Di: Fabio Calabrese
Se si confronta il comportamento degli
Italiani durante il secondo conflitto mondiale con quello dei nostri
alleati tedeschi e giapponesi, diventa subito evidente una constatazione
molto amara: Germania e Giappone ressero alla prova. Come l’Italia,
queste due nazioni subirono una quantità terrificante di lutti e
distruzioni materiali da parte di un nemico (il cosiddetto “bene
assoluto”) che non si faceva alcuno scrupolo nel colpire nella maniera
più atroce le popolazioni civili, eppure, a differenza dell’Italia
continuarono a combattere unite fino all’ultimo, uscirono dal conflitto
materialmente distrutte ma con il loro onore intatto.
Soprattutto tutto quanto è accaduto in
Europa dal 1989 in poi, dimostra che nemmeno lo smembramento politico
imposto alla nazione centroeuropea durante gli anni della Guerra Fredda,
e neppure lo sterco che è stato versato a piene mani addosso ai
Tedeschi a partire da quella tragica farsa, obiettiva quanto lo può
essere la rappresaglia dei vincitori sui vinti che fu il processo di
Norimberga, sono bastati a minare in questo popolo la consapevolezza e
il senso di appartenenza nazionale.
L’Italia no, ha miserabilmente ceduto.
Il comportamento eroico dei nostri militari in condizioni disperate, a
Nikolaewka, a El Alamein e in mille altre occasioni, l’eroismo ancor più
caparbio di quanti (molti di più di quanti si vuol far credere, ma
sempre troppo pochi) continuarono fino all’ultimo la lotta contro lo
stesso nemico, non compensa se non parzialmente la vergogna della massa
pronta a cambiare casacca per saltare sul carro del vincitore.
Soldati della X MAS durante la RSI (Repubblica Sociale Italiana) |
Il brevetto da Pilota degli aderenti alla RSI,in cui fu asportata la Corona Regia, è succesivamente aggiunta la classica M di Mussolini. |
Bisogna rendersi conto, avere il
coraggio di capire, per doloroso che possa essere, che questa non è una
vergogna da nascondere sotto il tappeto – non esiste un tappeto
sufficientemente grande e spesso alla bisogna – ma un problema da
affrontare.
Certamente, il comportamento del re,
degli alti gradi dello stato e delle forze armate che per primi
disertando vigliaccamente, buttandosi nelle braccia del nemico, hanno
dato un repellente esempio, hanno avuto il loro peso. Come dice il
proverbio, “il pesce puzza dalla testa”, ma non tutto è riducibile a
ciò: si pensi alle folle plaudenti che all’indomani del 25 luglio di
diedero a distruggere i simboli del regime fascista, folle composte da
gente che si era dichiarata fascista fino al giorno prima e che magari
negli anni precedenti al conflitto, dal fascismo non aveva ricevuto che
benefici.
Certo, si imputava al fascismo la
responsabilità della tragedia bellica e della sconfitta che si profilava
imminente. Il popolino non poteva rendersi conto che era stato
soprattutto l’antifascismo a volere la guerra, e nel contempo a sabotare
gli sforzi dei nostri combattenti, a programmare la sconfitta,
precisamente allo scopo di arrivare alla caduta del regime.
Eppure, questi fattori, anche se devono
essere tenuti nella debita considerazione, sono ancora insufficienti per
spiegare quanto è accaduto.
Gli Italiani mostrarono allora, come
continuano a mostrare oggi, una sconcertante mancanza di coesione
nazionale. Se noi vediamo nel suo insieme la massa dei localismi, dei
separatismi che percorre il nostro Paese, possiamo giungere a una sola
conclusione: gli Italiani non vogliono o non vorrebbero essere tali, si
vergognano di esserlo.
