nota personale:
Molti lo chiamano complottismo, oppure "teoria del complotto" , ma la cruda verità è che il potere non ha bisogno di operare complotti contro le masse, perchè il complotto si adopera da un potere verso e contro un altro potere per un fine, la verità è che siamo in guerra, una guerra che una cerchia di detentori della finanza internazionale e i vari poteri che si sono accomunati intorno a questo sistema ,hanno dichiarato una guerra spietata contro i popoli, specialmente quelli europei.
Questa guerra viene condotta in molti modi, dalle invasioni imposte con l'inganno e la forza per metticciare i popoli e creare il caos etnico e declino economico-sociale verso il basso, dalla corruzione della morale e della dignità, dalla depravazione ed estirpazione del divino in noi,dalla guerra ambientale tramite irrorazione chimica giorno dopo giorno, alla espropriazione delle risorse li dove vi siano, finanche lo sterminio programmato tramite abortismo,omosessualismo, genderismo e genocidio della famiglia stessa come comunità di vita e di continuazione della specie.
Lo chiamano teoria del complotto "loro", gli abominevoli omuncoli che urlano e sbraitano dagli scarni mediatici, guardiani di questo potere demoniaco, come se loro fossero immuni a tutto quello che verrà.
Non esiste nessun complotto, esiste una guerra dichiarata ma non ufficialmente riconosciuta, ma appare sempre più palese chi siano i nemici e chi gli attaccati, una guerra che dura da decenni, gradualmente per non destare troppo, ma letale e spietata; è tale deve essere la risposta, le masse e le risorse vanno organizzate intorno ad un obbiettivo comune,difendere i popoli e riorganizzare l'attacco, un attacco che non deve lasciare scampo ai nostri nemici, perchè la questione è semplice, o vivere noi o loro, non c'è altra scelta.
white wolf
di: Roberto Pecchioli
Warren Buffet, uno degli uomini più 
facoltosi del mondo, ha ammesso che nell’ultimo trentennio si è 
combattuta una guerra di classe e l’hanno vinta i ricchi. E’ così, ma 
Buffet omette di citare altri vincitori, i fiancheggiatori della classe 
dominante, i gruppi intellettuali accademici, culturali, 
dell’intrattenimento e dello spettacolo che hanno organizzato la società
 dei consumi, dei diritti e dei desideri, le sedicenti élite ritratte 
spietatamente da Christopher Lasch. Al loro seguito, sono vincitrici 
parziali, strumentali, una serie di minoranze divenute centrali nello 
schema ideologico e di potere che ci pervade. Dall’altro lato, la 
trascurabile maggioranza degli esseri umani, per utilizzare una felice 
espressione di Ennio Flaiano.
Trascurabile e trascurata sino a 
rendersene conto e diventare la spina nel fianco delle oligarchie, che 
per osteggiarla e combatterla hanno dovuto gettare la maschera, 
rivelando profondo disprezzo per i popoli e per la stessa democrazia. 
Ricordiamo i Peanuts, le celebri strisce a fumetti americane di Charles 
Schulz, le quali, attraverso le storie di un gruppo di bambini, 
rappresentano assai bene il sistema di valori, le idiosincrasie, i tic 
intellettuali del progressismo borghese occidentale. Charlie Brown 
sbotta: io amo l’umanità! E’ la gente che non sopporto. In un’altra 
striscia ammette di soffrire di claustrofobia del mondo. Serge Latouche 
lo definì furore universalistico. In un altro fumetto toccò a Linus, il 
ragazzino con la coperta, cordone ombelicale eternamente al collo, 
emettere un’altra imbarazzante sentenza: il mondo si divide in buoni e 
cattivi. I buoni stabiliscono chi sono i cattivi.
I buoni, costituiti in tribunale 
permanente con diritto di sentenza inappellabile e immediata esecuzione 
della pena, sono loro, l’oligarchia, i vincenti, gli hipster, 
finti, ridicoli anticonformisti della classe ricca, odiatori del popolo.
 Non possono più celarlo, né aspettarsi di orientarne le idee senza 
reazioni come nel recente passato. Con toni sprezzanti di fatale 
irritazione Hillary Clinton scagliò in campagna elettorale contro le 
classi popolari la spregiativa definizione di “spazzatura”, i poveri di 
razza bianca. Analogo giudizio era sfuggito al presidente francese 
Hollande, che chiamò “sdentati” i suoi oppositori di basso reddito che, 
guarda un po’, si permettevano di non votare a sinistra. Buon ultimo, il
 presidente emerito della nostra sgangherata repubblica Giorgio 
Napolitano, indispettito per l’insuccesso nel referendum del 2016 che 
segnò l’inizio della parabola discendente di Matteo Renzi, prodotto di 
laboratorio dell’iperclasse, attaccò la sovranità popolare che da 
presidente aveva giurato di custodire.
