di: Fabio Calabrese
C’è un proverbio
che dice che per capire davvero un uomo, bisognerebbe camminare almeno
un anno con le sue scarpe. Penso che contenga una verità profonda. Se
doveste considerare Fabio Calabrese in maniera superficiale, sono sicuro
che trovereste in questo personaggio una serie di (apparenti)
contraddizioni. Fra queste, la più marcata è probabilmente quella, da un
lato di una scelta politica che va chiaramente contro le tendenze
emerse negli ultimi settant’anni della nostra storia, e dall’altro un
interesse, anche come autore, per generi di narrativa fantastica di cui
la parte predominante è rappresentata da quella fantascienza che
perlopiù (fortunatamente non sempre) ha un atteggiamento di aspettativa
ammirata e un ottimismo ingenuo verso le “magnifiche sorti e
progressive” (locuzione che già Leopardi citava in senso fortemente
ironico).
Bene, le cose non stanno esattamente in
questi termini, perché non solo la fantascienza, che è in realtà una
cosa molto diversa da come la interpreta certo popolino che la confonde
con l’ufologia e la credenza nei dischi volanti, in diversi suoi autori e
sotto-filoni, di atteggiamento critico nei confronti delle possibili
evoluzioni/involuzioni del nostro mondo, ne contiene parecchio, ma vi
sono altri filoni e autori del fantastico a cui tutto si può attribuire
meno che un acritico progressismo. Pensiamo per esempio a Robert Howard
che nel personaggio di Conan ha esaltato il barbaro, l’uomo nella
pienezza dei suoi istinti vitali contrapposto al debole uomo civilizzato
(auto-addomesticato avrebbe detto un grande scienziato come Konrad
Lorenz) e ancora di più a Howard Phillips Lovecraft, il grande
innovatore della letteratura horror del XX secolo, che di Howard fu
amico e ispiratore, impietosamente critico verso la civiltà moderna e le
sue illusioni di potere e conoscenza.
Se proprio vogliamo, c’è anche John R. R. Tolkien, l’autore del Signore degli anelli,
ma qui si dovrebbe fare un discorso a parte. Tolkien che apparteneva
all’esigua minoranza cattolica britannica, ci teneva a ostentare il suo
cristianesimo, e piace molto agli ambienti cattolici ma, detto senza
peli sulla lingua, in ciò era in profonda contraddizione con se stesso:
da un lato il recupero e il riutilizzo letterario di tradizioni e
mitologie continuate nel folclore, che risalgono all’Europa
pre-cristiana, dall’altro una morale, un’etica che affonda le radici
nella tradizione eroica e cavalleresca ed è tutto meno che cristiana,
che prescrive NON di porgere al male l’altra guancia, ma di opporvisi
con le armi in pugno. Sono questi aspetti PAGANI che io apprezzo in
Tolkien, mentre il suo cristianesimo lo lascio volentieri a chi
preferisce avere Bergoglio piuttosto che orgoglio.
R. R. Tolkien
Tuttavia, è un fatto di cui devo
prendere nota, non è che questi due aspetti della mia vita e della mia
attività culturale, l’impegno politico-ideologico e la passione per la
letteratura fantastica con la connessa attività letteraria, si siano
incrociati molto spesso.
Bene, ogni tanto capita che queste due
cose disparate diventino una, che scopra quasi con sorpresa per me
stesso, che non sono altro che due aspetti, due sfaccettature di un
medesimo impegno culturale. Penso di avervene dato un esempio l’estate
scorsa presentando sulle pagine di “Ereticamente” una mia ricerca sui
miti arturiani e del Santo Graal, tematica che non ha una relazione
diretta con la politica, ma ne ha invece molta con il piano metapolitico
e metastorico, di quei valori e di quei simboli su cui si fonda, magari
inconsapevolmente per i più, il nostro comune sentire di uomini
appartenenti alla civiltà europea.
