Di Michele Ruzzai
Nell’articolo precedente (“La fine
dell’età primordiale e la Caduta dell’Uomo”) avevamo cercato di
inquadrare il particolare momento preistorico che vide il passaggio
dalla fase paradisiaca a quella post-edenica della nostra umanità,
traendo in larga misura spunto da quanto hanno avuto modo di scrivere
gli autori inseribili nel filone culturale del cosiddetto “Tradizionalismo integrale”
come Julius Evola e Renè Guenon, ma anche nomi quali Ananda Kentish
Coomaraswamy, Frithjof Schuon, Titus Burckhardt, in parte Mircea Eliade
ed altri ancora.
La prospettiva qualificante di questa
corrente di pensiero – è utile ricordarlo – assume come essenziale punto
di partenza il fatto che ai primordi si sia manifestato un retaggio
conoscitivo, appunto una “Tradizione Primordiale”, di origine
essenzialmente non umana, che i nostri avi non hanno inventato o
“costruito”, ma essenzialmente “ricevuto” da forze e realtà “divine” a
loro trascendenti. Se il sapere e le fonti più profonde delle verità
metafisiche e cosmologiche non rappresentano quindi nulla di umanamente
accumulato, è facile comprendere come un altro degli elementi più
caratterizzanti del pensiero tradizionalista sia il deciso rigetto della
visuale evoluzionista, biologica e culturale assieme, almeno nella sua
accezione più comune, ovvero quella di un processo generale che da un
“meno” conduce verso un “più” (contrariamente al vero significato
etimologico del termine che viene dal latino “volvere”, cioè srotolare,
svolgere e che quindi dovrebbe piuttosto esprimere il dispiegarsi delle
possibilità di esistenza che sono già tutte contenute – senza procedere,
passo dopo passo, l’una dall’altra – nella totalità dell’Essere).
E’, questa, una prospettiva che ci
invita a considerate l’Uomo sotto una luce radicalmente diversa rispetto
a quella post-darwiniana, con delle riflessioni che possono coinvolgere
più livelli.
Ad esempio, anche rimanendo sul piano
strettamente biologico, è di notevole interesse il lavoro del prof.
Sermonti, che sottolinea come la gran parte dei caratteri dell’uomo
attuale siano da considerarsi “primari”, cioè vicini alle conformazioni
tipiche dell’ordine, presenti nei più antichi primati fossili e
collocandolo, contrariamente a quanto dovrebbe attendersi secondo la
teoria evoluzionista, in una posizione filogenetica compatibile con
quella di un mammifero della più elevata antichità, tra tutti forse il
meno lontano da un ipotetico “prototipo”.
Quella umana sembrerebbe cioè
la forma primigenia tra quelle dei mammiferi in quanto evidenzierebbe
una specializzazione molto meno marcata rispetto a tutte le altre; ciò
non solo nei confronti, ad esempio, delle scimmie attuali, ma anche in
rapporto a quelli che si vorrebbe fossero i nostri ipotetici precursori,
ovvero le Australopitecine, gli Homo Erectus e gli Habilis.
Al contrario, tali specie parrebbero denotare caratteri molto più
specializzati ed adattati a delle precise “nicchie” ecologiche rispetto
ad altre forme, necessariamente coeve e nettamente più simili a quelle
umane attuali. Da queste ultime, infatti, gli ominidi africani avrebbero
mantenuto la stazione eretta, che dunque presenta una grandissima
antichità, ma ciò stando ad indicare piuttosto una loro derivazione da
un tronco più originario e “centrale”, esistente già da tempi molto più
aurorali di quanto si supponga.
Se poi consideriamo gli animali
attualmente esistenti e ritenuti meno distanti da noi, va ricordato che
fino ad ora la paleontologia non ci ha consegnato fossili antichi
somiglianti a scimpanzé, gorilla od orango, conseguendone da ciò il
fatto che, contrariamente a quanto si creda, questi organismi sono molto
più recenti della forma umana e quindi certamente non possano
costituire (loro, o altre tipologie più o meno simili) quegli “snodi”
evolutivi annoverabili tra i nostri ascendenti biologici.
