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lunedì 31 ottobre 2016

Recensione del libro Il trattato del ribelle di Ernst Jünger




nota personale: 
I primi 10 gradi ( 30 in tutto divisi da 3 livelli da 10) del cammino iniziatico dei lupi bianchi, sono chiamati "il recarsi nella foresta oscura" in cui l'iniziato approda ad un mondo oscuro in cui deve iniziare il suo cammino di conoscenza e riscoperta del suo io interiore; negli altri gradi si passa dalla foresta di ghiaccio, fino ad arrivare agli ultimi 10 gradi in cui si approda alla grande foresta madre, in cui si narra che i lupi abbiano il manto argenteo che risplende alla luce con scintillanti splendori. Nei libri di Jünger  si notano tali simbolismi che riguardano proprio il cammino iniziatico dell' ordine dei lupi bianchi, che esso stesso fosse un iniziato dell'ordine?

white wolf


Lo scrittore tedesco Ernst Jünger ottenne fama internazionale con Nelle tempeste d'acciaio, scritto autobiografico sull'esperienza al fronte (Jünger fu volontario durante la prima guerra mondiale e fu insignito della croce al merito). Il racconto fu accolto come esaltazione del nichilismo eroico e per questo condannato dai gruppi che si erano opposti al conflitto.

Ernst Jünger (Heidelberg 1895 - Wilfingen 1998)


Scrittore e saggista tedesco, una delle figure più controverse della letteratura tedesca del XX secolo.


Dopo essere entrato nella Legione straniera nel 1913, allo scoppio della prima guerra mondiale si arruolò volontario e combatté al fronte. Narrò le sue esperienze nel volume Nelle tempeste d’acciaio (1920) e nel saggio Der Kampf als inneres Erlebnis (La guerra come esperienza interiore, 1922), che illustrano il nichilismo eroico dell’autore (vicino al pensiero filosofico di Nietzsche e all’estetismo dannunziano).



 


 Ernst Jünger


Lasciato l’esercito nel 1923, si dedicò agli studi di zoologia e filosofia, a Lipsia e Napoli; a partire dal 1925 si mantenne facendo lo scrittore. A questo periodo appartengono saggi e articoli politici che fecero di lui una delle figure di riferimento per i nazionalisti tedeschi. Negli anni Trenta salutò con favore la mobilitazione militare, ma dopo esser stato deluso dal regime nazista, ne formulò una condanna in chiave allegorica con Sulle scogliere di marmo (1939), messo al bando dopo aver già venduto 250.000 copie.

Ufficiale di stanza a Parigi durante la seconda guerra mondiale, Jünger conobbe Pablo Ricasso e Jean Cocteau e strinse amicizia con il filosofo Martin Heidegger. Nel 1943, nonostante i pericoli legati a tale presa di posizione, scrisse il saggio La pace, un invito a porre termine al conflitto. In seguito si ritirò nella Foresta Nera per dedicarsi agli studi di entomologia e botanica e per scrivere. Fra le sue maggiori opere figurano L’operaio: dominio e forma (1932), Heliopolis (1949), Api di vetro (1957), Al muro del tempo (1959), Il problema di Aladino (1983) e Due volte la cometa (1987).

Il trattato del ribelle

Nei primi anni del secondo dopoguerra Ernst Jünger scrive una preziosa guida alla libertà che uscirà nel 1951 con il titolo enigmatico Der Waldgang (passaggio al bosco), oggi edito in Italia con il titolo Trattato del Ribelle (Adelphi). Nell’antica Islanda il Waldgänger (letteralmente, colui che passa al bosco), è il proscritto che si dà alla macchia e conduce una vita solitaria, libera e rischiosa. Lo scrittore tedesco si rifà a questa tradizione nordica per tracciare la figura del Ribelle, un tipo d’uomo che sceglie di resistere al nichilismo desertificante del nostro tempo. Jünger individua nelle “teorie che tendono ad una spiegazione logica e razionale del mondo”, e nel “progredire della tecnica”, l’origine dell’assedio all’uomo moderno. Com’è possibile salvarsi da questa realtà che annienta l’essere, o perlomeno lo nasconde sotto identità artificiali? La risposta che Junger dà è : Incamminandosi lungo la Via del Bosco… Se la nave, il Titanic, è il simbolo della civiltà tecnologica avanzata in cui trionfano razionalismo, ostentazione volgare, ed automatismo, il Wald /(Selva) è lo spazio sacro in cui l’uomo incontra se stesso, riscoprendo le forze primordiali della vita. Che il mondo della sicurezza borghese invece nega, intimorito dalla natura elementare. Come se si potessero cancellare gli istinti, le pulsioni profonde e la stessa morte (tutto ciò che troviamo nel Bosco), con una scelta razionale. 






