RIBELLI !
Lo scopo di questo intervento è quello
di contribuire ad animare un pensiero ribelle, in un tempo senz’anima,
senza pensiero, senza indignazioni che non siano mero baccano. Animare –
e progettare – per essere i primi di domani.
Concretizzare idee nel senso intuito da
Drieu La Rochelle (intellettuale è colui che è oggi dove gli altri
saranno domani) ed in quello descritto da Karl Marx nell’XI Tesi su
Feuerbach: “Finora i filosofi hanno cercato di capire il mondo, ora
bisogna cambiarlo!” Capire, e cambiare. Rovesciare un mondo rovesciato.
“Brutto è il bello, e bello è il
brutto“, cantano le streghe di Macbeth, le forze sovrannaturali che
spingono all’ambizione, al delitto. Nell’universo Shakespeariano, però,
nell’inversione bene-male, vincono la natura, il giusto, il bene.
Ritorniamo allora al dualismo bene/male, al “volere il bene”, contro il
politeismo dei valori (Weber) ed il monoteismo del mercato.
Noi andiamo all’attacco di un tempo in cui tutto è scontato, predefinito, eterodiretto, invertito.
Ribelle è rifiutare quest’aria di
ineluttabilità: organizzare una dissidenza per rianimare un pensiero che
prenda posizione, “orienti”, ambisca a restituire alla storia la
dimensione del reale e ridia forma a ciò che è informe. Opposizione
integrale al tempo presente, avanguardia culturale per l’uomo -persona-,
opposto all’”homo oeconomicus et consumens” materialista, anonimo componente di un gregge condotto da servi pastori verso un destino zoologico.
Rigettare senza sconti la frusta narrazione liberista, liberale, libertaria, liberaldemocratica: falsa, fuorviante, infettiva.
Pensiero ribelle oggi ostracizzato, etichettato (“labelling”),
stigmatizzato, censurato dal Politicamente Corretto, la gabbia di finto
velluto in cui si lascia imprigionare il pensiero pigro, il nuovo
fariseismo di massa di questa società delle acque basse. Ciò che è da
pensare è che oggi non si medita, ciò che è da fare è rianimare
l’inerte.
Parlare netto (“sia il vostro parlare sì
sì no no“, esorta il Cristo). Rifiutare la riduzione al conforme ed
all’identico. (Ri)pensare accogliendo anche segmenti di culture “altre”.
Penso, ad esempio ai concetti marxiani di “struttura” e “sovrastruttura
“, rivisitati: struttura cupola di economica e finanza/sovrastruttura
enti transnazionali, apparato giuridico.
Ribellarsi al disincanto del mondo, e
reincantarlo, perché “poeticamente vive l’uomo” (Hoelderlin).
Smascherare un’epoca che vanta la propria imperfezione, ma si considera
approdo felice della storia, compimento, non più emendabile, dello
stadio adulto della specie umana realizzata nel “libero“ scambio.
Rigettare il narcisismo come profilo
antropologico ed il nichilismo come metafisica del
MERCATISMO: fatti per
seguire moda, denaro e tornaconto.
Uscire, infine, da questo Grand Hotel
Abisso della società più ideologica della storia, in quanto pretende di
essere l’unica, la DEFINITIVA. Assorbe ogni critica purché non si
tocchi il suo unico “ethos”, il denaro.
Fuori, allora, lontani dal pensiero
calcolante, in cui tutto è merce, anche l’uomo, il suo animo, il suo
corpo, i suoi stessi liquidi biologici. Tempo della morte di Dio che è
anche morte dell’uomo.
Pensiero ribelle al modello dell’eterno
presente (“qui e subito”), in cui si sopprime il senso primario
dell’esistenza che è tensione al futuro, progettualità, speranza.
Stranieri a se stessi, eterni Peter Pan, con il complesso di Edipo e
pure di Telemaco. Senza padri, senza figli: senza.
Una civilizzazione dello spettacolo che
riflette se stessa, ma insieme rifrange ed assorbe, e pietrifica in
fotogrammi sempre uguali una storia addomesticata (tutto è cronaca,
evento, “news”, compresi gli annunci pubblicitari), in cui la
conoscenza è solo strumentale (ciò che “serve” immediatamente) e non
critica, giudizio, crescita. E poi coazione all’adattamento, in nome di
un fatalista principio destino: TINA. dicono che non c’è alternativa,
TINA “thereis no alternative”, nella neolingua anglo-globale.
NEL MIRINO, IL NEMICO
Non è così’: non è la fine della storia,
non si è dissolta l’idea di verità, il deserto può essere attraversato
da ribelli pensanti con nostalgia di futuro. Secondo Bergson, nove
errori su dieci consistono nel ritenere vero ciò che non lo è più: a
patto di costruire un nuovo modo di pensare, che rimedi agli errori del
vecchio.
Dunque, non ritenere più vera la vecchia
distinzione destra/sinistra, riconoscere e mettere nel mirino il
NEMICO, affrontarlo con linguaggi, idee, proposte. Sul suo terreno.
NEMICO: senza sconti od eufemismi, come ci ha insegnato Carl Schmitt.