Settant’anni di repubblica democratica
imposta dai vincitori, vale a dire di un regime corrotto dove coloro che
si sono ripetutamente avvicendati al potere hanno dimostrato
sistematicamente di non avere altra finalità che quella di mettere le
mani sulla cosa pubblica per interessi personali, hanno avuto ed hanno
in tutto ciò un peso notevole, ma le radici di questa piaga sono molto
più antiche, affondano direttamente nella nostra non esaltante storia
bimillenaria fatta di invasioni e dominazioni straniere, di
frammentazione politica, di assenza dello stato nazionale.
Tutto ciò ha provocato il formarsi di
quella mentalità profondamente radicata, a livello conscio o inconscio,
nella psiche degli Italiani che è stata definita “familismo amorale” per
cui lo stato era/è semplicemente il dominatore di turno, da ingraziarsi
per scamparne le furie, e da raggirare per trarne il massimo utile
personale possibile.
Sessant’anni di stato nazionale liberale
non avevano cambiato nulla, perché i liberali risorgimentali e
post-risorgimentali avevano si dato all’Italia quell’unità nazionale che
mancava da quindici secoli, ma avevano tenuto le masse popolari
rigorosamente fuori dallo stato unitario, che continuava ad apparire
solo come l’ultimo dei dominatori estranei succedutisi nei secoli.
Il fascismo ha fatto quello che poteva
per fare dell’Italia una nazione coesa e per rendere gli Italiani fieri
di essere tali, ma obiettivamente ha avuto troppo poco tempo, vent’anni
erano veramente pochi per l’opera di ricostruzione morale che sarebbe
stata necessaria, e ora, in quel tragico 1943, pagava colpe non sue.
La democrazia che soffriamo da quattordici lustri, non occorrerebbe nemmeno dirlo, poi, ha incancrenito tutte le piaghe.
Il cambio di fronte e di alleanze
avvenuto in piena guerra, non fu soltanto un gesto infame, un tradimento
vergognoso che ha gettato una macchia di discredito e di disonore
sull’Italia e sugli Italiani destinata forse a rimanerci addosso per
sempre, fu anche un’incredibile dimostrazione di faciloneria, di
dilettantismo, di superficialità da sembrare grottesca se non fosse nel
cuore di una delle più atroci tragedie, forse la peggiore in assoluto,
della nostra storia.
Dei Tedeschi si può dire tutto ma non
che fossero o siano degli stupidi. Tra il sequestro di Mussolini e
l’armistizio seguito dal capovolgimento di fronte, passarono un mese e
mezzo, un tempo più che sufficiente ai Tedeschi che avevano capito
benissimo l’aria che tirava, per prendere le necessarie contromisure.
Quelli che invece furono del tutto colti alla sprovvista, furono gli
Italiani, le forze armate e la popolazione civile.
Tutto il succedersi degli eventi
dimostra la faciloneria sconcertante di coloro che avevano defenestrato
Mussolini. Il re nominò capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio.
Il principale “merito” di quest’uomo era stato nella prima guerra
mondiale, di essere il responsabile del disastro del 24 ottobre 1917,
dello sfondamento austriaco avvenuto non a Caporetto, ma a Tolmino, il
suo settore, anche se poi fu “spostato” su quello adiacente precisamente
per coprire le sue responsabilità. Era stato e continuò a essere uno
dei comandanti più detestati dalle truppe per la sua mancanza di qualità
umane. Nelle fasi conclusive della guerra d’Etiopia, era riuscito a
sostituire Rodolfo Graziani come comandante in capo, in modo da farsi
attribuire senza merito la conquista di Addis Abeba e la caduta
dell’impero del Negus; era insomma una nullità come uomo e come
comandante, come politico riuscì presto odioso agli stessi antifascisti.
L’armistizio fu concluso nella località
siciliana di Cassibile fra le autorità militari angloamericane e il
plenipotenziario italiano, generale Castellano, il 3 settembre 1943, ma a
questo punto Badoglio, spaventato dalla possibile reazione tedesca, non
se la sentì di renderlo pubblico.
