"Sopra le rovine di una Aristocrazia naturale ed ereditaria, costruimmo una nostra aristocrazia a base plutocratica. Fondammo questa nuova aristocrazia sulla ricchezza, che noi controllavamo, e sulla scienza promossa dai nostri dotti".
Protocollo 1 da: I "PROTOCOLLI" dei Savi Anziani di Sion.
di: Luca Valentini
“Bisogna rendersi conto che tutto ciò è vano,
perfino a un fine semplicemente dimostrativo,
se non si attacca il male alle radici le quali,
per quel che riguarda il ciclo storico
al quale qui restringiamo le nostre considerazioni,
sono costituite dalla sovversione determinata in Europa
delle rivoluzioni dell’89 e del ‘48” (1)
Disquisire lucidamente e serenamente
circa i legami esistenti tra storia, metapolitica e Tradizione non è
impresa semplice, particolarmente per le implicazioni di appartenenza
religiosa o ideologica che possono intervenire, che possono introdursi
erroneamente, per quell’umana tendenza di far discendere tutto al
proprio livello, considerando, erroneamente, l’umano come riferimento
indiscutibile, che abbaglia e non fa comprendere come, tradizionalmente
insegnato, l’inferiore, quindi la storia e la politica, non possano
indirizzare, giustificare, giudicare il Superiore, quindi la dimensione
ontologica.
Nel caso di specie il rifiuto della linearità
storico-temporale è acquisizione comune di una visione del mondo
tradizionale, similmente alla ciclicità come valore assoluto, come norma
generale di analisi: al di là dei riferimenti indù, possiamo rifarci,
per esempio, sia al tramando esiodeo sia alla conoscenza dei saecula da
parte di Etruschi e Romani, oltre che a quello che gli Elleni denominavo
“grande anno platonico”. Da
ciò, è possibile comprendere simbolicamente e geometricamente, come i
diversi elementi costituenti il ciclo possano relazionarsi in un preciso
processo involutivo inerente alla dinamica organica e totale
dell’intero ciclo e che solo apparentemente tali elementi risultano
essere in contrapposizione dualistica, facendo parte, altresì, di un
disegno cosmico di ben altra profondità. Tale prospettiva è
assolutamente necessaria per comprendere come ciò che storicamente si
palesa come uno scontro di civiltà o di idee, spesso debba intendersi
come un processo “metabolico” invisibile che presuppone, quasi sempre,
un ulteriore sviluppo ciclico di natura involutiva.
Da tale sintetica precisazione si può
facilmente comprendere come autenticamente tradizionali possano essere
considerate solo le determinazioni storiche rivoluzionarie che
riconducono ad uno stato primordiale, che aspirano realmente ad un
ritorno alla Sacralità delle origini, e che non siano mera rottura con
la civilizzazione precedente, profana ribellione ad uno status quo
degenerescente. Si evince che la portata rivoluzionaria debba
necessariamente affermarsi come esclusivamente affermativa di una realtà
persa, che si voglia rimanifestare, come emanazione di una perennità
spirituale. Seguendo tale inquadramento, sarà facile per il lettore
comprendere come le rivoluzioni che hanno indotto e propiziato l’avvento
della modernità – e non quelle che l’hanno eroicamente combattuta –
abbiano completamente tradito la propria definizione, apparendo nel
corso della storia non come un’evidenza metanoica (cioè come un ritorno
alle origini), ma come ulteriori fasi, ancor più accelerate, di un unico
e medesimo processo involutivo. Come accennato inizialmente, un’analisi
a riguardo è possibile solo qualora ci si ponga oltre sterili
dogmatismi d’appartenenza, oltre la “difesa” di periodi storici, che per
la loro stessa natura transuente, non comprendiamo come per essi si
possa fare un tifo a favore o contrario, appartenendo alla dimensione
del divenire e non a quella permanente dello Spirito, se non aderendo ad
una risibile deriva nostalgica.