Ma chi è, il NEMICO? NEMICO è il
liberalcapitalismo nella sua versione ultima, la globalizzazione
mondialista. Dobbiamo considerarlo NEMICO innanzitutto perché si agisce
come tale con noi, persone, comunità, culture, uomini e donne del mondo.
Nel passato abbiamo avuto come nemico il
comunismo, ma, sepolta la falce, dismesso il martello, liberalismo e
comunismo si rivelano fratelli. Fratelli-coltelli, ma sempre fratelli.
Lo stesso Islam è nemico solo nella sua
componente più folle, peraltro alimentata proprio dagli strateghi del
liberismo globalizzato, questi dottori Stranamore della guerra (loro)
contro tutti.
NEMICO totale è il partito unico della
riproduzione neocapitalistica, con unicità di programma-privatizzazione
del mondo – e unicità di pensiero (condurre le pecore matte verso il
feticcio “merce”).
NEMICO è l’UNICO, il totale, il
capitalismo globale formato da banche, istituzioni finanziarie.
Multinazionali più grandi degli Stati, che controllano materie prime,
industria, ricerca, commercio, distribuzione, diffusione delle notizie,
circolazione delle idee, letteralmente l’aria (inquinata da loro) che
respiriamo, l’acqua che beviamo, all’ombra della forza militare
dell’esercito americano.
Cuore di tenebra. (Conrad “oh, l’orrore, l’orrore”).
Un liberismo libertario, libertino
alimentato dal mito del progresso lineare (dopo è meglio di prima, nuovo
è meglio di vecchio). Il mercato è un fine, anzi una condizione
naturale, come l’acqua per i pesci, e non un mezzo.
Ciò che atterrisce è la sua
illimitatezza, la sua estensione all’infinito senza profondità. Il
capitalismo avverte ogni limite come un ostacolo, dunque tende a
travolgere tutto, in una distruzione “creatrice” che risveglia gli
“spiriti animali”. Inquieta l’idea che non si ritenga il migliore dei
mondi possibili, ma l’unico, il DEFINITIVO.
L’uomo che plasma, che abbiamo definito “oeconomicusconsumens”,
non può fermarsi, sospinto nella corsa selvaggia verso l’acquisto. Adam
Smith (“ Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del
fornaio, che noi ci aspettiamo la nostra cena, ma dal loro rispetto nei
confronti del loro stesso interesse.”).
IL MERCATISMO
Unico orizzonte, il mercato, il prezzo
unico criterio di valore, il denaro unico obiettivo. Sta qui il
carattere totalitario dell’ideologia liberista, la sua struttura
distruttrice di ogni legame morale, nazionale, familiare, civico,
religioso, “comunitario”.
Marx, da materialista storico, ne tratteggiò
con compiacimento la natura negatrice di ogni orizzonte di trascendenza o
di spiritualità. Sbagliava nell’attribuirla alla classe della borghesia
e non al capitalismo come tale. Che ha infatti esautorato i vecchi
valori borghesi, con una fortissima accelerazione dopo il Sessantotto,
ostetrico di un nuovo capitalismo antiborghese, che abolisce il limite,
promuove la hybris, l’arroganza, la febbre del dominio ed invera il mito di Prometeo che apre il vaso di Pandora.
Un’ideologia di dominio, che sottomette
la scienza alla tecnica, proclamando che tutto ciò che si può
tecnicamente fare, va fatto. Senza limite, purché si possa
compravendere. Un sistema che deborda nel soggettivismo più estremo,
cinismo, indifferenza morale, mistica dei “diritti” civili, purché
compatibili con il consumo.
Anche il corpo non è più nostro,
magazzino di pezzi di ricambio, uteri in affitto, sperma venduto. Si
abolisce anche il rispetto per i morti – cardine di tutte le culture:
eutanasia (muori, tanto non servi più), le ceneri dei defunti disperse
in mare o sparate in aria (è la trovata commerciale di un imprenditore
funebre astigiano).
E poi, distruzione metodica delle
nazioni e delle civiltà, mescolamento delle razze, contaminazione
generalizzata, attacco alla sovranità statale e popolare, costruzione
di una rete fittissima di colossi economici e finanziari interconnessi,
miseria indotta e predatoria per interi continenti. Il trionfo
dell’UNICO, unico pensiero, programma, prospettiva, destino.
Su tutto, incombe la tecnica, “pensiero che non pensa” (Heidegger), che è l’impianto (gestell) della rete di comando e di controllo panottico (CIA, NSA, rete di telecomunicazioni, ma anche Facebook e le card che abbiamo in tasca, attraverso cui forniamo docilmente ogni informazione su noi stessi).
Le sentinelle sono gli specialisti
“senza intelligenza”, ascari di un sistema feroce per supponenza,
arroganza, smania di asservire.
Tutto deve essere calcolabile,
controllabile, non più dottrina o sapere, ma ricerca finalizzata
all’applicazione in vista dello sfruttamento, con una terribile
eccedenza dell’avere sull’essere, e nella negazione del conflitto (il pòlemos
che è legge di vita). Ma il Mercato regola tutto, ha una mano
invisibile, chi perde era il peggiore, non ha saputo giocare alle
“naturali” regole monopolistiche, anche per l’istruzione, per l’acqua, i
servizi alla persona.
