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lunedì 21 maggio 2018

Evola e il Sessantotto: contestazione e rivoluzione dello spirito



di: Alfonso Piscitelli

“Formidabili quegli anni” scrisse il leader di un gruppuscolo di picchiatori dell’Università di Milano quando già era divenuto membro della casta e ricordava con nostalgia in un suo libro il Sessantotto e i successivi anni. No, verrebbe da dire: “formidabili quegli articoli” che Julius Evola scrisse su “Il Borghese” e che inquadravano con la potenza di un quadro (espressionista stavolta, non dadaista) la tempesta di emozioni della “contestazione globale”.


La rivolta del Sessantotto era made in USA. Partita dai campus universitari dove i figli del boom economico avevano qualche remora a calarsi nelle paludi infernali del Vietnam, la protesta si nutriva di pulsioni profonde, come la liberazione sessuale, e di una critica globale al sistema occidentale. Venuti dopo i beat e gli hippy, i sessantottini volevano resettare parecchi secoli di sviluppo europeo-occidentale, il che al limite avrebbe potuto suscitare interesse in un maestro della corrente “tradizionalista”. Ma “con quali prospettive”, si chiedeva Evola?


Quando i contestatori passavano “dalla protesta alla proposta” invariabilmente essi ricadevano nei dogmi del marxismo, magari aggiornato secondo la variante esotica del momento: il maoismo. Tale approdo era paradossale, dato che appariva ormai chiaro come il marxismo a cinquanta anni dalla Rivoluzione d’ottobre si fosse ormai inverato in un regime autoritario, che dal punto di vista economico non garantiva affatto il benessere a cui gli stessi strati “proletari” erano giunti nel mondo capitalistico occidentale e che soprattutto non garantiva quelle libertà (o libertinaggi) tanto agognati dai giovani lettori di Marcuse e Wilhelm Reich. 

E così mentre nella Praga ci si ribellava in maniera romantica contro il regime comunista e la concreta occupazione sovietica, i Sessantottini non trovavano di meglio che mitizzare il generale Giap e Ho Chi Min, come se la complessa realtà occidentale potesse essere risolta con le formule di capi di popolazioni contadine appena uscite dal Medio Evo asiatico. Oggetto ancor più grande di mitizzazione, come si è detto, fu Mao, il Grande Timoniere della Cina, ed Evola sulle pagine del “Borghese” dovette smontare con poche caustiche osservazioni il curioso fenomeno di riflesso rappresentato dal cosiddetto “nazi-maoismo”, ovvero la simpatia verso Mao da parte di alcune frange di estrema destra che in tal modo cercavano di “cavalcare la tigre” della contestazione globale.





In verità alle prime manifestazioni di protesta avevano partecipato attivamente i giovani di destra. In quella fase aurorale la tendenzialità ideologica marxista non aveva ancora preso l’assoluto sopravvento e sulle stesse pagine del “Borghese” Giano Accame poteva cogliere alcune possibilità positive insite in una generazione che si ribellava a un regime politico, che passati i fasti del miracolo economico, cominciava a mostrare i primi segni di putrefazione. Quelle potenzialità si erano rivelate evidentemente fallite nel momento in cui Evola sulle stesse pagine del “Borghese” mostrava il vicolo cieco a cui conduceva una contestazione ispirata alle tre fatidiche M (Marx, Mao, Marcuse).

E tuttavia c’è da chiedersi perché i giovani di destra, che pure avevano conquistato spazi significativi nei Licei e nelle Università nel corso degli anni Cinquanta, non erano riusciti a porsi a capo del moto di contestazione. Se lo chiedeva anche un brillante cultore di Evola come Adriano Romualdi, che nei pochi anni di lavoro febbrile che il Destino gli concesse cercò di forgiare una nuova Weltanschauung all’insegna del mito dell’Europa, come punto di sintesi tra le radici più arcaiche e il più alto sviluppo tecno-industriale.

Evola da parte sua colse l’aspetto più debole del mito contestatario: i sessantottini protestavano “contro” il sistema, ma cosa proponevano in cambio? Essi aderivano astrattamente al tema del “Gran rifiuto” (delle strutture consumiste e industriali), ma notava Evola sulle pagine del “Borghese”: “chi se la prende soltanto con la società tecnologica organizzata dovrebbe chiedersi se egli sinceramente sarebbe disposto a rinunciare a tutte le possibilità pratiche che essa offre per riesumare più o meno lo stato di natura di Rousseau”. Evola con grande equilibrio osservava che non si trattava di distruggere le strutture tecno-industriali puntando a una sorta di primitivismo straccione, ma di maturare un distacco e una interiore indipendenza da quelle strutture. Tale distacco poteva solo essere il frutto di una ascesi (come quella buddhista da lui descritta nella Dottrina del risveglio), non certo degli slogan di una ideologia arrabbiata.




Ancor più interessante un’altra osservazione di Evola: il Barone scriveva – anche con un certo compiacimento – che i contestatori si scagliavano contro il dominio dell’economia; tuttavia essi nello stesso tempo esprimevano una pulsione anarcoide, una repulsione quasi isterica verso ogni forma di ordine, di organizzazione gerarchica e pertanto non riuscivano a capire che solo uno Stato (e uno Stato orientato verso l’alto) poteva porre fine al dominio del denaro. Questa osservazione valeva come profezia: di lì a quindici anni, giunto il “riflusso”, i sessantottini si sarebbero tramutati in una componente sclerotizzata di quella società occidentale che dopo aver relativizzato i vecchi valori borghesi di Dio, Stato nazionale, Famiglia tradizionale celebrava i fasti più sfrenati del denaro eretto a misura di ogni valore.

