di: Paolo Sizzi
Quando sento parlare di ius soli,
la mia mente, in realtà, non corre immediatamente alla recente gazzarra
del centro-sinistra italiano, tesa a regalare la cittadinanza italiana a
tutti coloro che nascono sul territorio nazionale. Il diritto
incentrato sul suolo, sulle prime, mi fa pensare proprio al suolo, senza
inflazioni politiche e ideologiche, alla sacralità della terra natia,
della patria, che da millenni si chiama Italia, ma anche Lombardia,
Veneto, Toscana, Umbria, Roma, Napoli e Sicilie, Sardegna e Corsica. E
infatti, lo sappiamo bene, l’irrinunciabile e sacrale legame
coerentemente identitario si basa sul binomio di sangue e suolo, da cui,
del resto, nasce lo spirito, la cultura (con tutto ciò che questo
termine comporta) di un popolo ben preciso.
Sappiamo però anche, purtroppo, che ius soli
indica il diritto ad acquisire la cittadinanza di uno stato (e in
effetti sarebbe sempre meglio evitare di confondere il concetto
antifascista di cittadinanza con quello di nazionalità) semplicemente
perché un individuo qualsiasi viene al mondo in un determinato Paese, e
poco importa se con quel Paese costui non ha alcun legame: basta
nascerci. Cosicché uno può essere nordafricano, mediorientale, asiatico,
oceaniano, sudamericano, negroide, rettiliano, marziano ma se esce dai
visceri di sua madre (un’immigrata fresca fresca e davvero allogena
fecondata da un altro allogeno fresco fresco) su suolo italiano, secondo
lo ius soli ha tutto il diritto di diventare italiano, come se
essere italiano potesse limitarsi alla struttura ospedaliera italiana
dove costui nasce.
Credo che proprio alla luce di quell’inscindibile legame identitario che intercorre tra sangue e suolo, un concetto sano di ius soli dovrebbe prevedere una completa integrazione nello ius sanguinis,
dove uno appartiene ad una nazione per sangue ma anche per diritto di
suolo, poiché un conto è un individuo biologicamente ed etnicamente
europeo che nasce in Europa da genitori a tutti gli effetti europei
(anche culturalmente, dunque) e un altro è il soggetto, europeo per
sangue, che però nasce altrove da genitori parimenti europei ma ormai
legati da tempo ad altre terre, come potrebbe essere per gli abitanti
bianchi delle Americhe.
Un’integrazione tra ius sanguinis e ius soli
sarebbe davvero ideale laddove sottenda un’identità genuinamente etnica
e nazionale di un soggetto, in quanto figlio di genitori del luogo (in
tutti i sensi) e nativo di tale territorio. Io sono dell’idea che
l’asettico concetto di cittadinanza tanto asettico (e sterilmente
burocratico), in realtà, non dovrebbe affatto essere perché pur
distinguendolo concettualmente dalla nazionalità rimane qualcosa di
fondamentale per l’accesso ai diritti e ai doveri del singolo, che mai
dovrebbe essere inteso come scheggia impazzita conficcata in un ambito
che non gli appartiene, ma come parte di una comunità etnica e nazionale
che non ceda in alcun modo ai ricatti dell’antifascismo,
dell’antirazzismo e di tutto il resto del ciarpame ideologico liberale o
progressista, che ha rottamato nazione e nazionalità ormai da decenni.
Lo ius soli, comunemente inteso,
trionfa in “nazioni” degenerate come gli Usa, il Canada, gli stati
dell’America centrale e meridionale (ossia in realtà che di nazionale
non hanno proprio alcunché essendo banalissime entità amministrative
nate assai recentemente) e, in Europa, in quelle realtà pseudo-nazionali
come Francia, Germania e Regno Unito che, non sorprendentemente, sono
ostaggio di tutte le minacce della società multirazziale: criminalità,
terrorismo, genocidio etno-culturale. E questo alla faccia dei soloni
democratici che vorrebbero darci a bere che stia proprio
nell’integrazione a tutti i costi il miglior antidoto al terrorismo e
dintorni! Ma certo, notoriamente il principale Paese europeo nel mirino
degli estremisti islamici, ossia la Francia, è un campione di razzismo e
intolleranza, e di accesso severissimo all’acquisizione della
cittadinanza!
Il fallimento del multiculturalismo è un fatto incontestabile, basta vedere cosa succede in america dove gang criminali divise in etnie e razza, si affrontano e si uccidono per il controllo della droga e delle strade, sullo sfondo di un vero razzismo e odio tra comunita diverse. Naturalmente sappiamo bene chi gioverebbe di questo caos e per quali motivi.
Se la cittadinanza, comunque sia, copre
un significato per lo più burocratico, non così la nazionalità che è
qualcosa di profondamente intriso di sangue e radicato nel suolo patrio e
che è dunque bene distinguere anche dall’accezione di stato. Ecco,
potremmo dire che la cittadinanza sta alla nazionalità come lo stato sta
alla nazione, da una parte la dimensione politica, amministrativa,
burocratica dall’altra quella fondamentale del sangue, del suolo, dello
spirito, che sono ciò che legittimano la prima dimensione, e non
viceversa. Se uno stato opprime una nazione questa ha tutto il diritto
di insorgere e autodeterminarsi, e ciò dovrebbe valere anche laddove lo
stato si svegli un bel mattino e decida di cassare il concetto di
nazionalità per snaturarlo con lo ius soli.