Unica trinità ammessa alla venerazione:
Mercato, Efficienza, Progresso. Traduzione: più lavoro, meno diritti,
massimo stress, abolizione della memoria, discredito delle idee.
Capitalismo – qualcuno enfatizza in capitalesimo – come globalizzazione
nel denaro, abolizione di ogni frontiera, cosmopolitismo del profitto,
colonizzazione dell’immaginario attraverso i modelli veicolati dai
media, che ci espropriano persino del controllo del corpo (eterna
giovinezza chirurgica, tatuaggi, depilazioni – body building significa appunto costruzione del corpo, spesso con anabolizzanti o altre schifezze farmacologiche).
Una trinità padrona, padrona totale,
anzi monopolista radicale, secondo la felice espressione di Ivan Illich,
della surmodernità confortevole, ed ipnotica, in cui la grande
bruttezza dei nuovi luoghi si appaia all’IDENTICO dei non-luoghi –
stazioni, aeroporti, centri commerciali, in cui si consuma il rito delle
transumanze vacanziere o degli acquisti di merci per lo più inutili, in
cui il desiderio è rilanciato sempre in avanti, una pallina di un
flipper impazzito, generando, tra mode, pubblicità e comportamenti
standardizzati, l’indispensabile insoddisfazione di massa.
Una massa che in astratto può tutto, ma
concretamente nulla, prigioniera delle leggi esoteriche ma ferree del
Mercato, che, come Dio, è in cielo, in terra ed in ogni luogo, giudice
onnipotente, onnisciente, e benevolo con chi gli consegna anima, corpo,
portafogli.
Ma dov’è il mercato, e chi è, questa
grottesca entità? E perché dobbiamo adorare un mezzo? Ricordate le tre I
di Berlusconi (Internet, Inglese, Impresa)? Sono solo strumenti, che,
se mitizzati, diventano meccanismi di omologazione universale.
Economia di scala nelle imprese:
dobbiamo tutti indossare un certo abbigliamento prodotto in Cina,
mangiare un determinato cibo trattato con gli OGM – organismi
geneticamente modificati – e forse Monsanto diverrà il patrono dei
contadini – andare al mare tutto compreso in Egitto con un volo charter,
ascoltare la medesima musica rumorosa, ritmata prodotta dalle “majors” con l’aiuto della tecnica, parlare l’identico “slang”
da ghetto negro. Per gli intellettuali, gli economisti ed i gruppi
dirigenti c’è la lingua di legno delle definizioni anglofone: jobs act, fiscal compact, eccetera.
Tutto è merce, anche gli esseri umani: questo è totalitarismo, anzi schiavismo !
RIPOLITICIZZARE LE NOSTRE VITE
E’ la notte del mondo: prevalenza
dell’1% dell’umanità (alta finanza, banchieri, azionisti e dirigenti
delle multinazionali), tutt’al più del 10%, includendo i loro pasciuti
servitori politici, mediatici, accademici, intellettuali, sul 90 per
cento che siamo noi. Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi del
mondo, lo ha ammesso onestamente: una lotta di classe vinta dai ricchi
su tutti gli altri.
Un vuoto in cui al disincanto, alla
desacralizzazione si unisce la spoliticizzazione. Dobbiamo
RIPOLITICIZZARE il cuore ed il cervello della cosiddetta società aperta,
che silenzia, deride, criminalizza, calunnia chiunque sia fuori dal
coro assordante del politicamente corretto e non segua il piffero magico
della globalizzazione. Il ballo del quàquà in mille tonalità diverse.
Un mondo disumano e capovolto, nel segno
dell’alienazione e del non poter essere se stessi, addirittura
vergognandosi dei propri pensieri non conformi. Polizia del pensiero,
autocensura.
Un universo della globalità in cui si
produce per la (sovrap)produzione, si acquista per accumulare cose, ci
si sacrifica ed indebita senza una ragione diversa dal catechismo della
cosiddetta crescita e del consumo.
Tempo del fatuo, del provvisorio e dell’intercambiabile, avvolto in se stesso, civilizzazione senza civiltà.
Si dipende dalle cose; l’uomo nuovo
liberal-global-mercatista, non è più creatura, ma creatore, ed insieme
atomo egoista, singolo, nudo di fronte alla mega macchina che avanza e
trita tutto in nome del Denaro e del Mercato.
E’ una corsa verso il nulla di uomini
sradicati, ma il radicamento in un luogo, una cultura, una comunità, in
un destino condiviso in cui ci si riconosce ed identifica è un’esigenza
vitale dello spirito, come sapeva Simone Weil; si è invece preda di un
egoismo febbrile, smanioso e possessivo, di milioni di singoli che si
riuniscono allo scopo di scambiare merci e generare profitti. Criceti
nella ruota, chiusi nella gabbietta.