Nello specifico, analizzeremo le
dinamiche pseudo-rivoluzionarie dei moti che condussero ai rivolgimenti
del 1779 in America, del 1789 in Francia, ponendo in evidenza come tali
accadimenti siano ben inquadrabili in una condizione di decadenza
precedente (e non in contrasto con essa) e come, successivamente, tutto
il loro bagaglio ideologico abbia costituito le fondamenta della società
mercantilistica contemporanea. Studi davvero illuminanti in tal senso
sono stati condotti da Bernard Fay (1893 – 1978), docente di letteratura
francese al Collège de France, storico e specialista del XVIII secolo,
amministratore generale della Biblioteca Nazionale (2). Condividiamo il
parere di Gian Pio Mattogno, che nella nota introduttiva al testo di Fay
(3), definisce le ricerche dello stesso pioneristici, per l’attenzione
prestata alla dimensione intellettuale del processo di erosione posto in
essere dalle varie centrali sovversive e da alcuni specifici
personaggi.
Il quadro che se ne desume è assolutamente diverso rispetto a
molte e note opere di stampo controrivoluzionario. Non si prospetta una
società, quella del ‘700 in Europa e nelle colonie americane, in cui si
cristallizza una rigida dicotomia tra un Potere Politico ed un’Autorità
Religiosa attanagliati da spinte di dissoluzione esterne, ma,
diversamente da come spesso si crede, emerge un quadro quanto mai
complesso e dinamico, in cui le sfere istituzionali sono primariamente
fonti di decadimento di ciò che formalmente rappresentano, in cui anche
la religione dominante è parte integrante del medesimo processo di
dissoluzione. Testimonianza di ciò, come riporta scientificamente il
Fay, sono le relazioni ben articolate tra la Corona d’Inghilterra, la
Monarchia e la nobiltà francese, i Borbone e alte sfere ecclesiastiche
con precisi ambienti di una massoneria secolarizzata, che aveva ormai
abbandonato al letteralismo i principi ispiratori delle corporazioni
operative e pitagoriche, che certamente non erano la fratellanza
universale, tra tutti i popoli della galassia, e la libertà di pensiero:
la strumentalizzazione di Giordano Bruno è un caso esemplare di tale
processo, come ha ben scritto Luigi Morrone, sempre su queste pagine.
Bisogna necessariamente comprendere a pieno tale diversità
d’impostazione, perché non ci si trova dinanzi ad una dimensione
tradizionale, politico o sacrale che sia, che viene assaltata
dall’esterno, né ci si trova dinanzi ad una rivolta contro una visione
della società obsolete. Qui, non vi sono steccati tra Ancien Règime e
mondo rivoluzionario, come le vulgate pro o contro tentano di far
credere. Vi è, al contrario, una sotterranea e grigia linea di
contiguità – non molto dissimile alle dinamiche mafiose contemporanee
che ben conosciamo -, in cui la pseudo-rivoluzione non è la causa del
decadimento di un mondo, ma è solamente l’effetto vettoriale del
decadimento interno di quello stesso mondo. Tale prospettiva – essa si
rivoluzionaria – scompagina ogni velleità interpretativa dualistica
della storia, emergendo tutta la pregnanza della morfologia
tradizionale, che non ragiona per riferimenti evoluzionistici e lineari,
ma per dinamiche assolutamente cicliche. Quanto evidenziato, Fay lo
esprime saggiamente nei suoi scritti e evidenzia come due componenti
hanno influito nella decomposizione della civiltà occidentale, quella
intellettuale e quella dell’agire prettamente umano:
”Nel Settecento la massoneria riesce
assai meglio come forza sociale che come società di pensiero. Infatti
si prefigge il compito di preparare un alimento intellettuale che si
addica alle masse, che formi l’unità sentimentale di tutti gli uomini e
la loro felicità comune. Perciò si preoccupa innanzi tutto delle nozioni
che hanno un valore collettivo. Non sarà mai particolarmente
appassionata per la letteratura, in cui l’elemento individuale ha una
parte importante, mentre la scienza, con il suo carattere di
universalità, l’attira e la impegna. Desaguliers, Franklin, Court de
Gèbelin sono o credono di essere degli scienziati” (4).
