzi, trovavo arbitrario e ripugnante al
mio razionalismo, che si voleva illuminista, questa preferenza accordata
ad una terra invece che un’altra solo perché chi ne scriveva ci era
nato. Com’ero lontano dal capire quale carica di senso, quale decreto
del Destino, quale punto zero fondamentale nell’esistenza di un essere
umano dovesse rappresentare quel puro e semplice “essere nato” da
qualche parte… E lo compresi, ma non con le speculazioni accademiche e
pedanti da tavolino intellettual-esistenziale, bensì con la dura
esperienza, sulle proprie carni, di ciò che è la vita in esilio da sé
stessi, l’isolamento, l’estraniamento, l’alienazione, la perdita di sé.
Il dolore, la delusione, il fallimento.
Quando finalmente, con l’allegria del naufrago, ritornai
a Casa (l’unica vera, l’unica degna di portare questo nome sacro e
insostituibile), allora finii di comprendere che, fra l’Uomo e la Terra
che gli ha dato i natali, non esistono legami casuali e intercambiabili.
Quando iniziai a vivere da solo in quella che, in onore alla mia
formazione culturale europeo-orientale, chiamavo scherzosamente “dacia”,
in mezzo ai campi che avevano calpestato i miei antenati per secoli, se
non millenni; allora sentii senz’altro, e senza possibilità d’appello,
cosa era sempre esistito fra me e quella terra. Erano sì, radici, ma non
nel senso banale, abusato, di appendici mie che affondassero nel
terreno come quelle di un vegetale. Erano semmai radici che, da quella
terra, mi penetravano le carni e le viscere, come se la terra stessa, in
un atto cieco e muto, mi tenesse saldamente in pugno, preso in un
legame d’acciaio, tornato suo come una roccia, un arbusto, una zolla di
quel paesaggio immutabile, e mi dicesse, senza appello: “Non andrai più
altrove”.
E davvero esistono legami profondi, tanto da essere
insondabili, dall’origine enigmatica eppure eterna, fra l’Uomo e la
Terra su cui ha stabilito dimora. Davvero esiste un legame fra i Luoghi e
la Vita che in essi si è consumata e rinnovata per generazioni, sino a
che degli inizi si sia persa anche la memoria, ma non il sentimento
interno, e che rende indissolubile, più caro della vita stessa, il
vincolo fra i due, non foss’altro perchè la prima, senza i secondi, non
parrebbe più degna di essere vissuta. Che se, nell’animo occidentale,
una febbre ha agitato i destini collettivi e individuali verso il
viaggio di esplorazione, conquista, colonizzazione, popolamento, ogni
altra cultura e civiltà ha conosciuto questo legame, sino a renderlo
sacro e celebrarlo come tale; sino a sentirne la recisione come qualcosa
di peggio della morte stessa: non era, per i greci, l’esilio dalla
propria città una delle pene massime, fra le più sofferte e temute? E
ciò nonostante il fatto che, cambiando città, ci si trovava fra genti
della stessa lingua, tradizioni ed usi. Ma tanto esasperato era il
legame fra Uomo e Patria, in quella civiltà ancora sana, che il semplice
fare qualche chilometro e non poter riavvicinare le vie e le piazze
abituali era visto peggio che la perdita della vita o della libertà.
Questo significa “Blut und Boden”, Sangue e Suolo, così come lo formularono alcuni intellettuali Völkisch,
sino a quelli più rappresentativi del III Reich, massimo fra tutti,
Walter Darré. Non sono mai stato un grande estimatore dell’impianto
ideologico-politico nazionalsocialista. Da monarchico, nostalgico delle
grandi corti europee, trovavo che ci fosse troppo di socialista, di
plebeo, in un movimento che faceva del mero dato genetico, e quindi
fisico, una patente di superiorità e di nobiltà. Tuttavia, quando si
trattò di definire ciò che, senza costruirlo concettualmente, avevo in
me stesso come dato fondamentale della mia più autentica esistenza,
anzi, del mio essere più autentico, non ho mai più trovato nulla di più
illuminante, né di più profondamente vero, di quelle semplici, assertive
parole sul binomio fra il Sangue, ossia l’elemento fisico più carico di
significati immateriali e ideali, di forza evocativa, di spiritualità, e
il Suolo, la Terra che è paesaggio, casa, memoria, fonte di
sostentamento, ma anche elemento separato, a sé, indifferente, ostile.