Questo sembra il destino dell’homo sapiens,
smarrito nella cura di sé all’ombra di un potere a cui si può, tutt’al
più, leccare la mano. Un uomo che ha bisogno del bisogno, con l’economia
come destino, perché è legge di natura, come prescritto da Smith,
Ricardo e seguaci.
Ma l’uomo? La natura, l’identità,
l’infinito arcobaleno di colori che è in ogni vita ed è forza di ogni
comunità e credenza? Tutto perduto, dissolto: sciolti da vincoli,
illimitati nella tecnica, perplessi cittadini del mondo, schiavi di una
piovra gigantesca, massificati, cerchiamo identità “di riserva” nelle
merci simbolo di stato, nel nomadismo, nelle novità, nell’alzare
l’asticella dei piaceri e delle pulsioni. Un sistema accattivante, per
molti luccicante, ma non per questo con sbarre meno robuste del passato.
LE ARMI DEL NEMICO
Detto del NEMICO, identificato senza
dubbio, occorre da adesso portare l’attacco al suo cuore, con il suo
lessico, perché “dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva”,
un’altra folgorazione del grande romantico Hoelderlin.
Un potere rigidamente materialista, che
disprezza l’uomo, ed ha un progetto di dominio generalizzato attraverso
l’azzeramento di tutte le differenze e la riduzione all’identico.
Già la Rivoluzione Francese aveva
screditato i valori aristocratici e popolari in nome di quelli borghesi.
Il 1968 ha poi rovesciato le credenze borghesi e lanciato il nuovo
dogma libertario del vietato vietare. Abbattuto tutto, sulle macerie è
stato edificato un mercato. Una rivoluzione, quella del 68, dei figli
degeneri della borghesia che, indirizzata, sfruttata, cavalcata dal
neo-liberismo, ha sfigurato l’Occidente.
Gli strumenti del nemico, la
sovrastruttura di cui si serve, è l’impianto normativo costruito dal
positivismo giuridico per affermare il controllo delle tecnologie da
parte del vertice economico finanziario, insieme con l’egemonia
culturale per asfissia delle opposizioni. Scopo, l’appropriazione
privata del mondo. Il diritto internazionale è riformulato a
giustificazione e riproduzione della ragione del più forte, al riparo
della retorica incapacitante dei “diritti umani” e delle “riforme”, che
significano privatizzazione di tutto, erosione graduale dei diritti
sociali e comunitari, abolizione della sovranità popolare, nazionale,
statale.
Il nuovo cittadino del mondo è precario, (precario deriva da precor-prego).
apolide, anglofono – la sottrazione progressiva della lingua madre è
una potente privazione dell’identità –, sprovvisto di una cultura
diversa da uno specialismo triviale, grugnisce una lingua di legno, il
resto è SMS.
L’Europa, una nonna l’ha definita questo
Papa sconcertante, cede senza lottare all’americanizzazione (cibi Mc
Donald, ideale dell’avere, meticciato da immigrazione imposta con le
menzogne e con dosi industriali di melassa politicamente corretta, nuove
feste – Halloween che sostituisce Ognissanti.
Perdere sovranità significa non solo non
contare, ma non ESSERE più nulla. Machiavelli individuava la sovranità
nel possesso di forze armate e nell’emissione di moneta.
Oggi la moneta è emessa, anzi creata dal
nulla, da banche private, le forze armate sono quelle di occupazione
delle 106 basi americane in Italia e della già costituita polizia
superstatale europea onnipotente, Eurogendfor.
Il tutto è fatto digerire da uno
spregevole clero di intellettuali, economisti, uomini di spettacolo,
giornalisti, politici, preti (la sottoclasse dominata all’interno della
classe dominante, come l’ha definita Costanzo Preve). Un capitalismo,
quello egemone, che, a differenza del suo omologo commerciale di ieri,
che agiva sulla domanda, la crea direttamente e possiede l’arma totale
dei suoi strumenti transnazionali: Organizzazione Mondiale del
Commercio, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, al servizio
privato della globalizzazione, organizzata sulla matematizzazione
radicale di tutto l’esistente, anche l’immoralità ed il malaffare.
Pensiamo al PIL (Prodotto Interno
Lordo), in cui recentemente è stato inserito il calcolo dei proventi di
prostituzione, traffico di droga, attività criminali mafiose. La faccia
nascosta della luna, ma almeno hanno gettato la maschera: tutto è
computabile, purché sia oggetto di scambio monetario.
Delocalizzano le produzioni ed anche le
sedi legali delle aziende, distruggono le protezioni sociali che in
Europa sono la creazione di grandi conservatori come Bismarck e da
corporativisti come Mussolini e Salazar, oltreché la richiesta imperiosa
della Chiesa Cattolica della Rerum Novarum(1891).
Non hanno più bisogno di classi medie
forti, benestanti e numerose. Per questo dobbiamo difendere dai
monopolisti la proprietà, che deve essere diffusa, reticolare, non
troppo difficile da acquisire, giacché crea coesione sociale e libertà
concreta.