Utili indicazioni, inoltre, possono
essere tratte dalla conformazione del feto umano. E’ stato infatti
osservato come questo manifesti in modo ancora più evidente i caratteri
generali dell’ordine a cui la specie appartiene, ed è per questo motivo
che si presenta in maniera morfologicamente molto simile in tutti i
rappresentanti dello stesso (ad esempio, il feto di uno scimpanzé o di
un gorilla sono quasi identici a quello umano) perché ancora libero da
caratteri “secondari”; una specie poco specializzata, com’è quella
umana, evidenzia in effetti questa sua “primarietà” proprio nella
somiglianza che, nell’adulto, si mantiene con lo stadio di feto e di
neonato, cosa invece non osservabile in altre specie considerate a noi
vicine, che ben presto, con la crescita dell’individuo, si rivestono
delle “sovrastrutture” organiche loro proprie. E’ questa eterna
fanciullezza che ha spinto diversi autori a considerare la nostra come
una specie a forte tendenza “neotenica”, caratterizzata cioè dalla
conservazione anche in età adulta di certe importanti caratteristiche
infantili.
Se quindi l’uomo non sembra essersi
“evoluto” da forme ancestrali animalesche, sono semmai queste ultime che
rappresentano delle linee laterali, derivate e senili di sviluppo: i
caratteri primordiali, invece di essere di tipo bestiale, sono quelli
fetali, quelli della incontaminata giovinezza. E’ piuttosto l’animale ad
essere il prodotto di una “involuzione” a partire dall’uomo – quasi una
sua “malattia” – come ipotizzava anche lo stesso Platone che, ad
esempio, vedeva nelle scimmie gli umani di un remoto passato, decaduti
per aver perso la “scintilla sacra”.
Ma, precisamente, a partire da quale
tipo di Uomo sarebbe iniziata tale serie di linee discendenti? Questa
domanda ci porta da un’antropologia basata su elementi di carattere più
fisico-biologico ad un’altra che si apre verso il Mito.
Per il filosofo Edgard Dacquè, in effetti, le specie animali discendono involutivamente da un’umanità che non è tout court identificabile
a quella attuale, ma che corrisponde ad un ceppo primordiale e non del
tutto corporeizzato – la definisce “Urmensch” – dal quale l’uomo
materializzato, pur distinguendosene, tuttavia ne costituisce l’erede
più diretto; antropoidi, primati ed animali vari rappresenterebbero
linee di caduta via via più laterali e periferiche rispetto a questa
direzione “centrale”.
Una sorta di impulso antropogenetico che
si rinnova e si manifesta all’inizio di ogni nuovo ciclo umano,
testimone vivente di quella Tradizione Primordiale di cui sopra.
Dunque l’uomo odierno, con le sue
facoltà biologiche e razionali, rappresenterebbe la “precipitazione” più
approssimata e vicina di quest’Uomo originario, che anche Platone ebbe
a sottolineare come dotato di una natura profondamente diversa da
quella attuale.
Una forma quindi esemplare che avrebbe svolto una
funzione “archetipica”, creata direttamente “ad immagine di Dio”, ed in
rapporto alla quale noi non saremmo che dei decaduti, una sorta di
“immagine secondaria” di livello ancora più basso rispetto alla primaria
figura divina che informò e plasmò tale Essere.
Forma Umana, primordiale ed unitaria,
che almeno in un paio di occasioni anche Julius Evola significativamente
riconosce (pur animato da una prospettiva che definiremmo piuttosto
“polifiletica”, tanto da non fargli utilizzare mai, a quanto ci risulta,
il concetto di Manvantara quale “cornice” generale di un completo e
conchiuso ciclo umano); infatti, anche il pensatore romano accenna a
quella primordiale razza unitaria Hamsa, menzionata nel mito indù, che
ricorda come “anteriore ad ogni successiva differenziazione umana”,
mentre in un altro passaggio segnala – in termini analoghi – che, pur
nella latente dualità, vi è una chiara unità di fondo del principio
generatore che nutrì i due gemelli Romolo e Remo, così opposti (il primo
votato alle divinità maschili, celesti e solari, il secondo a quelle
femminili, ctonie e lunari), ma pur sempre nati dalla medesima Lupa e da
Evola ricordati come chiave interpretativa delle stesse “origini
umane”. Più ancora di Evola, Guenon ebbe a sottolineare come non possa
esservi alcuna irriducibilità assoluta neppure tra la prima di tutte le
dualità, cioè quella che, passando su scala cosmologica, polarizza
l’Essere Universale in “Essenza” e “Sostanza”, benché sia proprio a
seguito di questo primo atto che trae inizio quella molteplicità
tendente sempre più a porre in risalto gli aspetti soprattutto
separativi ed “eterogeneizzanti” della manifestazione. Essenza e
Sostanza come concetti analoghi a Cielo e Terra, la cui separazione, sul
piano ora antropologico, corrisponde chiaramente al polarizzarsi
dell’Androgino platonico (sul quale avremo modo di tornare) nei due
soggetti separati – maschio e femmina – che la tradizione biblica
identifica in Adamo ed Eva.