Su di una linea interpretativa simile si
pone Augustin Cochin (5), il quale nella sua interpretazione
sociologica della Rivoluzione Francese ebbe il merito di penetrare dal
profondo le cause che furono scatenati per il rivolgimento del Terzo
Stato, quindi, borghese, perché tale fu la pseudo – rivoluzione francese
dell’89, e non certo una ribellione di popolo, come la storiografia ha
ormai assunto come dato certo e definitivo. Una linea rossa (oppure
grigia come l’abbiamo definita precedentemente) coniuga, pertanto, la
separazione dei poteri istituzionali di Montesquieu, alla cosiddetta
Rivoluzione delle lettere operata verso il 1770 dalla “Chiesa laica” di
Voltaire e degli Enciclopedisti, fino a giungere al Contratto Sociale di
J.J. Rousseau. Ci si trova dinanzi parimenti, a quanto Tommaso
Campanella rimproverava a Nicolò Macchiavelli, cioè dinanzi alla
mancanza di una concezione dello Stato fondata su valori dall’Alto, il
Politico che viene fondato ed informato dal Sacro:
”Nessun impero né regno si è potuto
reggere con la sola prudenza politica (…) Per questo Socrate affermò che
lo Stato va in rovina se viene meno l’arte divinatoria, e Salomone che
il popolo è perduto senza profezia“ (6).
Tommaso
Campanella
Si comprenderà come tramite Campanella,
ritroviamo la perfetta armonia tra Ordine divino-cosmico, Ordine
civile-sociale, Ordine personale-psichico, in cui la Pace degli Dei, la
Giustizia nel Politico, il riconoscimento del Demone nel cittadino,
possano realizzarsi simultaneamente con un processo di identificazione
palingenetica, tramite un’opera di visione e di equilibrio, di anamnesi e
di riconquista di un ordine primordiale smarrito, dimensione platonica
(7), un’Idea dello Stato che è ben diversa da quella che emergerà dalle
rivoluzioni modernissime.
L’elemento costitutivo, emerso dalla
Rivoluzione Francese, era l’individuo e la volontà dello Stato
coincideva con la somma delle volontà dei singoli, non essendo, così,
una vera volontà unitaria, l’ordine individualistico rappresentando una
delle più tormentate fasi di vita che la stirpe europea abbia mai
attraversato e questo, in poco più di un secolo, dall’affermazione del
sistema liberale e di quello sociale, facendo precipitare nel
dissolvimento ogni retta concezione del vivere: rammentiamo di sfuggita,
come magistralmente già fatto in queste pagine da Giandomenico
Casalino, come l’idea dell’organismo giuridico – sociale quale somma
puramente numerica di cittadini, non fosse presente non solo in Platone,
ma neanche nella Civitas Romana, in cui il corpo di appartenenza
primeggiava rispetto alla singola individualità (8).
In base a ciò l’ordine corporativo si
poneva, nelle sue diverse manifestazioni nella storia ma come
espressione dall’Alto di un ordine civico, come contraltare di
Montesquieu e di Rousseau, contrapponeva a quello individualistico per
la sua finalità, che era quella di elaborare da una massa informe
“l’entità morale del populus”, una Weltanschauung tradizionale, che si
caratterizzasse attraverso un’efficace personificazione dello Stato, per
la priorità data al volere e al benessere dello Stato stesso, rispetto a
qualunque altro ideale libertario, come superamento dello Stato laico
ottocentesco, liberale, individualista e contrattualista:
”Il regime capitalistico, pur
rivelandosi in pratica un regime di sottomissione e di schiavitù
completa, è almeno in teoria un regime di indipendenza e di completa
libertà. Ma quale libertà? E’ la libertà dei senza – patria, dei
bohemiens, dei nomadi che non hanno concittadini ma solo clienti…” (9).