Lo hanno affermato i grandi della
tradizione conservatrice come americana come Barry Goldwater e Russell
Kirk (fusionismo), lo hanno capito persino teorici “loro” come Von Hajek
(chi possiede tutti mezzi, determina tutti i fini). Il mercato deve
essere aperto sia in entrata sia in uscita: invece entrano, anzi
irrompono solo pochi giganti, che scacciano e gettano sul lastrico tutti
gli altri.
E’ una società dell’ESPROPRIO, che
gestisce masse di disoccupati cronici come un problema di ordine
pubblico, e fabbrica per loro paradisi artificiali e sogni impossibili
(alcool, gioco, sballo); commercializza la salute e la trasmissione
della vita. Genera instancabile paure sempre nuove – epidemie,
terrorismi, nemici esterni, mali assoluti, e poi, con il politicamente
corretto, smussa gli angoli, nega i fatti, nasconde, frena, inibisce.
Intanto, ci ruba l’anima mentre ci sfila il portafogli e ci nega i
diritti naturali, con norme e nuove credenze fatte apparire come leggi
indiscutibili dettate dal Mercato (maiuscolo, maiuscolo!).
E’ il Mercato che fa l’uomo. No,
l’economia non è una branca della meccanica, neppure una sequenza di
equazioni e simboli astrusi, tanto meno è il destino ineluttabile della
nostra specie, come ci obbligano a pensare, in un inedito “Ipse dixit”,
la corporazione degli economisti, banditori e sacrestani della
religione mercatista. La realtà, tuttavia, ospite fastidiosa, infrange i
pronostici, ed altro non resta loro che spostare in avanti le
magnifiche sorti e progressive.
Intanto, si ampliano le disuguaglianze
intollerabili dell’avere, giustificate dal mito del successo, si
diffamano ed azzerano le appartenenze, la famiglia, la Nazione, la
religione, lo Stato.
E’ il tempo degli ultimi uomini
(Nietzsche) in cui i rapporti sono qualitativamente uguali (la massa
consumatrice), quantitativamente diversi (il potere d’acquisto). Vecchia
e nuova alienazione: si socializza solo nei rapporti di mercato mediati
dal denaro, cellula virale della religione global-capitalista, e si
identifica la libertà con lo sfogo di capricci e pulsioni. Plus
–godimento e plus-valore…
Il Nemico – il cuore di tenebra – ha
potenti strumenti: dalle multinazionali, così grandi e influenti da
imporsi sugli Stati (e con l’istituendo Trattato Transatlantico sarà
ancora peggio) alle banche d’affari, ai paradisi fiscali, i luoghi in
cui si incontrano il denaro criminale e quello sottratto ai popoli
attraverso l’inganno del debito e la creazione monetaria. Il Lussemburgo
è uno di questi, e non a caso suo ex primo ministro è il mediocre
impiegato di concetto dei poteri forti Juncker, ora presidente della
Commissione Europea.
LE MENZOGNE DEL NEMICO. LIBERARSI DEL LIBERISMO.
Per tenerci tranquilli, ci infettano con
frasi fatte che invadono i nostri cervelli per diffusione ossessiva da
parte di una immensa rete di comunicazione, manipolazione, menzogna.
Vediamone alcune: i mercati sono
infallibili, la spesa pubblica è improduttiva e deve essere tagliata,
l’euro è una meravigliosa opportunità, viviamo al di sopra dei nostri
mezzi, progresso è la crescita dei consumi, i mercati devono organizzare
l’allocazione delle risorse, solo le banche possono detenere
l’emissione monetaria. Parole, poi, fastidiosi convitato di pietra,
vincono i fatti.
La spesa pubblica “improduttiva” è la
sanità, la scuola, la ricerca, la previdenza, la sicurezza pubblica, le
infrastrutture. Viviamo da anni al di sotto dei nostri mezzi, poiché
realizziamo costantemente imponenti avanzi di bilancio. Il resto è
DEBITO da pagare. Ma a chi? Ne riparleremo.
Solo l’Europa ci può salvare, ce lo
chiede l’Europa, quindi bisogna adeguarsi… a bande di oligarchi cooptati
da élites opache e logge varie. Integriamoci nell’Europa, che favorisce
la solidarietà. Falso: per tacere delle drammatiche vicende
dell’immigrazione, basta ricordare che è stata la Germania a distruggere
la manifattura italiana, sua temibile concorrente, ed ad aver affamato
Grecia e Portogallo per proteggere il sistema bancario di casa sua.
Altro assioma, o mistero doloroso: il
lavoro scarseggia, ma l’immigrazione aumenta. Benissimo, loro ci
pagheranno la pensione, loro fanno i lavori che noi non facciamo più
(per forza, vorremmo essere pagati e lavorare in sicurezza…) e comunque
non è vero che creino criminalità e spese per l’assistenza. Vogliamo
rispondere, o ci limitiamo ad un “vaffa”?
Un breviario di falsificazioni, censure, rovesciamento della realtà, occultamento delle criticità e dei conflitti.
Su tutto, il più gigantesco degli imbrogli, quello della moneta, la sua creazione ex nihilo dal sistema bancario.