Adesso l’occasione si presenta per così
dire in negativo, nel senso che, sia come appassionato di letteratura
fantastica, sia come partecipe di una certa Weltanschauung
riguardo alla quale sulle pagine di “Ereticamente” mi sono ampiamente
espresso, devo esprimere il mio disgusto e la mia riprovazione per un
esempio di quella fetida morsa di costrizione ideologica che è la
“political correctness” democratica che ci viene imposta, il più delle
volte surrettiziamente, talvolta, come in questo caso, con un clamoroso
atto di prepotenza.
Fino a ora, i premi letterari del World
Fantasy Award assegnato annualmente negli Stati Uniti, “gli oscar”
potremmo dire, della narrativa fantastica, erano rappresentati da delle
statuette-busti riproducenti le fattezze di H. P. Lovecraft. Un
riconoscimento, io penso, assolutamente dovuto alla memoria del grande
autore di Providence.
Bisogna ricordare che Lovecraft è stato
un grande innovatore nel campo della letteratura horror, che fino alla
sua intuizione geniale, tutto questo sottogenere del fantastico si
basava sulla descrizione di un’umanità deformata e resa “mostruosa”:
spettri, vampiri, licantropi, streghe, zombi, cinque tematiche, non una
di più, estremamente ripetitive che, tolto qualche raro capolavoro,
condannavano questo ramo della letteratura fantastica a essere
inevitabilmente una produzione di serie B nei casi migliori o altrimenti
a livelli ancora più infimi.
H. P. Lovecraft
Tutto ciò, naturalmente, non conta
proprio nulla in confronto alla mancanza di “correttezza politica” agli
occhi degli ossessionati e ossessivi, orwelliani cultori dell’ortodossia
democratica. Politicamente, Lovecraft era ostile alle utopie
democratiche e progressiste. Da qualche anno in qua, si è sparsa la voce
che fosse un “razzista”, imperdonabile peccato dei peccati agli occhi
dei santoni democratici, quanto basta per essere cacciati nell’inferno
dei reprobi.
Quest’anno, una petizione firmata da
2600 idioti trinariciuti (dato il livello intellettuale di una simile
iniziativa, è possibile che molti di loro non abbiano in realtà firmato
ma si siano limitati ad apporre un segno di croce) invocante la
rimozione del busto di HPL come simbolo del World Fantasy Award è stata
consegnata agli organizzatori del premio, che hanno graziosamente
acconsentito. Se qualcuno pensava che gli idioti trinariciuti di
sinistra fossero una specialità tutta italiana, si deve ricredere, ne
esistono anche negli USA.
La faccenda è grottesca: Lovecraft è
morto da quasi ottant’anni. In questi decenni sono state pubblicate e
ripubblicate, rese disponibili al grosso pubblico tutta la sua narrativa
e il suo corposo epistolario, e mentre generazioni di lettori non vi
hanno trovato nulla da ridire, a più di tre quarti di secolo dalla sua
scomparsa, qualcuno si accorge che era “un razzista”, un fascista
magari.
Quest’accusa ha fatto strada e si è
ingrandita fino a diventare “vox populi” precisamente con la tecnica
calunniatoria raccomandata da don Basilio, a partire dalle
escogitazioni, qualche anno fa di tale Michel Hoellebecq. Costui, un
critico letterario con velleità di autore cresciuto alla scuola peggiore
che possiate immaginare, quella dei “nouveaux philosophes” francesi,
usi a produrre intrugli indigeribili di marxismo, psicanalisi,
esistenzialismo, strutturalismo, scuola di Francoforte, pensò bene di
farsi i denti affondandoli in un bersaglio facile, il povero HPL non in
grado di replicare in quanto defunto da decenni.
Lovecraft non ha mai nascosto per tutta
la sua vita l’avversione verso le idee “progressiste”, ha stigmatizzato
le degenerazioni estetiche dell’arte moderna, era, per indole,
tradizione e cultura una persona che non si potrebbe collocare altro che
“a destra”. Questo basta per farne il “bieco” razzista e fascista
descritto da Hoellebecq?