Adesso questa umanità spazzatura invisa 
alle élite sembra destarsi. Ha riempito i comizi di Trump nella 
provincia americana, è in prima fila nella rivolta dei gilet gialli 
francesi repressa con furibonda violenza dalla République della libertà e
 della fraternità, vota Salvini in Italia, Orban in Ungheria – ma è 
giustamente contraria alla sua riforma del lavoro – contesta Angela 
Merkel e l’ordoliberismo a spese dei ceti bassi, attraversa la Spagna 
ultra progressista con l’auge di Vox a difesa dello Stato nazionale e 
all’attacco felle follie del politicamente corretto. In Inghilterra ha 
imposto la Brexit, in Polonia e in altri stati dell’Europa centrale è al
 governo.
Esiste, finalmente, un ritorno di fiamma
 di milioni di persone la cui identità è essere persone normali, 
condividere la civiltà e la tradizione nazionale, etica e spirituale in 
cui sono nati. Molti neppure sono consapevoli di quell’identità, 
introiettata e vissuta come si succhia il latte materno. Sanno però che 
ciò che sono non ha alcun diritto sociale, né vogliono pentirsi o 
vergognarsi di se stessi. Dicevamo che negli Usa li chiamano “spazzatura
 bianca”. Pur tra grandi differenze, alcuni tratti accomunano i due lati
 dell’Atlantico. Il loro auto riconoscimento, come spesso accade, è in 
negativo. Sono esclusi dalle politiche identitarie condotte a favore di 
certe minoranze (LGBT, stranieri, gruppi etnici) vengono accusati di 
ignoranza e violenza. Sono – siamo – un gruppo sociale dai grandi numeri
 e modesta influenza. Non godiamo del favore degli attivisti dei diritti
 umani, non si fanno ricerche sociologiche su di noi, siamo disprezzati e
 serviamo unicamente al momento di pagare il conto: il nostro e quello 
di troppi altri.
Siamo accusati ogni giorno per lo 
schiavismo di ieri degli anglosassoni e dei francesi, per il 
colonialismo dei bisnonni (quello di oggi è nelle mani dei “buoni” del 
Fondo Monetario, dell’Onu e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio),
 siamo responsabili per le diseguaglianze contro cui si invoca la 
“discriminazione positiva”. Fantastica formula, virtuoso ossimoro che 
giustifica quote obbligate di sussidi, posti di lavoro, funzioni 
dirigenziali, cariche politiche e altre misure a favore di gruppi 
definiti “sfavoriti” per sesso, razza, nazionalità, con l’evidente 
conseguenza di discriminare in negativo e concretamente tutti gli altri,
 la trascurabile maggioranza.
Tra i collettivi degni di ottenere 
sussidi, vantaggi sociali, posti di lavoro, esenzioni fiscali, la gente 
comune non c’è mai. Non è difficile verificare chi paga il biglietto sui
 mezzi pubblici e chi no, chi subisce le conseguenze di un’infrazione e 
chi resta immune. Basta partecipare a una coda presso un ufficio 
burocratico o una struttura sanitaria per rendersi conto che un numero 
crescente di “sfavoriti” ha diritti negati a troppi altri, la spazzatura
 della società che però sgobba e mette mano al portafogli per tutti. In 
più è circondata dal disprezzo, ed è questa evidente disistima delle 
classi alte e dei loro buffoni di corte intellettuali, giunta allo 
scherno a far scattare la reazione.
Si preoccupano delle derive razziste e 
xenofobe di alcuni e non hanno torto, ma non pensano mai, loro, i 
razionali, i riflessivi, di averle provocate con i comportamenti 
quotidiani e più ancora di utilizzarle, anzi invocarle come pretesto per
 eludere il dibattito, chiudere la bocca a ogni dissidenza. I totem del 
tempo, zeitgeist dell’Occidente terminale, sono il razzismo 
(male assoluto esteso a qualsiasi distinzione, ribattezzata 
discriminazione) e un’uguaglianza occhiuta e francamente ridicola, 
silenziosa sulla disparità più clamorosa, quella di reddito e risorse 
schizzata alle stelle a vantaggio della classe di Warren Buffet.
Assomigliano, le classi alte e gli 
intellettuali semicolti, al Conte Zio di manzoniana memoria: troncare, 
sopire. Ci accusano di tutto: non capiamo come funziona il mondo, quanto
 siano complesse le cose e quanto siamo fortunati di vivere la 
globalizzazione. Semplifichiamo troppo, concludono stizziti, ma fingono 
di non vedere la precarietà esistenziale e professionale, il 
rinchiudersi degli orizzonti di vita. Ci incolpano di avere paura – 
tutte le nostre miserabili idee sarebbero frutto di paura – ma non fanno
 nulla contro il timore di perdere quel che abbiamo e smarrire ciò che 
siamo.