Strano davvero che in un mondo dominato
dalla razionalità, in cui si analizza, disseziona, classifica,
decostruisce tutto, si taccia sulla natura e la PROPRIETA’ iniziale del
danaro. E’ neutro, dicono loro. Invece, lo creano dal nulla, con un
artificio contabile, un bip sulla tastiera da parte delle banche
centrali – sancta sanctorum del potere globale – istituzioni
private e svincolate, per legge internazionale, da ogni controllo
politico e contabile.
Il quadro giuridico l’hanno commissionato loro.
Creano il denaro e lo prestano a strozzo agli Stati, nella misura ed al
tasso stabilito da loro. Questo è il debito, che, in tutto il mondo,
pare sia quarantaquattro volte il PIL. Impagabile, ovviamente, ai suoi
inventori. Chi comanda, allora?
L’Italia è in crisi dal 1981, quando un
ministro criminale, Andreatta, impose la divisione tra Tesoro pubblico e
Bankitalia, che, peraltro, era ancora controllata da banche pubbliche,
privatizzate poi negli anni 90 – ministro ancora Andreatta e governatore
della banca Ciampi, venerato padre della patria (dei banchieri e dei
massoni).
SOVRANITA’
Senza una moneta nostra, come possiamo
avere una politica economica? Qui nasce la battaglia più grande di
tutte, quella sulla SOVRANITA’, il ritorno dello Stato e dell’INTERESSE
NAZIONALE.
La moneta deve scarseggiare, ovvio, la
creano loro, e le politiche finanziarie devono essere restrittive:
altrettanto chiaro, stringiamo noi! L’Italia butta miliardi per
alimentare il MES, Meccanismo Europeo di Solidarietà, un’istituzione
simile al FMI che paghiamo adesso affinché ci presti in seguito i nostri
stessi soldi a gravose condizioni politiche (!!!!), contrae i salari –
ai tempi dei miei genitori con uno stipendio si manteneva una famiglia,
adesso si stenta con due – iscrive il pareggio di bilancio nella
Costituzione, sublime vergogna cui si è opposta in Parlamento la sola
Lega Nord, alcuni deputati del centrodestra e nessuno della sinistra.
Intanto, mentre il mercante di ieri
rischiava denaro suo, il finanziere moderno usa quello altrui, o meglio
ancora, quello che non esiste e che lui, miracolo, trasforma in credito
SUO e debito nostro, creandolo dal nulla (avete presente il quantitative easing?).
Un modello paranoide, con la tecnica del denaro che dirige tutte le
altre. E’ dunque imperativo liberarsi del liberismo, ritornare al
principio speranza contro il dogma dell’ineluttabile.
DESTRA E SINISTRA. LE GABBIE DEL PASSATO
Ma, tutto quanto detto, è di destra o di sinistra? La realtà è di destra o di sinistra?
Destra e sinistra sono concetti del
tutto sorpassati, criteri che hanno descritto stagioni storiche
esaurite, quindi oggi fuorvianti, e vanno quindi attraversati,
oltrepassati, a meno di non chiedersi, senza l’ironia di Giorgio Gaber,
se la vasca da bagno è di destra e la doccia di sinistra.
Norberto Bobbio, il sopravvalutato
maestro di pensiero dell’invecchiata sinistra borghese, scrisse che la
differenza insuperabile tra destra e sinistra risiede nell’opposto
giudizio sull’uguaglianza.
Questo è in una certa misura vero, ma c’è
almeno una diseguaglianza che la destra “morale” non ha amato, ed è
quella derivata dal possesso del denaro.
Esiste semmai una distinzione
più valida, quella del richiamo alla legge di natura ed al principio di
realtà: idee che evocano un ordine dato, superiore e persino
trascendente, care alla destra e bestie nere di ogni sinistra.
Ma è facile individuare diverse coppie
di opposti attorno ai quali organizzare un sistema di principi,
riferimenti, antagonismi: alto/basso; materiale/spirituale;
effimero/duraturo; vuoto/radice; ignoranza/conoscenza; precario/stabile;
oligarchia/popolo; parassiti/produttori; cosmopolitismo/identità.
Oltre destra e sinistra anche per un
motivo pratico: dei due termini, quello “positivo”, dalla rivoluzione
francese che li ha coniati, è sinistra, giacché nasce dall’esaltazione
di un totale rovesciamento di prospettiva, che destituiva il Giusto ed
il Diritto, innalzando il suo contrario.
Dopo la caduta del comunismo, peraltro,
lorsignori hanno incluso nel cerchio del potere e del bene chiunque
accettasse il nuovo paradigma della vittoria della liberaldemocrazia
come “migliore dei mondi possibili” e unico sistema di relazioni
sociali. Un cerchio non può avere una destra e una sinistra, ha un
dentro e un fuori.
LA BATTAGLIA DELLE IDEE
Fuori, dunque, fuori, con i popoli,
affrontando senza timore, e ribaltando, le nuove etichette demonizzanti
dei “superiori”: razzisti e populisti. Del razzismo presunto rido (è un
marchio utile per tutte le stagioni, rancido e senza significato come
pochi altri), quello vero lo hanno inventato e praticato i “buoni”
anglosassoni, che hanno tratto e commerciato schiavi sino ad un secolo e
mezzo fa.