L’intera sinistraglia italiana è in
fermento per sdoganare anche da noi lo sciagurato provvedimento (che
speriamo tanto possa inabissarsi) e, pur essendo finita la legislatura
con lo scioglimento delle camere da parte di Mattarella, la minaccia è
solo rimandata. Le truppe cammellate di Pd, transfughi del Pd e
progressisti assortiti (non senza varie frange della schiuma liberale e
post-finiana) stanno da mesi martellando con la propaganda anti-italiana
in favore dei figli degli immigrati, il che comporta inevitabilmente la
liquidazione da parte loro dell’etnicità italiana, come se essere
italiani non significasse appartenere per sangue e suolo, e cultura
quindi, da millenni alla terra italica.
Certo, l’italianità è variegata e più che
essere un’etnia rappresenta una cornice storica, culturale, geografica
soprattutto in accezione italico-romana (ma anche mediterranea, etrusca,
longobarda); ma questa cornice racchiude un quadro indigeno costituito
da diversi popoli fortemente legati alla propria dimensione cittadina,
provinciale ed etno-regionale, gelosi della propria identità e della
storia d’Italia e delle sue precipue contrade. Non esiste in nessun modo
razionale possibile che si possa far diventare italiani, come per
magia, soggetti nati in Italia ma da genitori allogeni, e dunque
allogeno a sua volta, e questo non solo per questioni biologiche ma
anche culturali, ambientali, territoriali. L’Italia è sovraffollata,
soprattutto in zone come la Pianura Padana che oltretutto sono quelle in
cui v’è maggior concentrazione di immigrati (Centro-Nord), e alla
politica infame nostrana viene in mente di regalare la cittadinanza ad
una massa informe di individui che fino a ieri se ne stavano a migliaia e
migliaia di chilometri da noi?
Come nessuno di noi pretenderebbe di
ottenere cittadinanza diversa da quella dei propri genitori, qualora
dovesse, per qualche oscuro motivo, nascere in qualche stato straniero,
così nessun allogeno dovrebbe rivendicare alcunché sull’Italia che,
contro la propria volontà, si ritrova in casa milioni di alieni
approdati in una terra a loro straniera perché indirizzati qui dal
mondialismo e dalla globalizzazione (sì, dei problemi delle aree più
povere, travagliate e depresse). Con buona pace di individui alla
Saviano non solo esistono razze umane ma pure loro sottorazze e
ulteriori suddivisioni etniche, poiché per quanto vero che “etnia” è
concetto culturale, se di etnia verace si tratta non può essere scissa
dal dato biologico, di sangue, e anche di suolo perché è proprio dalla
fusione di sangue e di suolo che prende forma una cultura di un popolo
(o più popoli), una civiltà.
Queste irriducibili caratteristiche
identitarie non possono venire obliate né dall’italianità artificiale
della Repubblica Italiana né da quella multirazziale e multiculturale
che hanno nel cranio i piddini e i loro emuli, gente che intende copiare
pedissequamente il cattivo esempio di Francia, Germania e Regno Unito
per sentirsi “al passo coi tempi” e sedersi di diritto al tavolo dei
debosciati di stato. Deve essere chiaro che su identità e tradizione non
si può sindacare, soprattutto sul valore squisitamente etnico
dell’identità nazionale. Io sono profondamente critico verso chi adopera
l’Italia come una mazza per annientare le naturali differenze
etno-culturali interne; figuriamoci se si viene a parlare di loschi
figuri che con la untuosa scusa del terzomondismo bergogliano si sono
creati un’idea di Italia ancor più distorta che è quella della mera
succursale burocratica dello stato mondiale americano.
Ave Italia!
Fonte
Penso che la mente di questa cospirazione sono i rettiliani e i grigi e a loro volta gli Arconti.... il primo arconte fu yaldaboath
RispondiEliminaLoro sono la mente gli arconti
Paolo Sizzi non fa che riprendere il vecchio e amato concetto di Heimat, che può applicarsi in qualsiasi parte dello stivale, la Repubblica post 2ww ha avuto almeno fino agli anni 90 il merito di cementare un amministrazione statale che ha garantito un periodo di pace e crescita economica e culturale individuale mai vista prima, basi comunque messe nel bene e nel male dal regime precedente e nonostante si sia ormai colonia straniera dei vincitori, segno di una vivacità culturale nazionale mai messa a tacere completamente nonostante tutti gli sforzi di livellamento verso il basso tipici della democrazia. Che la salvezza dell'Europa passi grazie alla storia ed esperienza italiana e tedesca è un dato di fatto incontrovertibile, due mentalità che necessitano l'una dell'altra. Fantasia e adattabilità da una parte e cocciutaggine dall'altra, il vero mix vincente non solo per sopravvivere all'assedio ma per rigirare il mondo come un calzino e stupire bovari d'oltreoceano, cammellieri nordafricani e pastori di oche con gli occhi a mandorla e far tremare i polsi a chi è convinto che siamo già strangolati a morte con il denaro a strozzo. Ce ne saranno cose strane da vedere a partire dal temporale di questa notte, mai vista a gennaio una cosa del genere.
RispondiEliminajj