Foglietti anonimi circolanti all'indomani dell'8 settembre 1943 |
L’annuncio dell’armistizio fu dato da Badoglio la mattina dell’8 settembre dopo che il comandante americano, il generale Eisenhower, aveva minacciato di renderlo pubblico di propria iniziativa se gli Italiani non si sbrigavano a farlo, e in effetti dopo che la notizia era già stata data dalla radio canadese.
E’ importante sottolineare che questo
comunicato radio fu dato in maniera del tutto irrituale, cioè senza
seguire nessuna di quelle normali procedure che servivano a impedire che
si potessero credere provenienti dai comandi falsi ordini diramati dal
nemico, in chiaro e senza nessuna conferma in cifra. In pratica, le
forze armate e l’Italia intera vennero lasciate senza ordini e allo
sbando. Nulla era stato fatto per preparare le nostre truppe,
soprattutto quelle che si trovavano in territorio straniero a contatto
di gomito con le unità tedesche, all’imminenza del cambiamento di
fronte.
E’ ben noto, ad esempio, anche perché sono settant’anni che gli antifascisti ci ricamano sopra, il tragico episodio dell’isola greca di Cefalonia, dove la nostra divisione Acqui fu massacrata dopo che i suoi comandanti si rifiutarono di cedere le armi ai Tedeschi in una situazione militarmente indifendibile. Si trattò tuttavia di un episodio relativamente isolato, la cui responsabilità, prima che sui Tedeschi, ricade sul governo Badoglio e sui comandanti della Acqui che pretesero che i loro uomini si sacrificassero senza speranza per un concetto dell’onore militare che gli alti comandi avevano già calpestato.
In generale, però la reazione tedesca fu
più moderata di quel che c’era da aspettarsi date le circostanze, e di
quel che la propaganda antifascista racconta: coloro che accettarono di
cedere le armi ebbero il normale trattamento dei prigionieri di guerra.
Chi invece decise di continuare a combattere lo stesso nemico, non ebbe
problemi di sorta, ne è un esempio la Decima Mas, il cui comandante
Junio Valerio Borghese optò per la prosecuzione del conflitto a fianco
dello stesso alleato e contro lo stesso nemico con cui era cominciato,
prima ancora della proclamazione della Repubblica Sociale.
Quello che invece gli antifascisti e i
libri di storia ispirati all’antifascismo che impestano la scuola
italiana, i media di regime che ci asfissiano con storie “resistenziali”
e via dicendo, non raccontano, è la sorte toccata ai nostri militari
già prigionieri degli angloamericani. Quelli di loro che rifiutarono di
aderire al governo “cobelligerante” persero lo status garantito dalla
condizione di prigionieri di guerra e furono internati nei sinistri
lager noti come “Fascist criminal Camp”, il più noto dei quali fu quello
di Herford in Texas, il cui scopo, fra sevizie e fame, era la loro
distruzione morale e fisica. Pensate che i campioni della democrazia
angloamericani non abbiano avuto i loro campi di sterminio? Ebbene, vi
sbagliate!
Non certo migliore fu il trattamento
riservato ai prigionieri italiani da parte dei sovietici prima o dopo
l’8 settembre. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica è emersa dagli
archivi sovietici fin allora impenetrabili, una lettera del leader
comunista italiano (si fa per dire) Palmiro Togliatti a Stalin.
Rifugiatosi nel “paradiso socialista” staliniano, Togliatti, “il
migliore” era diventato segretario e uomo di fiducia del tiranno e boia
del popolo russo.
Questa lettera era la risposta di
Togliatti a Stalin che gli chiedeva se fosse il caso di riservare ai
prigionieri italiani un trattamento meno disumano di quello riservato ai
tedeschi. Togliatti rispose negativamente: ogni soldato italiano morto
in Russia, avrebbe significato una famiglia di antifascisti in più in
Italia. Se quest’uomo era “il migliore”, come i suoi seguaci l’avevano
soprannominato, immaginate cosa dovevano essere gli altri!