La Selva non è quindi semplicemente un paesaggio naturale, ma soprattutto il simbolo di quella “terra selvaggia” (Wildnis), che ogni uomo ha in sé. In questo senso il bosco può crescere ovunque, sulla nave come nella metropoli moderna e per questo Jünger parla del bosco come di qualcosa di intimo, di segreto, che molti possono ritrovare, lì dove sono, dentro di sé. La parola tedesca heimlich significa appunto segreto, e quindi luogo protetto.

Il passaggio al bosco è però anche unheimlich/inquietante : una “escursione perigliosa” , oltre il “meridiano zero del nulla” che comporta un “avvicinamento” alla morte. Come insegnano le dottrine tradizionali, solo nell’estremo pericolo cresce ciò che salva. Nella foresta infatti il Ribelle rinasce ad una vita nuova e più autentica: solo andando verso la morte il singolo, che è “l’uomo libero come Dio l’ha creato, l’uomo che si nasconde in ciascuno di noi”, può vincere la paura dell’annientamento, e quindi ogni altro timore che discende da quella paura. 
Diventando così un uomo libero, conscio della sua natura principesca e dell’immensità della sua forza che lo mette in relazione con l’Assoluto. Il passaggio al bosco non sembra dunque, come lascia intendere lo stesso Jünger, un regresso al mondo delle madri. Ce lo ricorda Nietzsche: il “ritorno alla natura” non è propriamente un retrocedere ma un andare in alto verso “l’eccelsa, libera, e anche tremenda natura e naturalità, una natura che gioca e può giocare coi grandi compiti”. In definitiva possiamo dire che con il Trattato del Ribelle Jünger ci consegna un’immagine della foresta (che ritroviamo spesso anche nella mitologia e nelle fiabe europee, a testimonianza di quanto sia radicato nel nostro animo il simbolo del bosco), come luogo in cui l’uomo diviene sovrano di sé, ritrovando il contatto con quei poteri che sono superiori alle forze del tempo. 

E , come afferma Claudio Risé ne L’ombra del potere (Red edizioni), il Waldgänger è una rappresentazione contemporanea dell’archetipo dell’Uomo Selvatico, colui che si salva grazie al suo sapere naturale. 

La Via del Bosco è dunque il percorso che ogni uomo deve compiere per recuperare la sua “selvatichezza”, e per riscoprire quelle forze ed energie maschili, anche violente ma necessarie alla trasformazione della realtà, che la società grandematerna ha sacrificato sull’altare delle buone maniere.


1 commento:

  1. Consiglieri la lettura de "l'uomo selvatico" di Aldo Carotenuto, molto attinente al tema in questione dell'articolo.
    ricordo anche come sia molto mitopoietico il tedesco come lingua anche nella formulazione dei nomi di persona che vanno molto oltre quelli italiani quasi tutti comunemente attinenti alla cultura giudaico cristiana, uno su tutti "wolfgang", colui che combatte come un lupo.

    Molto attinente al tema è anche tutta la saga del signore degli anelli che può essere letto come romanzo fantasy, come saga con valenze sociali vedendo la terra di mezzo come l'europa della 2ww attaccata da forze oscure, ma soprattutto come viaggio interiore passando attraverso le "terre selvagge". Dalle mie parti è abbastanza comune il cognome waldner, cioè colui che viene o abita nel bosco, simbolicamente una descrizione di caratteristiche di persone dure ostiche e coriacee, dato che prima i nomi e i cognomi ma addirittura i soprannomi familiari (ogni famiglia storica ne ha uno) nascevano appunto da caratteristiche peculiari di quella parte di tribù o di clan. Il bosco in sostanza rappresenta l'inconscio sia personale sia collettivo, l'avvicinarsi ad essa corrisponde al lavoro su di sè che porta sempre più al livello di coscienza le forze ctonie che ci sovrastano nella vita normale e che sono quelle forze che ci dominano e fanno agire, conoscerle controllarle e utilizzarle è rappresentato da quella che la tradizione ci insegna essere la seconda nascita dopo il risveglio che nella tradizione cristiana viene sigillata nel battesimo. Interessante anche l'origine del nome di Pietro Valdo https://it.wikipedia.org/wiki/Valdo_di_Lione , dove si afferma che il nome deriva dal luogo di origine, nessuno però ha centrato l'obiettivo che valdes, waudesius, valdo ecc non è altro che l'adattamento dal tedesco waldner.

    jj

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