Il “critico” francese fa una
semplificazione grossolana di molte cose, a cominciare dal fatto che le
idee razziali erano comuni nella cultura occidentale fino alle due
guerre mondiali, esattamente come negli ultimi settant’anni è diventata
comune la loro messa al bando; e inoltre il fatto che H. P. Lovecraft
era, a detta di tutti coloro che l’hanno conosciuto, un uomo di
un’innata signorilità, che non avrebbe trattato nessuno meno che con
cortesia, a prescindere dalle origini di quest’ultimo. Fra i suoi
corrispondenti e amici, c’erano anche diversi ebrei; fra questi il più
noto è certamente Robert Bloch, che doveva poi essere l’autore di Psycho, e che fu iniziato alla letteratura fantastica proprio da HPL.
Lovecraft non amava le folle anonime e
razzialmente ibride che popolavano le grandi città americane, e
deplorava la progressiva sparizione del vecchio ceppo anglosassone
discendente dai coloni. E’ un sentimento che oggi, che vediamo le
nazioni della vecchia Europa sconvolte etnicamente e minacciate di
estinzione dall’immigrazione, possiamo ben capire.
Quando si tratta di dimostrare
intolleranza, chiusura mentale e stupidità, in Italia ci si tiene a non
essere secondi a nessuno. Poiché a Lovecraft non piaceva l’immigrazione,
e poiché gli Italiani erano ai suoi tempi una componente non
trascurabile dell’immigrazione negli Stati Uniti, da noi qualcuno che
presumibilmente non ha mai letto un rigo dei suoi scritti, ha pensato
bene di mettere in giro la voce che ce l’avesse in maniera particolare
con gli Italiani.
In realtà, Lovecraft parla di immigrati italiani una sola volta in tutta la sua opera narrativa, nel racconto L’abitatore del buio,
li descrive armati di lumi, crocefissi, immagini sacre, preghiere e
coraggio, che cercano di fare barriera contro il mostruoso “abitatore”
che ha preso possesso della vecchia chiesa sconsacrata; un’immagine di
fede ingenua e di coraggio che non è certo denigratoria.
E’ piuttosto verosimile che a questa
prima operazione censoria segua una tacita messa al bando delle opere
dello scrittore “razzista”. Poi? Il prossimo nel mirino è probabilmente
Robert Howard, il creatore di Conan, amico e discepolo di HPL, che si è già da tempo attirato l’odio delle femministe per il suo personaggio “troppo virile”.
Intanto la fantascienza, soprattutto
quella televisiva che raggiunge milioni di individui che non
prenderebbero mai un libro in mano, è ridotta a veicolo dell’ideologia
mondialista. Se guardiamo quella che è di gran lunga la serie televisiva
“di fantascienza” più diffusa a livello mondiale, “Star Trek”, vediamo
che ci viene rappresentata una società ibrida dove convivono a stretto
contatto di gomito le più diverse razze interplanetarie,
trasparentissima metafora di quella società multirazziale che vogliono
imporci a tutti i costi e di cui ci vantano anche in tal modo le
presunte piacevolezze. Per la cronaca, il defunto Leonard Nimoy che ha
interpretato il personaggio umano-alieno del dottor Spock ed è stato uno
degli sceneggiatori della serie, era ebreo, e il famoso saluto col
palmo della mano aperta e il medio e l’anulare divaricati che egli volle
introdurre a tutti i costi, è un gesto “di benedizione” rabbinico.