E’ razzista chi ama la sua gente e la sua cultura. O chi affama imparzialmente tutti?
Populista è una parola bella. Populismo
altro non significa che attribuire valore al popolo, e rifiutare di
perdere i propri costumi, credenze, usi e modi vivere. Populista è colui
che ascolta il suo popolo, ne interpreta gli umori e ne riceve un
consenso. E’ una forma mentis, una griglia interpretativa, un
GIUDIZIO che porta a reagire in un certo modo ed a pensare che un nuovo
problema vada affrontato nel segno, nella specificità e nell’interesse
di un certo popolo. Per dirla con un sintagma “colto” tratto da George
Herbert Mead (i populisti sono ignoranti per definizione…), il mio
popolo è per me “l’altro significativo” e l’”altro generalizzato”.
Il populismo porta una massa a diventare
soggetto politico attivo. E’ un male? Non è, invece, disprezzare la
saggezza del popolo, negare nei fatti quella democrazia santificata a
parole? E se la democrazia è rappresentanza, ma la rappresentanza non
c’è più o è manipolata, eterodiretta, c’è ancora democrazia?
Destra e sinistra sono oggi due protesi
per ingessare il consenso, addomesticarlo nella tolleranza repressiva di
una democrazia sedicente in cui le forze in campo condividono la stessa
tavola di valori, perseguono gli stessi fini, rispondono alle medesime
centrali. Internazionalismo dei mercati, progresso indefinito, mistica
dei diritti soggettivi, economia come “unicum”.
Il sistema che abbiamo designato NEMICO
si riproduce a destra nel denaro e nella privatizzazione del mondo, a
sinistra nel relativismo morale e nel libertinismo libertario, e si
incontra tranquillamente al centro nello scambio politico e nel
trasformismo.
Alternanza senza alternativa (Jean Paul Michéa).
Nostro compito è quindi riportare il
conflitto nell’alveo dei valori del nostro popolo, cioè ritessere i fili
sparsi di una comunità. Costruire un nuovo comunitarismo.
COMUNITARISMO
Un’altra parola equivoca, sembra evocare
il comunismo, ma significa, al contrario, situare, configurare,
ancorare, radicare l’uomo e la sua vita di relazione in un orizzonte
concreto, la famiglia, la terra natia, la patria, il mestiere, lo Stato,
la religione, i costumi, la rete concreta di relazioni personali e
sociali. Ri-diventare ciò che si è (Nietzsche).
Le comunità sono unità sociali
tendenzialmente compatte, in armonia organica, coscienti delle diversità
da integrare progressivamente, ma a partire da un centro etico e da un
nucleo di principi comuni. Lo comprese persino il giovane Marx:
“Unicamente nella comunità diviene possibile la libertà personale “.
Comunità è diretto esercizio della
decisione, assunzione di responsabilità. E’ antitesi dei due poli
segretamente complementari di individualismo e collettivismo. E’ il noi
cui ci richiama la lezione di Giovanni Gentile, è la libertà praticata
dal cittadino greco che delibera personalmente perché nella “polis” è
davvero un animale politico, secondo la celeberrima definizione di
Aristotele, e sa valutare ogni cosa con equilibrio, idea del limite,
giusta proporzione, e possiede il “logos”: ragione, misura, senso comune.
Comunitarismo è anche la ritorno del padre come legge – nomos - il padre, divorato, dissolto dalla modernità, da Freud in poi, ma forse già dalla decapitazione di Re Luigi XVI.
Ad Itaca domina l’assenza di legge
perché manca Ulisse, il padre. Ulisse torna, tende l’arco come solo lui
riusciva a fare, sconfigge i Proci – il caos – ridà unità e norma allo
Stato. Egli, padre del debole Telemaco, è lo Stato.
Comunità, infine, è SOVRANITA’ ed
IDENTITA’. L’identità è un problema contemporaneo, prima essa era
vissuta come dato naturale, perché ciascuno era inserito in una
comunità, e vi rivestiva un ruolo, anche se minimo.
IDEARIO COMUNITARISTA
Proviamo allora ad abbozzare un’agenda
“comunitarista”. Innanzitutto, distinguersi. Ci chiamano populisti?
Benone, è una qualificazione chiara, vuol dire che siamo diversi e
fastidiosi.
Poi, ricominciamo ad utilizzare senza
paura alcune parole “nostre”: comunità, Patria, ma anche “normale” al
posto di tradizionale. Famiglia normale, non tradizionale quella di uomo
e donna aperti alla procreazione, il modello è quello normale, non
“tradizionale” parola che tende a screditare. Fuori centro sono gli
altri: le parole sono pietre.
Contro il NEMICO usiamo le “sue” parole.
Parlano di democrazia h.24. Ma siamo noi a invocarla, pretenderla,
questa è parodia, imbroglio, sistema per fregare la gente con il suo
consenso. Democrazia della troika di Bruxelles (Banca Centrale, Fondo
Monetario, Commissione europea), dei fantomatici mercati, dei banchieri,
delle agenzie di rating…
E’ democratico dipendere da costoro, e
dall’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) dalla BM (Banca
Mondiale) e da non si sa quante altre sigle esoteriche, non poter
decidere se l’euro ci piace o no, se siamo d’accordo ad essere comandati
da monsieur Juncker e dal bankster Draghi, o se è una bella cosa avere
in casa l’esercito americano da 70 anni?