Lo Stato è, pertanto, un prius-logico,
la cui esistenza non è riconducibile all’attività degli individui:
l’opposto è rappresentato dallo Stato Moderno, in cui l’autorità è fatta
discendere non da un vero e giusto potere, ma dalla sopraffazione di
una parte sulle altre, in cui si manifesta il totalitarismo del libero
pensiero e del mercante che deve essere assente in uno Stato
Tradizionale, organico, articolato, differenziato. Ancora grazie ad
Augustin Cochin comprendiamo come l’opera di sovversione sia stata
completa, non solo limitata al dominio della politica, ma anche estesa
al dominio appunto intellettuale, e, nello specifico, alla sua
componente artistica. Il livellamento, l’assenza d’ispirazione
trascendente, nelle Francia rivoluzionaria, dovevano comportare della
cultura popolare, anzi popolana, la stessa che trasformò, come scritto
più volte, Notre Dame de Paris in una stalla:
”Il mare, un mare monotono e sterile, piatto e cupo…un mare senza nome e senza patria ha coperto questo bel paese” (10).
Un’ultima analisi la riserviamo ad un
personaggio che ha svolto un ruolo di primo piano nelle insurrezioni
moderniste del XVIII secolo, sia in quella Americana (1775 – 1783) sia
in quella Francese (1789): Benjamin Franklin. Bernard Fay gli dedica un
capitolo intero, definendolo “il più ortodosso dei massoni del suo
tempo” (11), analizzando tutta la sua influenza non solo nelle vicende
americane, ma successivamente anche in quelle francese, segno di una
continuità d’indirizzo ben nota. Nella sua figura, nei suoi contatti con
Voltaire, con la nobiltà francese, con l’intervento francese a sostegno
delle colonie americane in rivolta contro il dominio britannico vi sono
tutti i prodomi di un disegno che va al di là della mera appartenenza
massonica. Quasi contemporanea sorsero – e Franklin né fu uno dei
massimi ispiratori – le ideologie che sarebbero poi servite
all’involuzione ulteriore della civilizzazione occidentale e alla
costituzione del nuovo ed attuale Gendarme del Mondo, gli Stati Uniti,
in sostituzione del vecchio ed ormai logoro Impero Britannico.
Benjamin Franklin
Quanto detto, anche in riferimento allo
stesso Franklin, serve a superare due stantie convinzioni circa la
massoneria e la dimensione esoterica. La prima, come ha ribadito più
volte Julius Evola nei suoi scritti (12), negli accadimenti storici in
riferimento come in altri, è servita da veicolo, da agente rispetto ad
influenze ancor più sotterranee ed disgregatrici che l’hanno
eterodiretta. E’ d’uopo far propria tale considerazione, per coniugarla
con quanto espresso all’inizio di codesto scritto circa il doveroso
superamento di una visione dualistica, che non releghi le logge
all’Inferno e le sacrestie in Paradiso, tutt’altro. Chi rammenta come il
potere sinarchico dei Rothschild, dei Bauer abbia di fatto influenzato e
finanziato ogni sconvolgimento politico dal ‘700 in poi, interessando
anche parti che la storiografia ufficiale pone in estrema antitesi, può
comprendere la seguente espressione di Malynski:
”Così, sia durante il diciottesimo
secolo che per tutto il diciannovesimo, la massoneria rappresentò
l’anticamera inconsapevole del male, il veicolo <<buon
conduttore>>, grazie al quale l’elettricità sovversiva raggiunse
la politica e la società – ma non il centro generatore di questo male” (13).
Inoltre, le varie interpretazioni para-esoteriche del mondo pseudo-rivoluzionario non
tengono conto dell’essenzialità
e dell’elemento primo di un vero percorso esoterico, cioè la sua
dimensione realizzativa. Ogni strumentalizzazione simbolica, ogni
accostamento vagamente arcano viene inficiato qualora l’analogia tra
Cosmos – Antropos – Polis non sussista e non si configuri come adesione,
non solo ideale e vagamente emozionale, ma secca e priva di buoni
intendimenti, perché autentica trasfigurazione metanoica, a cui abbiamo
accennato tramite Platone e Tommaso Campanella.