Eppure, insostituibile per chi sia degno di chiamarsi “vivo”,
parafrasando un saggio che mi ha dato molto, Julius Evola. Così come non
posso che citare Nietzsche, per poter definire quella terra, a cui
sento di appartenere in modo tanto esclusivo, inappellabile, geloso,
come “l’unico luogo in cui io sono possibile”.
Mi è capitato altre volte, in seguito, di dover partire,
magari con la prospettiva di assenze lunghe, se non definitive.
L’ultima sera, passeggiando fra i macchioni di rovi, poggiando la mano
sulle rocce o sulla scorza dei radi alberi, un senso di oppressione
fisica insopportabile mi premeva il petto, tanto che il respiro mi era
pesante. E, lasciando la casa, non di rado ho sentito una disperazione
nera e impenetrabile. Ogni volta che sono tornato, tutto mi accoglieva
come se mi fossi assentato solo qualche ora prima, quieto, immutato, ma
silenziosamente vittorioso.
Ora guardo a chi vive ancora là, negli ammassi tumorali
di asfalto e cemento di Parigi, Londra, Berlino, New York, come ad
esseri di un’altra razza. Gente che ha potuto rinunciare a quelle
radici, o che non le ha mai avute, facile preda del pensiero unico
materialista ed economicista, gente per cui nulla fa più differenza,
uomo o donna, europeo o africano, originale o plagio. Gente per cui è
normale che tutto abbia un prezzo, ma nulla ha più valore. E sento
un’ostilità profonda, cieca, verso chi vorrebbe farmi credere che quanto
mi scorre nel sangue, quel che mi giunge da generazioni innumeri, è
illusione e peso da scuotersi di dosso. Così come sento un’estraneità
sempre maggiore verso chi, fra i miei amici o conoscenti, è rimasto
abitante della metropoli, come se un abisso di incomunicabilità sempre
maggiore ci separi, fatto di incomprensione assoluta, fra chi,
ormai,pensa e sente per valori e concetti inconciliabili. Come se,
appunto, si fosse ormai appartenenti a razze diverse.
Ora, in momenti meno convulsi, pure ad ogni passo fra
l’erba, magari a piedi scalzi, ad ogni sguardo alla linea
dell’orizzonte, ad un cumulo di pietre coperto d’edera, ad ogni respiro
pieno di profumi e odori che cambiano ad ogni passo, e che sono sempre
gli stessi, sento qualcosa che a nessuno mi è dato spiegare, ma che so
essere un privilegio. Un privilegio sui generis, che non da alcuna
utilità pratica, di cui non si può menare vanto, che non mi avvantaggia
in nulla su chi mi circonda, ma a cui non voglio né posso rinunciare per
nulla al mondo. Il privilegio di appartenere a qualcosa di eterno.
Semplicemente grandioso, ho due posti dove mi sento a casa, il primo dove abito, il secondo quando passo il confine della Baviera nel Baden Wurttemberg, aria di casa.. impagabile !
RispondiEliminajj
L'ho sentito mio fino all'ultima riga ! <3
RispondiEliminaTutto quello che hai scritto, è giusto.
RispondiEliminaMa a volte la vita ti costringe a spostarti; e altre volte si nasce nella prima generazione della propria famiglia ad abitare un dato luogo.
Insomma, non tutti hanno la fortuna del "Sangue e Suolo".
Queste persone dovranno costruirsi un'Identità basata su altro: ma cosa? Se si calca sulla Religione, si rischia di esagerare finendo nel fondamentalismo; lo stesso vale per la fede politica, e per lo stesso Ateismo.
Può essere la Nazionalità? Ma, se non si ha "Sangue e Suolo", cos'è la Nazionalità?
Io sono omosessuale, ma posso mai "identificarmi" in questo? A parte che sarebbe una mancanza di autostima (la mia vita non si esaurisce sul sesso delle persone di cui miiinnamoro), c'è da dire che un'eventuale "identificazione" sarebbe alimentato dalla situazione attuale, dalle battaglie per i diritti che mi fanno sentire come appartenente ad una minoranza perseguitata: una volta che quei diritti saranno conquistati? Non smetterò certo di "essere" omosessuale; ma avrebbe senso "identificarmi" come omosessuale? Non è un caso se in Francia, da quando è stato legalizzato il matrimonio, la maggior parte degli omosessuali abbia iniziato a votare un partito identitario come il Fronte Nazionale?
Insomma: cosa dovrebbe e potrebbe fare, chi non ha "Sangue e Suolo"? Cosa consigliate?