di: Roberto Pecchioli
Un saggio di alcuni anni fa di Cesare Ferri, uno dei cattivi ragazzi della Milano degli anni Settanta, lungamente perseguitato dalla cosiddetta democrazia, si intitolava L’età del Canbastardo. Era un lungo monologo del protagonista, moderno Don Chisciotte, contro i mulini a vento della modernità e della degenerazione, con il linguaggio immediato e fiorito di chi parla innanzitutto a se stesso. Ne aveva per tutti, il sanbabilino invecchiato, un po’ sgualcito dalle esperienze della vita, ma lucidissimo nel colpire i benpensanti e soprattutto gli intellettuali autonominati, la finta intellighenzia del pensiero unico molliccio, anzi viscido.
Un saggio di alcuni anni fa di Cesare Ferri, uno dei cattivi ragazzi della Milano degli anni Settanta, lungamente perseguitato dalla cosiddetta democrazia, si intitolava L’età del Canbastardo. Era un lungo monologo del protagonista, moderno Don Chisciotte, contro i mulini a vento della modernità e della degenerazione, con il linguaggio immediato e fiorito di chi parla innanzitutto a se stesso. Ne aveva per tutti, il sanbabilino invecchiato, un po’ sgualcito dalle esperienze della vita, ma lucidissimo nel colpire i benpensanti e soprattutto gli intellettuali autonominati, la finta intellighenzia del pensiero unico molliccio, anzi viscido.