Non solo, ma non mancano neppure, per
quanto la cosa sia scientificamente inverosimile, gli ibridi fra gli
umani e le più diverse specie aliene, a cominciare dallo stesso
personaggio di Spock, sempre in lode della società multirazziale,
sebbene qualcuno abbia fatto osservare che un ibrido fra specie di due
pianeti diversi sia meno credibile dell’incrocio fra un uomo e una
pianta di carciofo, che almeno condividono miliardi di anni di storia
evolutiva sullo stesso pianeta. In una mia recente antologia
fantascientifica, “Le vie delle stelle” pubblicata dalle Edizioni Scudo
(e reperibile su lulu.com), c’è un racconto, “Il connettore”, in cui ho
ridicolizzato questa tendenza immaginando l’incontro fra il dottor Spock
e un uomo-carciofo.
Spostiamoci nel nostro Vecchio
Continente. Ci sarebbe da credere che il fatto di appartenere a una
civiltà millenaria, di avere alle spalle una tradizione culturale vasta e
diffusa attraverso un ampio arco temporale, possa offrire una
protezione contro certe ubbie censorie che oggi impazzano alla grande
contro gli autori che hanno il torto di essere “politicamente
scorretti”. Bene, sappiamo che le cose non stanno affatto così.
Pensiamo alla Francia: Pierre Drieu La
Rochelle, Louis Ferdinand Celine, Robert Brasillac sono, fuori di
discussione, una parte importante della letteratura francese della prima
metà del XX secolo, tuttavia sulla loro opera è calata un’implacabile
scura censoria, la condanna all’oblio. Per la Germania vale la stessa
cosa. Hanns Heinz Ewers è stato probabilmente uno dei migliori e più
inquietanti scrittori fantastici europei del XX secolo, tuttavia la sua
opera narrativa è oggi censurata e caduta nell’oblio; la sua colpa
inespiabile: essere stato un fervente nazionalsocialista e avere scritto
il testo dell’Horst Wessel Lied, l’inno del NSDAP.
Se vi illudete che in Italia siamo messi
meglio di così, bene, vi sbagliate di grosso! Come docente di scuola
superiore, mi trovo regolarmente ogni anno a fare da commissario agli
esami di maturità, e questo mi dà un quadro piuttosto chiaro di cosa è
diventato l’insegnamento della letteratura italiana, almeno riguardo
alla quinta classe.
Di tutto il florilegio degli scrittori e
dei poeti risorgimentali, in pratica l’unico sopravvissuto, in ragione
probabilmente del suo sbavante atteggiamento devozionale, è Alessandro
Manzoni. Per il resto, i nostri giovani non devono sospettare che per
oltre un secolo, dal 1815 al 1918, i nostri antenati hanno sognato,
sofferto, combattuto, affrontato la galera o la morte sul campo di
battaglia per ridare all’Italia unità politica e dignità di nazione.
In compenso, antologie, storie della
letteratura e insegnanti si effondono tantissimo su Giovanni Pascoli
fino ad averlo trasformato nella figura centrale della nostra
letteratura tra XIX e XX secolo, a motivo – s’intende – del suo
“impegno” politico socialista e “rosso”. Perlopiù si omette di dire che
questo impegno in concreto si ridusse alla partecipazione a una sola
manifestazione non autorizzata nel corso della quale Pascoli fu
arrestato, che intervenne il suo docente, il reazionario Carducci, a
toglierlo dai guai, e che egli fu talmente sconvolto da quell’esperienza
da non osare mai più occuparsi di politica attiva, fu, in anticipo sui
tempi, il classico esempio di intellettuale “rosso” che “si impegna”
solo là dove non c’è nulla da rischiare.
Pare strano, ma un autore “politicamente
scorretto” non ancora del tutto caduto sotto l’implacabile maglio della
censura democratica, è Gabriele D’Annunzio, ma sospetto che il motivo
di tale quasi inesplicabile benevolenza sia il fatto che l’autore
pescarese ha dato un’interpretazione eccessivamente estetizzante del
superuomo nietzschiano, e può dunque essere strumentalizzato per
denigrare e ridicolizzare indirettamente la filosofia di Nietzsche, cosa
che le zecche in cattedra fanno spesso e volentieri.
