"Una società malata non può che produrre malati, riconoscere questo semplice fattore è gia un unizio di guarigione".
dott. M. Schwartz
La nostra società è in preda ad un'epidemia di depressione.
I numeri sono piuttosto sconcertanti. Oltre il 20% della popolazione
americana sperimenterà almeno un episodio di ciò che definiamo depressione clinica. Per poter comprendere e superare il fenomeno, è necessario esaminarlo più in profondità.
La mia tesi è - in primo luogo - che i valori della nostra società ci inducono a vivere in modi che sono - effettivamente - intristenti. In secondo luogo, gran parte di ciò che definiamo depressione clinica, in realtà non corrisponde alla definizione.
La grande maggioranza delle forme di depressione odierne - infatti - sono di origine situazionale.
I sintomi della depressione risultano essere spesso le dirette
conseguenze di una serie di circostanze deprimenti, non certo di uno
stato patologico. In altre parole, in diverse circostanze essere depressi ha un senso.
Abbiamo smarrito la strada? Molti di noi vivono delle vite
automatizzate, robotiche e prive di significato e scopi profondi. Sempre
più spesso accade che si smarrisca ogni tipo di visione e passione.
Viviamo in una cultura fortemente competitiva, la quale premia la
realizzazione ed il successo. La nostra identità e autostima diventano i
riflessi di questi marker esterni. La nostra ricerca del benessere
diventa terribilmente male indirizzata. Le esigenze della nostra cultura
nevrotica affaticano il nostro equilibrio emotivo e psicologico ben
oltre la soglia di sicurezza. Il paradigma culturale in cui viviamo può
lasciarci scollegati, disincantati e isolati. Quando ciò si verifica, si
tende a compensare votandosi alla ricerca di acquisizioni materiali a
costo di sacrificare ad esse la capacità di vivere rapporti affettivi
con il prossimo e con se stessi.
Di solito le persone soddisfatte dal punto di vista delle relazioni
affettive non si sentono depresse. La depressione è sintomo di isolamento. Nella nostra foga di inseguire la bella vita, di solito finiamo per tagliare fuori delle relazioni che ci nutrivano senza
che ne fossimo consapevoli. Le relazioni intime e affettive vengono
sacrificate sull'altare delle nostre vite frenetiche. Il nostro ritmo di
vita diventa una sorta di ruota per criceti in cui ogni giorno è uguale
all'altro, fino al punto in cui la vita cessa di avere un significato.
Non abbiamo tempo per coltivare il rapporto con i nostri cari o con noi
stessi, e a un certo punto smarriamo la nostra visione di una vita ben
spesa. In realtà, il problema vero è che non abbiamo idea di cosa sia
una vita vissuta bene.
Persone Disfunzionali?
La nostra comunità terapeutica trova proficuo appiccicare alle persone e alle famiglie etichette quali: Disfunzionale.
Ma le persone non sono mai disfunzionali; lo sono i sistemi sociali. La
gente soffre e sperimenta dolore. Siamo esseri umani, non macchine da
riparare. Tale terminologia esprime disprezzo per lo spirito umano. E'
disfunzionale una società che produce tali tassi sconcertanti di
depressione. La cultura in cui viviamo ha creato questa epidemia.
Parte del problema è che a un certo punto finiamo per rinchiuderci in
uno schema fideistico che non serve il nostro scopo più elevato. Il
nostro desiderio di adattamento e conformità ci induce a ignorare e poi
perdere la nostra voce interiore. Siamo i sottoprodotti di un sistema di
credenze che ignora o svaluta ogni questione affettiva e punta il dito
accusatore contro coloro che soffrono di questo stato di cose. Il che
equivale a punire le vittime. Se abbiamo iniziato a percepire la
depressione come il sintomo di una vita deprimente, forse abbiamo anche
iniziato a capire che la cura consiste nel prendere atto dei desideri
della nostra anima. La depressione arriva quando si sopprime la voce dell'anima.
Esiste sempre una causa scatenante. I sintomi della depressione sono
segnali che richiedono a gran voce la nostra attenzione. L'attuale
epidemia di depressione è semplicemente indicativa di troppe vite
vissute senza cognizione di causa, senza gioia o scopo.
Le persone che svolgono con passione il proprio lavoro, che hanno amici e
amano le loro famiglie e partner non soffrono di depressione come il
resto della popolazione. Le persone che sono in contatto con il loro
spirito e sperimentano un senso di comunione non scivolano verso la
depressione. Le persone che mantengono un senso di meraviglia e di
stupore non si deprimono. La depressione non è un nemico. E' solo un
segnale di avvertimento che ci fa notare che non ci troviamo sulla
strada giusta. E la nostra idea folle e disconnessa di perseguimento
della felicità potrebbe avere molto a che fare con la strada sbagliata.
Prima dell'avvento della moderna psicoterapia e molto prima della
patologizzazione della depressione, erano codificati stati sintomatici
quali la melanconia. Era considerato normale che in alcune fasi
la vita producesse un po' di naturale malinconia. La tristezza era
considerata appropriata, a volte. Quando le persone sperimentavano uno
stato di tristezza permanente, amici e parenti gli si stringevano
intorno e le sostenevano. Nessuno riteneva che in tutto ciò vi fosse
qualcosa di sbagliato. Sostegno e attenzioni amorevoli sono gli agenti
più efficaci nel trattamento degli stati depressivi. Quando accantoniamo
la nostra compassione e identifichiamo le persone depresse con le
rispettive diagnosi, in realtà le stiamo disumanizzando.
La Nostra Società Produce Depressione?