Ciò costituisce il primo passo verso la
diversificazione umana, che implica il manifestarsi delle varie modalità
di esistenza le quali, partendo da una radice unica, troverà la sua
estrinsecazione attraverso la nascita delle varie razze della nostra
specie.
Ma, come già ricordavamo, il metafisico
francese rafforza questa impostazione, tendenzialmente più
“monofiletica” di quella evoliana, anche attraverso il concetto di
Manvantara; ciò, oltretutto, rimarcando chiaramente la totale scomparsa,
da questo livello di esistenza, di tutte le umanità vissute nei
Manvantara precedenti al nostro. Secondo Guenon, infatti, tutto ciò che
riguarda la manifestazione corporea relativa ad uno specifico ciclo, al
suo termine letteralmente si volatilizza ed abbandona il piano
materiale; nella sua particolare interpretazione, il ricordo degli
“antichi re di Edom”, rappresenterebbe appunto le umanità dei precedenti
cicli, trascorsi i quali sarebbero finite in una modalità, però
solamente extracorporea, del Manvantara presente. Per il
francese, quindi, ogni singola umanità nel suo tempo partirebbe da una
sorta di “tabula rasa”, con la sua propria Età dell’Oro, dell’Argento e
via seguendo le altre, e non esisterebbero popolazioni “residuali” (come
invece potrebbe sembrare nella lettura evoliana, ad esempio,
dell’origine dei “selvaggi” australi) in grado di superare i limiti
fisico-temporali del proprio Manvantara per accedere a quello
successivo; almeno non sul piano della manifestazione materiale. O, in
alternativa, forse anche sì – interpretando in tal senso il
summenzionato passo platonico sulle scimmie – ma solo al durissimo
prezzo di una animalizzazione completa e senza ritorno.
Comunque, nell’una come nell’altra ipotesi, parrebbe da escludere il mantenimento delle caratteristiche “Sapiens”, probabilmente già possedute anche nei cicli precedenti, analoghe a quelle della nuova umanità nascente.
Sotto quest’ottica, quindi, è evidente
che ogni ritrovamento anteriore al limite temporale dei 65.000 anni
andrebbe considerato come attinente a Manvantara precedenti al nostro, e
quindi relativo ad un altro ceppo umano, separato dal nostro da una
cesura netta.
Se ora diamo uno sguardo generale alle datazioni dei ritrovamenti riferibili a Homo Sapiens nel
mondo, emerge a nostro avviso anche un altro importante elemento di
riflessione: l’assenza, in pratica, di reperti invece collocabili nel
lasso di tempo posto tra 65.000 e 52.000 anni fa, ovvero nella
primissima fase del nostro Manvantara.
Questo intervallo dovrebbe in effetti
corrispondere al momento veramente primordiale della presente umanità e
riteniamo non casuale che tale assenza di siti archeologici copra un
periodo di circa 13.000 anni, ovvero quello che nelle varie tradizioni è
stato definito come “Grande Anno”; questo, corrisponde alla metà della
durata del ciclo precessionale terrestre e, come Guenon ricorda, nelle
varie mitologie tradizionali assume spesso un’importanza particolarmente
significativa, in misura anche maggiore del ciclo processionale
completo di 26.000 anni. Il “Grande Anno”, segnalato anche da Gaston
Georgel nel suo importante “Le quattro età dell’Umanità”, rappresenta
una fondamentale modalità di suddivisione del Manvantara, in quanto
costituisce precisamente un quinto della sua durata totale.
L’assenza, totale o quasi, di reperti
databili tra 52.000 e 65.000 anni fa, quindi si sovrappone perfettamente
al 1° Grande Anno del nostro ciclo (come da schema presentato nel
nostro precedente articolo), ovvero la prima metà esatta del Satya Yuga,
e riteniamo che potrebbe essere spiegata proprio con l’esistenza di
quella “Urmensh” – la forma primordiale umana, sulla quale torneremo
ancora – praticamente impossibile da rinvenire sotto forma fossile
proprio in quanto non ancora fisicizzata secondo i canoni odierni:
evento che si sarebbe verificato solo più tardi, anche se – va
sottolineato – ben addentro alla stessa età edenico-paradisiaca.
E’ ovvio che quest’ultimo assunto
presupponga un’idea più articolata e dinamica dell’età primordiale
rispetto a quanto, nella letteratura di riferimento, sembra darsi quasi
sempre per scontato più o meno implicitamente, e cioè l’aver
rappresentato, questa, un momento statico, una parentesi senza storia.