Il voltafaccia dell’8 settembre fu una
macchia di disonore indelebile nella nostra storia, ma quel che accadde
subito dopo, fu ancora peggio, la mattina del 9 il re, la famiglia
reale, Badoglio con il suo governo, fuggirono da Roma per raggiungere il
sud già occupato dagli Angloamericani e andare a mettersi sotto la
protezione del nemico.
Non si era mai visto fin allora nella
storia che un re, un governo, gli alti gradi militari disertassero in
massa, fuggissero con un comportamento che avrebbe spedito davanti al
plotone d’esecuzione il più umile dei fantaccini.
A Brindisi fu costituito un governo
fantoccio sotto la protezione angloamericana. Ovviamente, il voltafaccia
e la diserzione facevano comodo agli “alleati”, ma questi non fecero
proprio nulla per celare il disprezzo che giustamente provavano nei
confronti dei loro nuovi “cobelligeranti”. Per prima cosa, imposero a
Vittorio Emanuele III un’abdicazione de facto, obbligandolo a trasferire
tutti i poteri al principe ereditario Umberto, che divenne luogotenente
del regno, lo stesso Umberto che sarà re per un mese nel maggio 1946,
l’ultimo re d’Italia.
Non ci si limitò a questo; l’aeronautica
del ricostituito esercito del sud, ad esempio, fu impiegata nei Balcani
in appoggio alle bande partigiane del maresciallo Tito. I nostri piloti
non sapevano di contribuire al massacro della nostra gente sulla sponda
orientale dell’Adriatico, ma gli “alleati” con ogni probabilità lo
sapevano benissimo, ed era il più tragico dei dileggi.
Quanti avevano scelto il sud non per
opportunismo, ma per un concetto di lealtà (“ubbidire agli ordini del
re”) che non trovava più rispondenza nei fatti, capirono presto il clima
avvelenato di vergogna e disonore che li circondava. I casi più
drammatici furono quelli dell’eroe sommergibilista Carlo Fecia di
Cossato che si suicidò, e dell’asso degli aerosiluranti Carlo Emanuele
Buscaglia che, dopo aver rubato un bimotore Baltimore, precipitò nel tentativo di raggiungere il nord.
Certamente, non si può negare ai
Tedeschi la capacità, all’occorrenza, di agire con efficienza e
rapidità. Subito dopo l’8 settembre scattò l’occupazione dell’Italia,
almeno delle parti ancora non invase dagli Angloamericani. Su questo
rapido intervento tedesco, certamente programmato da gran tempo ed
attuato nello stile dinamico del Blietzkrieg, della guerra
lampo dell’inizio del conflitto, sono state scagliate da parte
antifascista le più atroci maledizioni, ma io come giuliano non posso
ignorare il particolare che esso venne quanto meno a interrompere gli
eccidi della popolazione italiana a opera dei partigiani jugoslavi che
erano già cominciati sulla sponda orientale dell’Adriatico, i primi
infoibamenti, che concesse alle nostre martoriate popolazioni almeno un
anno e mezzo di respiro.
Un caso esemplare, fu quello di Norma
Cossetto, una ragazzina sedicenne la cui unica colpa era quella di
essere figlia di un gerarca locale. Sequestrata dai partigiani
jugoslavi, fu atrocemente seviziata dopo essere stata ripetutamente
violentata e infine uccisa.
Catturati dai Tedeschi, quattro degli
assassini partigiani furono fucilati dopo essere stati costretti a
passare una notte in compagnia del cadavere della ragazza. Considerato
quello che la nostra gente ha subito, è una consolazione che almeno
quattro canaglie di quella infame genia abbiano avuto quello che
meritavano.
L’Italia divisa in due e trasformata in
campo di battaglia, iniziava il capitolo tristissimo della guerra civile
che veniva a sommare i suoi orrori a quelli del conflitto.
fonte: ereticamente.net
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