Poco importa all’oligarchia se è 
necessario fare due o tre lavori instabili per guadagnarsi un reddito 
degno, lo stesso che avevamo 20 anni fa con un’occupazione stabile. Meno
 ancora interessa che non ci si sposi per mancanza di reddito o, se si 
fa il grande passo, si debba obbligatoriamente lavorare in due per 
mantenere un unico figlio e sperare di ottenere un mutuo. Sono 
perfettamente indifferenti alle ore di trasferimenti per raggiungere, 
dalle periferie dove ci hanno confinati, i luoghi di lavoro. Colpa 
nostra, la reazione alla rivolta dei gilè gialli ne è una prova. Nel 
frattempo dobbiamo condividere, noi, tanti poco felici, la 
metropolitana, il bus e il treno pendolare con altri precarizzati che 
non possono entrare nel centro delle città con le loro “obsolete” 
automobili e non hanno i soldi per cambiarle con quelle à la page,
 più “ecologiche”. Utilizziamo per necessità servizi pubblici, ma 
vediamo come gran parte delle nostre tasse è dedicata a sovvenzionare 
gruppi o comunità di cui non facciamo parte. Poi ci accusano di chiusura
 identitaria se ci lamentiamo di quelle che ci appaiono iniquità.
Il combustibile dello scontento è la 
proletarizzazione della classe media che ha tanto faticato per 
migliorare la sua condizione, l’impossibilità di vivere nei centri delle
 città, lasciate ai turisti e ai ricchi nelle zone pregiate, mentre i 
quartieri più vecchi sono occupati da mascalzoni di ogni nazionalità. 
Intanto si spopolano le aree interne e quelle in cui vengono meno i 
servizi privatizzati. L’economia “uberizzata” delle piattaforme 
informatiche straniere ci invade e il vecchio proletariato precipita 
alle soglie della povertà, ma non abbastanza da essere raggiunto da quel
 che resta del welfare, destinato agli ultimi arrivati e agli 
ex emarginati. In compenso, grava sulle spalle del “popolo basso”, della
 ex classe media, della piccola e media impresa e di crescenti settori 
delle professioni, il peso di una spesa pubblica burocratica, ingiusta, 
asfissiante, para mafiosa che pretende molto e non restituisce nulla.
Negli Usa, Amazon, l’impresa commerciale
 più grande del mondo, il cui proprietario, Jeff Bezos, è il più ricco 
del pianeta, non pagherà quest’anno un dollaro di tasse. Merito delle 
nuove leggi fiscali, ma soprattutto del vergognoso sistema di 
abbattimenti, deduzioni e caroselli aziendali che intossica i sistemi 
tributari dell’occidente. L’alternativa, dicono, sono i paradisi 
fiscali, ovvero gli inferni ove si ricicla il denaro provento dalle 
attività più indicibili. In Europa, i giganti tecnologici pagano meno di
 una piccola impresa. Un impiegato con reddito netto di duemila euro – 
un privilegiato – versa novecento euro mensili al fisco statale e 
locale, oltre ad altre centinaia per la chimerica pensione e 
l’assistenza sanitaria.
 Jeff Bezos
Pure, non siamo ancora spariti. Ci hanno
 respinti in una immensa periferia esistenziale, dalla quale dobbiamo 
ripartire per tornare in centro, riconquistare quel che è nostro. Siamo 
sopravvissuti al fuoco del disprezzo, del ridicolo con cui siamo 
trattati. Siamo l’unico gruppo etnico, noi spazzatura bianca, a cui non è
 permesso avere una storia. L’ Europa è piena di gente che si sente 
esclusa nella sua terra, dimenticata nella narrazione collettiva 
dominante, invisibile benché maggioranza, ridotta al silenzio, 
all’impotenza politica e alla nullità culturale a colpi di accuse di 
razzismo, xenofobia, discriminazioni e delitti veri e presunti del 
trapassato da espiare come colpa collettiva e personale.
Da vittime, ci hanno trasformato in 
carnefici con obbligo di solidarizzare con chi ci disprezza. Sindrome di
 Stoccolma come salvezza: uscire da noi stessi, alienazione più 
estraneazione. Incredibile è anche la schizofrenia del libertarismo 
postmoderno: drogarsi è lecito, proibire non si può, ma i fumatori di 
sigarette vivono in un apartheid ostile. Il moralismo spurio 
permette ogni sconcezza nell’ambito sessuale, assolve qualsiasi 
oscenità, ma porta dodicimila abitanti della liberale, tollerante, colta
 New York, capitale del Paradiso invertito, a chiedere al Metropolitan 
Museum di ritirare un famoso dipinto di Balthus, Therese che sogna, 
perché osceno e cripticamente pedofilo. Nessuno chiede di nascondere 
l’incomprensibile pseudo arte astratta o di nascondere la pubblicità 
sessualizzata di migliaia di prodotti.
