di: Paolo Sizzi
L’attuale
Repubblica Italiana partorita dal secondo dopoguerra, e dunque modellata
dalle grinfie di democristiani, partigiani, liberali, sinistrati e
altri servitori dei “vincitori” alleati, non è altro che una colonia
svuotata da ogni rimando genuinamente nazionale (ed etno-culturale).
Lo stato italiano che ci ritroviamo sul
groppone da una settantina di anni non serve l’Italia e il Popolo
italiano, a meno che per “Italia” si intenda la galleria di orrori
stereotipati che tanto diverte gli Americani; lo stato italiano attuale è
un apparato apolide, internazionale ed internazionalista, mondializzato
dove l’appartenenza di sangue, suolo e spirito conta meno di zero
perché a contare qualcosa è solo la vuota retorica patriottarda a base
di tricolori francesizzanti, ruote dentate, drappi azzurri e continua
confusione tra Risorgimento (affrancamento degli Italiani dal giogo
straniero) e Resistenza, cosiddetta (affrancamento degli Italiani
dall’Italia a tutto vantaggio di Americani, banchieri e agenti
globalisti anti-identitari).
In un quadro simile vengono
immediatamente meno la sovranità del Paese, l’autorità del suo stato e
l’identità della Nazione. Oggi “Italia” indica semplicemente l’apparato
statale occidentale ad uso e consumo della globalizzazione americana,
una delle tante sciagurate realtà politiche dell’Europa occidentale che
sta in piedi a suon di logge borghesi al servizio del mondialismo
alleato. E questa situazione non fa certo bene al verace patriottismo,
dal momento che la confusione costante tra stato e Nazione va a
detrimento dell’orgoglio nazionale e dello spirito d’appartenenza, che
dovrebbe legare gli Italiani senza micro-sciovinismi di sorta.
Di fronte ad uno stato apolide e
fallimentare che non serve il proprio Popolo ma gli interessi degli enti
sovranazionali ci si deve aspettare una deriva indipendentista, ad
esempio, per quanto non rappresenti una soluzione ma solo
un’esacerbazione del problema: l’unico risultato concreto di queste
chimere senza giustificazioni storiche è il disfattismo più lugubre.
Purtroppo lo stato italiano non fa gli
interessi degli Italiani ma dei suddetti enti internazionalisti che
mirano alla creazione di una gigantesca macedonia globale amministrata
da un superstato centralizzato, logicamente a guida americana; non si
ragiona più in senso nazionale (sarebbe fascismo, no?) e men che meno
etno-culturale (chiaro sintomo di razzismo) ma universale poiché
l’universalismo è l’unica cosa che non turba minimamente il mercato
globale e il dispotismo incontrollato del dio denaro e del suo culto
capitalistico.
L’Italia, quella vera che si innerva
sulla ricchezza etnica del Paese senza sfornare itaglioni caricaturali,
viene così ridotta ad una vuota e insipida italietta che conta solamente
quando si parla di ferie, di turismo, di svago e immancabilmente di
cialtronerie assortite sulla base dei logori cliché basati sui
difetti dei Meridionali. Essa non conta più alcunché da un punto di
vista di autorità, dato che è ingabbiata dall’Unione Europea, dalla NATO,
dall’ONU cui deve pedissequamente obbedire pena sanzioni e altre
assurdità senza capo né coda; non conta da un punto di vista di
sovranità, visto che non ha più una… lira (intesa come moneta nazionale)
e che il proprio mercato interno è soggetto al liberismo a tutto
vantaggio degli stranieri che si stanno accaparrando di tutto lasciando
le briciole agli indigeni; men che meno conta da un punto di vista
identitario, visto e considerato che oggi “Italia” indica al più una
squadra statale di pallone dove possono militare liberamente calciatori
di altri Paesi e addirittura continenti.
Figuratevi se in una situazione simile
l’Identità e la Tradizione italiane possono realmente contare qualcosa.
Uno sente parlare di “identità” e il suo pensiero corre al pezzo di
carta burocratico oppure, in maniera ben più scellerata, a quelle
corbellerie velenose del gender mirate alla creazione di finti
bisogni anarco-individualistici che non sono altro che capricci
consumistici funzionali al mercato. A quel mercato globale di cui
parlavo sopra che è esiziale nei riguardi della nostra economia e delle
nostre finanze, e innanzitutto nei riguardi appunto della nostra
identità.
Infatti, secondo voi, cosa può contare in
un desolante quadro europeo siffatto? I quattrini, e nulla più. Essi
rappresentano l’unica cosa che può unire genti disparate, rimescolate,
meticciate e promiscue, sull’esempio della società americana costruita
interamente sulla cittadinanza del consumismo e dell’edonismo, del
materialismo più becero che si fa beffe di ogni discorso realmente
patriottico (poiché a mio avviso “patriottico” significa etnonazionale, e
non miseramente statale).
Privare un Paese europeo di autorità,
sovranità e identità è quanto è in voga in Europa dal secondo
dopoguerra, in particolar modo se si tratta di quei Paesi dal passato
fascista o nazionalsocialista. Il tutto viene infatti sapientemente
condito dal senso di colpa atavico che deve essere espiato
genuflettendosi al cospetto del mondialismo e quindi cedendo la propria
sovranità al fine di obbedire alle più disparate castronerie
internazionaliste che spaziano dagli omosessuali ai migranti, dai Rom al
liberticidio antifascista tutto reati d’opinione e anti-revisionismo.
Quando il tuo Paese non conta più nulla
poiché imprigionato da uno stato-apparato che obbedisce direttamente ai
poteri forti mondiali ti devi aspettare la situazione che stiamo vivendo
da anni: barconi che infestano le acque del Mediterraneo, allogeni che
premono alle frontiere pronti a dilagare per seminare crimine e
arricchire le casse dei plutocrati, schiaffi all’identitarismo e al
sentimento nazionale frustrati dalle vessazioni tecnocratiche di boiardi
rinchiusi nelle loro belle torri d’avorio, e ovviamente sovversione
quotidiana dei valori tradizionali consolidati, simbolo di quella
salutare normalità che nulla ha a che vedere col grigio conformismo
borghese cui invece (senza magari saperlo) obbediscono i sinistrati
arcobalenati e pacifisti. Poiché signori, la libertà è il bene della
Comunità, non di pochi profittatori oppure dell’informe massa anarcoide.
La soluzione a questo distruttivo
marasma, a mio avviso, sta in un Paese corroborato dall’etnonazionalismo
e ordinato da un serio federalismo etno-culturale (prima che fiscale e
amministrativo) affinché l’Italia torni ad avere uno squisito
significato di Sangue e Suolo e in secondo luogo venga finalmente
rappresentata da uno stato nazionale che faccia innanzitutto gli
interessi del proprio Popolo, e poi dell’Europa, quella vera non la UE.
Preferisco di gran lunga una repubblica
italiana etnofederale per conto proprio piuttosto che una laida
accozzaglia di stati continentali dove a contare qualcosa sono solo gli
interessi dei ricchi, dei parassiti, delle banche e delle lobby
internazionali e dove invece gli interessi sociali e nazionali degli
Europei sono derubricati al livello di carta straccia o al massimo di
folclorismo da sagra paesana.
Ave Italia!
Fonte: ereticamente.net
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