Lo stesso Marcuse – oggetto di una penetrante analisi in un altro articolo del “Borghese” – in fondo si poneva degli obiettivi (il godimento del tempo libero, la soddisfazione della “libido”) che “la società tecnologica pensa già ad organizzare (…) offrendo all’uomo le forme standardizzate e stupide che si legano allo sport, alla televisione al cinema, alla cultura da rotocalchi…”.

Evola avrebbe voluto una vera e autenticamente globale “Contestazione” che si inverasse come Rivoluzione dello Spirito. E questa rivoluzione, mentre i sessantottini si avviano a diventare sessantottenni, rimane davanti a noi come un archetipo in questa nuova fase di convulse trasformazioni che l’Europa sta affrontando.



 Infatti sapiamo bene poi come andò a finire....

di: Alfonso Piscitelli

Nel 120° anniversario con la fraterna collaborazione dell’autore, della rivista Il Borghese e la Fondazione Evola.




Fonte articolo 

8 commenti:

  1. Il 68 fu una febbre di assestamento a 20 anni dalla fine della guerra, sarebbe avvenuto comunque anche non fosse stato fomentato dai soliti furbi, la società di allora aveva necessità di scrolkascr di dosso i tristi ricordi del periodo bellico e forse il 68 serví a negare quel revisionismo che avvenne solo 30 anni dopo. se non fu positivo fu inevitabile e comunque ha portato quel germe di disobbedienza al sistema che passato dal collettivismo del pensiero a quell'individualismo disincantato che ha permesso a molti di capire comprendere criticare il sistema e iniziare a vedere la Matrix. Solo questo ha permesso di portare alla massa quel minimo di conoscenza esoterico spirituale nel bene e nel male che ora ci è largamente disponibile e che prima era comprensibile a pochi. Io non butterei tutto nel cesso perché prima il mondo era ingessato, con quello si sono liberate energie personali altrimenti inutilizzate. Prima era conformismo, il vietato vietare tanto criticato ora serví a uscire da quelle secche altrimenti ineludibili. Quella pseudo rivoluzione ci ha permesso di sperimentare, ora sappiamo qual'è il confine fra bene e male prima no, ha permesso l'aumento di consapevolezza. E posto un freno alla cieca obbedienza al cattolicesimo e agli altri dogmi. Senza 68 col cazzo avrei potuto fare yoga leggere i libri che ho letto, far ragionare mio padre sulla differenza fra autorevolezza e autoritarismo, non avrei mai parlato con lui di anarchia anche scontrandosi. Sarebbe tutto andato avanti come nelle generazioni precedenti senza scossoni e senza sugo. Adesso verso la fine della vita non cambierei con niente quei frutti, che ci permettono di capire anche quanto si marcio e inaccettabile c'è sotto.

    jj

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    1. Si la protesta era vera, ma il potere ha imbrigliato e manipolato questo con droga, alcol, sesso libero, individualismo, marxismo e femminismo, il programma di dissoluzione dei popoli gestito dai vari istituti tavistock ha dovuto infiltrarsi nelle contestazioni tramite i falsi profeti di cui i vari cantanti sono una parte, questo perché sono mancati i veri leader che dovevano guidare le masse, le quali senza una guida vera sono cieche e allo sbando, per questo la rinascita di un popolo può avvenire solo sotto la guida di leader saggi e nazionalisti, non cantanti o pseudo marxisti. Il nazionalismo è il sovranismo sono la base per spiritualizzare il popolo, e la spinta che sta avvenendo è solo l'inizio, che naturalmente dovrà scacciare con la forza gli elementi estranei alla nostra società sopra citati.

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    2. Concordo, WW. A tal proposito voglio dire quanto fino ad una certa età io non mi fossi reso conto di cosa fosse la politica, e di come VERAMENTE sia e debba essere un Uomo Politico. Vedevi in tv queste marionette blaterare, ma di cosa parlano realmente? Da adolescente mi ricordo che dissi: Bossi è l'unico che quando parla lo capisco... - e ciò non dipendeva dal lessico quanto dai contenuti, quell'uomo aveva un'Anima, e qui non stiamo parlando di idee, perché quando vuoi semplicemente difendere il tuo Popolo non si tratta di una idea ma di un Sentimento. E soprattutto non esiste nessuna "idea". Siamo cresciuti osservando questi professori democristiani o sindacalisti-comunisti e (quindi) pseudoacculturati che sanno parlare senza dire nulla. Poi un giorno ho ascoltato Adolf, e ho capito quanto sia tutto molto semplice da comprendere. Immediato. Ho sentito una voce che è come un Tuono Divino ed è mera Verità. "Vi ricordate i vecchi partiti politici? Erano tutti uguali..."

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  2. "Il '68,l'anno più stupido dell'umano escremento" (cit.)

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  3. Quoto ww, ne cantanti ne politici globalisti o venduti possono avere la statura necessaria e la democrazia come la conosciamo non può essere il veicolo adatto.

    jj

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  4. @white wolf...il 68 era pilotato coi soldi della CIA.....sicuramente i finanziatori erano i bankster stessi.

    Adesso tentano di spiarci a livello globale.Un esempio e facebook,fondato da zuckemberg,ma la mente del progetto e sicuramente IN Q TEL e CIA.Questo vale anche per Pokemon Go.



    Admin moon

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  5. https://www.dailymotion.com/video/x5c3gq7

    Abraxas

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    1. Bellissimo video. Non lo conosco a memoria. Di più!
      Sieg Heil

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