Qualche breve e preliminare nota di
ordine più generale a questo punto ci sembra utile per fornire una
cornice introduttiva ed accompagnare le considerazioni che, più in là,
cercheremo di svolgere in merito alla genesi umana.
In effetti, come ci ricorda Renè Guenon e
come proveniente da alcune interpretazioni dei Purana indù, il Satya
Yuga si sarebbe protratto per circa 26.000 anni, una durata molto lunga
per la quale, a ben vedere, sembra difficilmente sostenibile una totale
assenza di discontinuità interna; d’altronde, non è un caso se il
metafisico francese in varie occasioni ebbe modo di sottolineare come,
in ciascuna delle varie età del Manvantara, vi sia la possibilità di
operare ulteriori significative suddivisioni interne, a partire da
quella, basilare, nelle due relative metà.
Il Satya Yuga, quindi, non sfugge a
questa regola ed anzi è rimarchevole il fatto che risulti composto
esattamente da due “Grandi Anni” di quasi 13.000 anni ciascuno.
Oltretutto, è stato rilevato come il
transito da un Grande Anno a quello successivo sia sempre
contraddistinto da un violento cataclisma che quindi, per l’età edenica,
deve per forza aver avuto luogo in corrispondenza della sua metà,
attorno a 52.000 anni fa. Anche da considerazioni legate al “ciclo
avatarico” di Vishnu (ciclo che suddivide il Manvantara totale in dieci
parti uguali di 6.500 anni, ciascuna collegata ad una particolare
“discesa” sulla terra del Principio per il ristabilimento della legge
divina) lo stesso evento traumatico viene ricordato nel preciso momento
del passaggio dal secondo Avatara (Kurma), al terzo (Varahi), quando
dovettero verificarsi importanti modificazioni della geografia boreale,
uno spostamenti di Centro dal polo artico verso una zona più
nord-orientale (la terra di Beringia?) e, come ipotizza anche Gaston
Georgel, una primissima ondata migratoria verso aree meno settentrionali
del pianeta.
Ciò che ne seguì, originò quella che
Guenon ritiene la sede del centro spirituale primordiale di questo
Manvantara, la citata Varahi o “Terra del Cinghiale”, dalle marcate
caratteristiche solari: il fatto però che risulti collegata non
al primo ma al terzo Avatara di Vishnu, ci fa supporre sia più corretto
collocare Varahi non nella fase aurorale ed indistinta, veramente
iniziale, del nostro ciclo umano, ma invece nel secondo Grande Anno,
ovvero tra 52.000 e 39.000 anni fa.
Fonte: ereticamente.net
articoli collegati:
WW,ho trovato queste breve articolo sugli Elohim http://lastella.altervista.org/mauro-biglino-per-loro-era-meglio-governare-attraverso-rappresentanti-terreni/
RispondiEliminaNon so quanto può essere utile...
Grazie della segnalazione, personalmente ritengo i libri di biligno una pura operazione commerciale, come lo stesso per i libri di sitchin e altri riguardanti lo stesso filone, anzi aggiungo che queste teorie non sono ostacolate da chi detiene il potere perché apportano solo confusione a chi invece vuole intraprendere studi seri.
RispondiEliminaOk,Grazie! Ma l'immagine dice che la nuova era del ferro ci sarà nel 4000 DC, Quindi ci sbarezzeremo del nemico nel 4000?! Oppure ho capito male io!l
Eliminasi riferisce a un calcolo secondo il manvatara, che è relazionato alla religione induista che è calcolato in modo diverso, però in realtà il grande ciclo cosmico o eone si compie ogni 25.000 anni circa, quindi siamo ora nel cambio dell' eone che è gia comiciato con l'asse che punta sulla costellazione dell'acquario,in realtà secondo noi il più preciso è quello del calendario maya chiamato il calendario del lungo computo, che segna proprio questo periodo come fine ciclo e inizio di un nuovo ciclo cosmico,fase in cui ci siamo gia dentro.
EliminaGuardate qua , splendido articolo dell'informatico Bibhu Dev Misra che ci spiega per bene tutto :
RispondiEliminaVi prego di dare un'occhiata anche agli altri articoli sugli yuga del sito streicher
Bibhu Dev Misra - El Final del Kali-Yuga en 2025
http://editorial-streicher.blogspot.it/2015/04/bibhu-dev-misra-el-final-del-kali-yuga.html
A proposito Buon 2016 a tutti.Guardate anche questo.