Il fatto di essere stato uno dei pochi
premi nobel della letteratura italiana (forse perché non si chiamava
Dario Fo), invece non è valso a salvare Giosuè Carducci da
un’implacabile epurazione; è stato letteralmente cancellato dalle
antologie e dall’insegnamento della letteratura italiana. Vogliamo
scherzare? Fervente patriota e anticlericale, il massimo della
scorrettezza politica.
Io vorrei ricordare la bellissima preghiera che conclude la poesia “Piemonte”:
“Per quella polve eroica fremente, /per questa luce angelica esaltante/o Dio rendine la patria/ rendi l’Italia agli Italiani”.
Oggi l’Italia, “grazie” a settant’anni
di democrazia appartiene a tutti: alla NATO, alla UE, al Vaticano, alla
mafia, a una classe politica talmente parassitaria e avulsa dal contesto
della nazione da essere stata soprannominata “la casta”, all’ultimo
straniero sbarcato sulle nostre coste, a tutti meno che agli Italiani.
Immaginatevi se queste parole potessero giungere all’orecchio dei nostri
giovani e ispirare loro la voglia di riprendersi l’Italia, di riavere
ciò che dovrebbe essere loro di diritto!
L’eliminazione di Carducci dalla storia
della nostra letteratura, probabilmente è solo un primo passo, non vedo
molto sicura nemmeno la posizione di Luigi Pirandello, di cui erano note
le simpatie fasciste (al punto che i “compagni” l’avevano
soprannominato P.randello; e tralasciamo naturalmente il fatto che a
scatenare in Italia un clima di violenza dopo la prima guerra mondiale
furono “i rossi” e quella del fascismo fu solo una risposta).
Non vedo troppo al sicuro nemmeno
Giovanni Verga; dopotutto nei suoi ultimi anni si accostò al fascismo e
nella sua ultima opera, “Dal tuo al mio”, espresse tutta la sua
delusione per le utopie “socialiste”.
Oggi sotto attacco, e prossimo a cadere
vittima della mannaia censoria democratica, sembra essere nientemeno che
il padre della nostra letteratura, Dante Alighieri che, dal punto di
vista della “political correctness” era un pessimo soggetto, islamofobo e
antisemita; nella Divina Commedia non ha solo messo Maometto
all’inferno, ha anche scritto:
“Uomini siate, e non pecore matte/sì che il giudeo tra voi/di voi non rida”.
Versi estremamente pericolosi, che
potrebbero far riflettere sul fatto che l’antisemitismo non è
un’invenzione dei nazionalsocialisti del XX secolo, e che se gli Ebrei,
dovunque e in qualsiasi epoca, si sono attirati l’ostilità dei popoli
che dovevano convivere con loro, dei motivi potevano anche esserci.
Tornando a guardare fuori dall’Italia,
anche William Shakespeare sembra destinato a finire presto sulla lista
nera. Nel “Mercante di Venezia” con il personaggio di Shylock ha fatto
un ritrattino niente male dell’usuraio ebreo.
“Democrazia” è il nome moderno della
tirannide, la “political correctness” è la nuova ortodossia ideologica,
la prescrizione di ciò che il “buon” democratico deve obbligatoriamente
credere: che le razze non esistano, che il meticciato e la creazione di
una società multietnica, la sparizione di nazionalità, popoli e culture
in un calderone dominato dai signori del mercato globale, siano un fatto
positivo. È ovviamente importante che la gente, più è ignorante meglio
è, non abbia accesso a idee e modi di pensare in contrasto con questa
prospettiva, o critici verso di essa. Parafrasando lo slogan di una casa
editrice, si potrebbe dire “meno libri, meno liberi”, perché il fine è
proprio questo, di trasformarci in zombi incapaci di pensare e
ubbidienti schiavi dei padroni della “democratica” economia di mercato
planetaria.
Fonte: ereticamente.net
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