E quando il dato si pone
su tale tema, non si può non constatare che si siano affrontate forze
di natura e di origine anglo – francesi, dimenticandosi, però, che la
dimensione latomistica fu vettore di esse, ma anche di altro, di un
retaggio italico e specificatamente napoletano, che mal si conciliava
sia con Parigi e Londra, sia con il potere ecclesiastico, perché
preesistente alla logica dei rinculi della storia, come li definiva
Hegel, cioè dei rimbalzi di un ciclo che è sviluppato completamente al
nascere ed al lento morire del Cristianesimo, e rispetto al quale quel
retaggio arcaico non è avverso, ma semplicemente estraneo.
Servano, queste nostre brevi
considerazioni, a rammentare l’importanza della terza dimensione della
storia, che veda e riconosca in profondità le radici antitradizionali
della modernità, ne colga il nesso con i vari accadimenti storici e
sappia farci capire che il Potere è ormai vincente su tutta la linea e
non serve più che esso si debba occultare, perché ora è divenuto il
Verbo, che unicamente è possibile esprimere:
“E’ nel quadro di una simile
problematica che si definisce il concetto della guerra occulta. E’,
questa, la guerra condotta inesorabilmente da quelle che, in genere, si
possono chiamare le forze della sovversione mondiale, con mezzi e in
circostanze ignorati dalla corrente storiografia. La nozione di guerra
occulta appartiene pertanto ad una concezione tridimensionale della
storia, che non considera come essenziali le due dimensioni di
superficie comprendenti le cause, i fatti e i dirigenti visibili, bensì
anche la dimensione in profondità, dimensione
<<sotterranea>> dove si applicano forze ed influenze la cui
azione spesso è decisiva e che non di rado non sono nemmeno
riconducibili a ciò che è soltanto umano, individualmente e
collettivamente umano” (14).
Note:
1 – J. Evola, Gli Uomini e le Rovine, Edizioni Mediterranee, Roma 2002, p. 61;
2 – B. Fay, La Massoneria e la rivoluzione intellettuale del Settecento, Edizioni di Ar, Padova 1999;
3 – B. Fay, op. cit., p. 22;
4 – B. Fay, op. cit., p. 258;
5 – A. Cochin, Le società di pensiero e la Rivoluzione Francese, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 2008;
6 – Secunda delineatio defensionum, I processi di Campanella, Napoli, Febbraio–Aprile 1600, Giugno 1601;
7 – Platone, Repubblica, 592b:“Esiste
dunque nei cieli un modello per chiunque intenda vederlo e, vedutolo,
fondarlo in sé stesso. Che siffatto esemplare esista o abbia mai a
esistere in alcun luogo non importa, giacché questo è l’unico Stato di
cui egli sia partecipe”;
8 – Giandomenico Casalino, Le ragioni
dell’inesistenza della persona giuridica in Diritto Romano, pubblicato
su Ereticamente il 18 Novembre 2018;
9 – E. Malynski, Fedeltà feudale, Edizioni di Ar, Padova 2014, p. 78;
10 – A. Cochin, op. cit., p. 200. Un
panorama non dissimile, erede di tale deviazione, è ben visibile
nell’età contemporanea, nella pittura, nell’architettura e nella vuota
poesia;
11 – B. Fay, op. cit., p. 148ss;
12 – J. Evola, La Massoneria e la
preparazione intellettuale delle Rivoluzioni, La Vita Italiana, anno
XXXVIII, luglio 1940, anche in appendice al testo di Fay, già indicato
in nota;
13 – E. Malynski, op. cit., p. 121;
14 – J. Evola, op. cit., p. 177.
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1 regola... detto da aristocratica appartenente a famiglia aristocratica di antico ceppo scandinavo- francogermanico...
RispondiEliminal' ARIstocrazia e' tale solo perche' e' fatta da ARIANI
la plutocrazia non e' non sara' mai ARIstocrazia
perche' un ebreo non sara' mai un ariano, per quanto ci provi tentando di rifarsi i capelli biondi...la genetica NON mente.