La sindrome di Stoccolma deve essere 
sepolta insieme alla minorità culturale che ci attribuiscono senza 
possibilità di replica. C’è una speranza, forse stiamo tornando, con la 
bandiera della nazione, della tradizione e dell’identità, alleate della 
giustizia sociale e distributiva. Intanto, dobbiamo costringere il 
potere politico a recuperare dignità, non rimanere inerme dinanzi 
all’economia dei colossi tecnologici, delle piattaforme di falsa 
disintermediazione dei servizi, Deliveroo, Uber, Airbnb e simili, nonché
 della finanza di carta, l’imbroglio massimo. Non basta, bisogna 
rivendicare la legittimità delle culture popolari ridicolizzate dalle 
sedicenti élites. Circa vent’anni fa, usciva negli Usa Redneck Manifesto,
 il libro manifesto dei “colli rossi” di Jim Goad, che rappresentava le 
ragioni e la rabbia degli esclusi del classismo delle oligarchie e 
accusava la sinistra politica di mantenere un discorso che escludeva i 
ceti popolari e operai bianchi.
L’arma più potente del nemico è il 
nostro disarmo morale. Agli albori della crisi dell’Impero romano, 
Giovenale scriveva che due sole cose ansiosamente il popolo desidera: il
 pane e i giochi. Panem et circenses. Più intenso è il 
desiderio (la nostra è l’era dei desideri) nelle epoche di crisi; lo 
comprese dal rifugio di Port Royal Blaise Pascal. L’unica cosa che ci 
consola delle nostre miserie è il divertimento (divertissement),
 e intanto questa è la maggiore delle nostre miserie “(Pensieri, 171). 
Il sistema è specialista nell’organizzare la fuga di fronte ai problemi,
 ed è il più grande dei pericoli di un’azione eticamente orientata. Il 
rischio è quello di offrire risposte vecchie o escogitare scorciatoie 
valide solo per minoranze dotate di senso morale.
Le risposte anacronistiche sono il 
comodo rifugio in un neo collettivismo mortuario, ma va condannato il 
ricorrente istinto di chi finisce per servire, convinto di opporsi alla 
cosiddetta sinistra, l’unico a priori del liberismo, la 
concentrazione di mezzi, denaro e potere in poche mani private. Il 
sistema dell’accumulazione non vuole e non tollera alcun limite, morale,
 territoriale, religioso, culturale. Il liberismo è una spaventosa tabula rasa.
 Da questo deve partire la rivolta, o verrà divorata dal ventre immenso 
del Leviatano globale. Comunità più dimensione pubblica più socialità 
significa popolo in cammino. Il resto è la vittoria nemica, lo 
spettacolo che deve continuare, tra frizzi, lazzi, nani, ballerine e 
tanto sangue, il nostro.  
Business, as usual: affari, come sempre.





KILLuminati.
RispondiEliminaComunque sono sempre più in difficoltà perché non hanno più la copertura di chi li ha protetti finora dai mondi sottili, il loro potere si è sempre basato sulla paura anche al loro interno, questo quando si arriverà vicino al punto di rottura fara esplodere loro e unire noi. Si sbraneranno fra loro, non conta essere pochi,la percentuale necessaria per qualsiasi reindirizzamento è al massimo il 4%, raggiunta quella non potranno più fare nulla con i soliti metodi. La quantità di persone che stanno sviluppando poteri psichici e il cui dna sta evolvendo e diventando operativo è incredibile rispetto solo a 30 anni fá. Quando i millenials saranno maturi (mancano pochi anni) vedremo cose e ne faremo che riscriveranno la storia e la scienza. Il drago sta per morire.
RispondiEliminahttps://youtu.be/OhY3MRpepnY
jj
White Wolf,volevo sapere esotericamente parlando,ma anche scientifico,i sogni non sono altro che viaggi astrali,dove l'anima va' in altri luoghi,o sbaglio
RispondiEliminaAdmin moon
Qualcosa del genere ma non sempre, i viaggi astrali veri e propri sono consapevoli e determinati dalla volontà cosciente quando si sa come fare, i sogni possono essere il risultato di una volontà di comunicazione superiore verso di noi. Altre volte sono solo sogni, comunque sono la dimostrazione secondo me che esistiamo al di là del corpo fisico.
RispondiEliminajj