E’ democrazia privatizzare financo
l’acqua e lasciare in mani straniere le reti di telecomunicazione,
consentire che il destino di industrie strategiche dipenda dalla
magistratura (Ilva) o da interessi stranieri (Terni, Fiat, Alitalia)? E’
democratico morire di malasanità, temere mascalzoni multietnici,
lasciare invadere il territorio nazionale, vedere occupate la nostre
case?
LIBERTA’, ma libertà “di” poter fare,
poter essere, pensare, agire. Basta con leggi liberticide: legge
Mancino, omofobia, vilipendio, negazionismo di aspetti della storia,
financo di salutare in un dato modo…
SOLIDARIETA’, certo, ma a partire dai propri simili – questa poi è anche la fraternité giacobina! – e poi verso chi lavora onestamente o vorrebbe farlo, verso chi è come noi, nell’animo e nei sentimenti.
Ma anche VERITA’, basta relativismo, il bene è bene, il male è male e va proclamato.
MERCATO, senz’altro, ma anche regole di
comportamento, interventi pubblici conformi quando serve, proprietà
estesa, confronto, concorrenza tra molti, non distruzione scientifica ed
espulsione dal mercato dei più ad opera di pochi giganti.
STATO, sì, ancora Stato. Italia, Stato nazionale, meglio se presidenziale e federale, perché è il luogo della sovranità.
COSTITUZIONE: riprendiamocela, poiché è
stata abolita di fonte di fronte al potere della finanza ed alla
prevalenza del diritto comunitario, fatto di migliaia di regolamenti non
ratificati da alcun organo elettivo. La Costituzione va ripristinata
affinché garantisca il risparmio, tuteli la piccola e media proprietà,
imponga la partecipazione azionaria e la cogestione delle imprese, il
fisco lasci in pace noi e colpisca le grandi “persone giuridiche” e le
fondazioni; ritorni in vigore la libertà di pensiero, e la sovranità sia
restituita al popolo italiano che ne è il solo titolare.
SOVRANITA’ monetaria, perché possiamo
essere i banchieri di noi stessi, e la moneta si accetta per fiducia ed
aspettativa di futuro. Il futuro siamo noi, non i criminali in grisaglia
detti pomposamente “autorità monetarie” ed i loro sguatteri politici.
SOVRANITA’ militare, poiché il mondo si
regge sui rapporti di forza, SOVRANITA’ territoriale, siamo l’unico
Paese che paga per essere invaso dai barconi e che tratta i clandestini
meglio dei suoi disoccupati e pensionati.
SOVRANITA’ alimentare: se mangiamo del
nostro, facciamo rabbia alla globalizzazione e miglioriamo l’ambiente.
SOVRANITA’ economica, le leggi di spesa e la politica industriale la
dobbiamo decidere noi, altro che usurai e ragionieri di Bruxelles.
E poi, attenzione alle idee nuove che
circolano ai margini e fuori dal potere: la decrescita, che non
significa povertà, ma lotta agli sprechi, riuso di scorie e residui, non
pensare più in termini esclusivi di consumo, inventare nuovi usi per
vecchi prodotti.
COMUNITARISMO, perché abbiamo bisogno di
convivialità, stare insieme, scambiare vita e beni non economici e non
monetari, ritrovare un modello “vernacolare”, rilocalizzato nei saperi e
nelle culture materiali tramandate, che sa bastare a se stesso,
produrre e riprodurre valori, conoscenze, modi di vita.
COMUNITARISMO è anche ecologia, ovvero
conservazione, trasmissione (tradizione…) del Creato. Non si può correre
all’infinito, “crescere” in merci senza un termine, se il globo è
finito.
E naturalmente, IDENTITA’, noi siamo noi
e non altri, nel dialogo e nell’apertura al mondo, ma basta con
individui smarriti, nudi proprietari di se stessi, che non sanno più che
fare della vita e della emancipazione da tutto.
Una comunità accogliente, ma a partire
da NOI, dalle nostre appartenenze, che sono la lingua dei significati.
Siamo padri, figli, lavoratori, cittadini, intellettuali, studenti,
lavapiatti, artisti, ma dentro un senso comune, all’interno di una
storia. Contrario dell’identità non è la differenza, ma l’omologazione,
l’uguale, l’indifferente: ci assomigliamo tutti, perché siamo diversi.
Diventiamo, come comunità di idee, meno
chiusi in noi stessi, accettiamo di percorrere tratti di strada con
culture altre, che condividono però frammenti di idee, di valori, di
interessi. Dopo le ideologie, oltre destra e sinistra, conta dove
andiamo e che cosa vogliamo, non come eravamo.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi, se restiamo schiavi (W. Shakespeare – Giulio Cesare).
di: ROBERTO PECCHIOLI
fonte articolo: ereticamente.net
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