Uno dei memi della nostra cultura è che chiunque dovrebbe essere felice,
dunque in chi non lo è dev'esserci qualcosa di sbagliato. La vita può
essere difficile. E l'abitudine a schedare un certo tipo di persona come
'depressa' è una enorme ingiustizia. Non sto suggerendo che non
esistano casi di depressione patologica, ma solo sottolineando l'assurda
grossolanità con cui attualmente la depressione è diagnosticata ad
interi insiemi di persone senza preoccuparsi di fare alcun distinguo.
Quando la depressione viene diagnosticata clinicamente ad un numero così
importante di individui, è necessario iniziare a parlare di qualcosa di
molto più ampio: di una società che ha smarrito la propria strada.
Molto spesso la depressione ha perfettamente senso. Nella mia esperienza
quotidiana riscontro spesso sintomi depressivi nelle persone vittime
di abusi, in coloro che vivono relazioni senza amore o che soffrono per
una perdita. La depressione in questi casi mi sembra abbastanza
appropriata. Piuttosto che trattare la depressione farmacologicamente
preferisco supportare queste persone nell'affrontare le grandi sfide
della vita. Bisogna trattare le persone, non gli stati depressivi.
Dobbiamo arrivare a comprendere che la persona depressa sta vivendo una
sfida esistenziale, e dobbiamo imparare a vedere ed apprezzare tale
battaglia. Ed a tutti costi dobbiamo smettere di ridurre le persone
depresse ad una compilation di sintomatologie cliniche.
La Depressione Situazionale.
In alcuni casi la depressione è situazionale. Un lutto o la perdita del
lavoro sono situazioni che producono stati depressivi. In questi casi
più che medicare il dolore è necessario lavorare sull'elaborazione della
perdita.
E' essenziale affrontare le cause sottostanti e non limitarsi a
sopprimere i sintomi. Il problema è che nella nostra cultura basata
sulle soluzioni rapide ci siamo persuasi che se siamo in grado di
sopprimere gli effetti siamo in grado di sopprimere le cause. Quando
arriveremo a vedere la depressione non come un nemico da abbattere, ma
come la manifestazione visibile di una lotta interiore, quel giorno
probabilmente riusciremo anche a risolvere gli stati depressivi molto
più rapidamente, perché si onorerà l'integrità del nostro spirito umano.
Oggi la cosa più ironica è che trattando i sintomi con i farmaci psicotropi,
creiamo una situazione di continua stagnazione, irresoluzione, per cui
impediamo alla lotta interiore di condurre ad una svolta; la si sopisce,
cristallizzandola.
Gary Greenberg, nel saggio La Fabbrica della Depressione,
suggerisce che sia effettivamente possibile 'produrre' depressione come
malattia clinica. Fa riferimento all'affermazione del famoso psichiatra
Peter Kramer: "la depressione si è magicamente decuplicata dopo che
l'industria del farmaco ha introdotto gli SSRI ed i criteri diagnostici hanno smesso di distinguere tra depressione e dolore."
La mia tesi è dunque duplice: molto di ciò che definiamo depressione è
in realtà una tipica lotta interiore scatenata da una perdita, uno stato
di paura e altri gravi problemi situazionali che sono stati
patologicizzati a scopo di lucro. E' altresì riscontrabile una sorta di
diffusa disperazione di fondo prodotta da uno stile di vita incoerente,
come stranieri in una terra straniera. Quello che sto asserendo con
forza è che la depressione e l'ansia sono i più probabili risultati di
una vita fatta di vincoli spietati e sforzi male indirizzati prodotti da
una visione del mondo stanca e distruttiva. La nostra realtà è
scientificamente costruita per provocare stati ansiosi e depressivi. Il
numero incredibilmente ampio di persone depresse non è che lo specchio
di uno stile di vita incongruo, se non del tutto folle, promosso dalla
società stessa. In effetti questo modo di vivere sta producendo
risultati tragici.
Note sull'Autore
Mel Schwartz è uno psicoterapeuta, consulente matrimoniale, executive coach e conferenziere.
Articolo in lingua inglese, pubblicato sul sito Waking Times
Link diretto:wakingtimes.com
Traduzione a cura di: Anticorpi.info
Come dicevo prima in altri articoli commentati, l'ozio durato 60 anni ha causato questi conflitti dell'anima, una volta il suicidio era un ideale di vita, anche senza scomodare i giapponesi. Il suicidio non era una fuga dalle responsabilita' ma una morte onorevoli rispetto all'essere fatto prigioneiro e torturato.
RispondiEliminaOggi, il potere nostrano per sua comodita' ci ha reso morbidi, labili, castrati e alienati, invece di rivolgere la nostra rabbia verso chi ci angaria ci autodistruggiamo.
Invece di esprimerci con i fatti maceriamo lo spirito con stupidi pensieri.
Invece di preparci alle battaglie future ci lasciamo convincere che il futuro e' lontano dal passato.
Ci rifugiamo nel cervello perche' abbiamo troppo tempo libero per riflettere, a volte riflettere da soli non e' un bene, ma questa societa' ci ha isolati e resi atomi disgregati, abbiamo perso la connessione con le nostre radici e neanche la rete puo' aiutarci, se non riusciamo a legare con le persone che sono in carne ed ossa figuraiamoci quelli dietro una tastiera, se crediamo che il vicino ci deluda chissa' come finisce con uno immaginario.
Dicono sempre che bisogna stare con i piedi per terra, questa crisi sara' un setaccio che separarera' i forti dai deboli.
SEPP
Não existe o"forte".a divisão é entre o egoísta e o que precisa de ajuda!!
RispondiEliminaConcordo com o que disse
EliminaNão existe o"forte".a divisão é entre o egoísta e o que precisa de ajuda!!
RispondiElimina