RispondiEliminaVediamo se riuscite a trovarmi qualcosa sul concetto di avatar nell'antica Roma e sul concetto di Eone. Sto cercando anche di capire se esiste veramente lo Zeitgeist come dice steiner e perchè allora in India non c'è il concetto di eone.
http://www.lacittadella-web.com/forum/viewtopic.php?f=45&t=50&start=80
http://www.lacittadella-web.com/forum/viewtopic.php?f=47&t=2666
Ave a tutti amici del forum, ho bisogno del vostro aiuto per chiarire queste questioni
Sono nuovo del forum e spero mi accetterete e risponderete con pazienza.
1- E' possibile trovare il concetto di Avatar nell'Ellenismo e nella tradizione Romana?E presso Celti e Slavi?
Perchè nei Purana (e non solo) gli avatar vengono descritti così minuziosamente ed hanno una funzione centrale in quella religione mentre in Occidente praticamente non esiste piu' traccia di quella concezione?
2-qualcuno mi puo' dare una spiegazione del concetto di Eone o spirito del tempo e mi puo' dire dove posso trovare un elenco dei vari Eoni che si sono succeduti e succederanno nel tempo con annesso il loro significato?(sia nel Mithraismo che in Grecia che nell'Antica Roma).
Gli Eoni c'erano anche in Platone?
3-A questo punto : c'è un'ulteriore suddivisione dei vari Yuga in ere astrologiche nell'Induismo e c'è invece il concetto di Manu nella Romanità e nell'Ellade ?
4-mi potete consigliare libri che trattano in modo completo di Eoni e Spiriti del tempo e come sono stati interpretati dall'antichità ad oggi?
Vi ringrazio anticipatamente e vi invito a mettere link ad articoli e recensioni di libri che trattano di questi non facili temi.Avevo aperto anche questo thread a proposito.
http://www.lacittadella-web.com/forum/viewtopic.php?f=47&t=2666
jenainsubrica@libero.it
Perché non ti leggi il Trattato del Fuoco Cosmico di A.A.Bailey, che ci sta tutto e di più di tutto quello che cerchi?
EliminaPs: non fare troppo affidamento su Steiner, era molto geloso delle conoscenze della Blavatsky.
Il concetto del Manu c'era nella Romanità e nell'Ellade, ma è stato completamente resettato ai tempi di Costantino, per mano dei maghi neri Jahbuloniti, antesignani degli ammorbanti Ambrosiani, dei Francescani poi, ed infine dei perfidi Gesuiti, un continuo fil rouge della stessa sinistra schiatta.
1-Inoltre già che ci siamo vi interrompo solo un attimo per chiedervi se avete dei link o potete segnalarmi un libro che parli
RispondiEliminadei Chakra in occidente.
Mentre c'è un'overdose di libri in circolazione che tratta di essi e della kundalini nella sua celeberrima versione Indu' poco si trova delle sue versioni parallele in Europa.
Eppure gli astri dell'ermetismo e il caduceo di Mercurio ci riconducono ad essi come puoi vedere dagli allegati (con tanto di link) che ti invio.(è sufficente leggere l'inizio del pdf da europa soberana per avere un'elenco)
Così come i livelli dell'iniziazione dei Misteri di Mithra e quelli di eleusi e forse anche altri fra quelli ellenici.
Anche le Rune, sotto altro nome, riconducono alla stimolazione di Nove Chakra nell'uomo.
Qualcosa ho trovato nei testi che ti segnalo sotto.
Sto indagando anch'io, sono un tema sacro e complesso difficilmente esauribile in poche righe ma se riesci a trovare qualcosa sarei grato che me lo segnalassi.
2-resta da chiarire anche un'altra cosa : i due "Chakra" aggiuntivi , Raggio Verde e Sole Nero http://armanen.blogspot.it/2010/01/chakras-wheels-or-cauldrons.html
che aveva aggiunto ai sette chakra classici quel pazzoide (nel senso buono) di M.Serrano.
Vorrei capire se ha tratto da una tradizione già esistente questa sua strana aggiunta e se hanno un'applicazione reale.
(Qui sotto ad es. un testo di Mumford ove dice che il libro di El/Ella di Serrano l'ha ottimamente ispirato.)
Paperback
£5.70used & new(27 Product Details
https://books.google.it/books?id=JlaPm8l_J_UC&pg=PA250&dq=serrano%2Bchakra&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiq58zpgsXKAhVEcQ8KHSVnBvsQ6AEIIzAA#v=onepage&q=serrano%2Bchakra&f=false
loquendo editore
http://runologia.blogspot.it/?view=classic