Chi siamo noi o grande saggio?,noi siamo i discendenti di coloro che furono e saranno per sempre,coloro che vennero e ritorneranno;Siamo coloro in cui dimora la scintilla divina,siamo i guardiani della luce,eravamo ad atlantide,ritorneremo nell'era del suo ritorno.
(Tradizioni e cerimonie lupi bianchi)
Al lettore non sarà forse sfuggito come nella letteratura fantascientifica e, in generale, fantastica, affiori ripetitivamente il tema del ‘dopo’: del mondo che ci sarà dopo questo, destinato necessariamente al dissolvimento, con obliterazione della presente civiltà e modo di vita. Questo tema non è tanto nuovo: ai tempi della ‘guerra fredda’, il ‘dopo’ era generalmente presentato come il post-olocausto nucleare, a sua volta prospettato come un ‘fenomeno della natura’, per prevenire il quale non c’era niente da fare. Adesso, la tematica del post-catastrofe ecologica si fa avanti sempre più insistentemente – non senza una valida ragione – presentata anche quella come qualcosa di ‘inevitabile’. Il fatto che masse crescenti di genti civili accettino supinamente questo tipo di cose come ‘fenomeni della natura’ è di per sé un indicatore addizionale che effettivamente stiamo andando incontro a un’epoca di stravolgimento esistenziale: a una cesura nel tempo.
Sotto queste condizioni è stato ritenuto utile di
riproporre la casistica dei ‘continenti perduti’ – ‘inabissati’ -, ma
affrontandola sotto punti di vista totalmente diversi da quelli
semplicemente storici – o fantascientifici o sensazionalistici –
generalmente adottati nella letteratura corrente. Sull’Atlantide
esistono 20 – 25.000 pubblicazioni, fra libri e opuscoli (pochissime,
spesso quasi niente, sugli altri ‘continenti perduti’). A questa pletora
di carta stampata non sarebbe stato certo il caso di aggiungere, se non
si avesse avuto la convinzione di avere da dire qualcosa di nuovo e di
diverso.
Questo libro, originalmente, doveva fare da
appendice a un altro, sull’argomento dell’equilibrio antropocosmico, che
lo scrivente ha in progetto e che sarà probabilmente completato nel
prossimo futuro. Si è poi optato per una stesura separata per non
appesantire eccessivamente quel testo e anche perché quello dei
‘continenti perduti’ è un tema che può essere trattato indipendentemente
e che possiede un suo specifico interesse.
ATLANTIDE, MU, LEMURIA, GONDWANA, IPERBOREA
Note introduttive
Come schema strutturale – come ‘struttura portante’ o paradigma -, per un esposto generale dell’argomento dei ‘continenti perduti’, si può adottare quello ammesso dalla letteratura teosofica (1). Lì si prospetta una successione di ‘razze radicali’, o ‘razze madri’, a ognuna delle quali si presume sia corrisposto uno specifico habitat - ‘continente’; ‘mondo’ – destinato alla lunga alla distruzione catastrofica, per inabissamento o conflagrazione vulcanica, come conseguenza di sconvolgimenti naturali; facendo così posto alla seguente ‘razza radicale’, abitante di un altro ‘mondo’ non carente però di un qualche nesso di continuità con quello precedente. Ogni ‘razza madre’, dopo la sua caduta, lascia indietro dei residuati umanoidi, dalla psicologia spesso incomprensibile; e i corrispondenti ‘continenti’ dei relitti geologici, sotto forma, generalmente, di isole.
Da notarsi comunque che anche nella letteratura
teosofica – peraltro, sia chiaro, pregevole – non sembra esserci il
concetto dell’illimitato divenire, senza principio né fine, che è invece
proprio di ogni Weltanschauung sanamente tradizionale: anche i
teosofi soggiacciono, forse senza avvedersene, alla concezione
segmentaria del tempo, secondo la quale ogni cosa deve avere avuto un
inizio e deve, alla lunga, finire in gloria dopo un processo di
‘perfezionamento’. Le ‘razze madri’ verrebbero a essere in tutto sette
(quattro passate, una presente, due future). L’umanità civile attuale
verrebbe a essere la quinta ‘razza madre’, quella atlantidea la quarta e
quella lemuriana la terza. E il ciclo dovrebbe finire per chiudersi con
degli esseri ‘perfetti’ (qui si mette mano a concetti tipo
riincarnazione, karma, ecc., resi fumosi da un’interpretazione
moralistica) (2). Viceversa, la teosofia mostra sempre una
preoccupazione per coordinare la propria cronologia con quella della
scienza geologica ufficiale, quella delle ‘ère geologiche’ (3). Ne
risulta che le ‘razze madri’ più antiche convissero con i dinosauri e
altri animali preistorici – né la cosa è assurda: l’uomo (‘uomo’ in
senso lato) è di immemoriale antichità e l’antropogenesi (ammesso che di
antropogenesi si possa parlare) si perde nella notte dei tempi (4). La
presunta ‘modernità’ della specie umana, sostenuta maldestramente dalla
scienza ufficiale contemporanea, obbedisce al dogma evoluzionistico
darwiniano e non ha niente di veramente scientifico.
I testi teosofici (e non solo quelli) molto
spesso dicono di fare riferimento a documenti di antichità immemoriale,
la cui visione è permessa solo a persone ‘qualificate’ (la Blawacki
faceva riferimento a un fantomatico libro tibetano, le cosiddette Stanze di Dzyan [5],
mentre il già citato Scott-Elliot parla di antichissime mappe su
terracotta o pergamena); nonché a fonti psichiche (6), cioé alle
possibilità parapsicologiche di certi ‘veggenti’ particolarmente dotati.
Si tratta, è chiaro, di fonti poco verificabili e
anche magari opinabili; il che non togli che, nell’insieme, la visione
teosofica sia, a parer nostro, adatta a fare da struttura portante per
questo argomento. Essa fu adottata, peraltro, dallo stesso Julius Evola (7).
Né le ‘fonti psichiche’ vanno prese del tutto
sottogamba – anche se, ovviamente, ci vuole un certo criterio nel
valutarle. In riguardo, è il caso di ricordare che l’Atlantide non fu
un’invenzione di Platone,
né egli è l’unico autore dell’antichità che ne parla: è invece vero che
la ‘nozione’ di una grande civiltà scomparsa posta a ‘occidente’
(‘oltre le Colonne d’Ercole’) era molto diffusa a quei tempi – essa
circolava nella ‘psiche collettiva’ dell’Europa antica. Viceversa,
nell’Africa nera c’era una diffusissima ‘nozione’ secondo la quale i
negri non si consideravano una razza giovane, ma enormemente arcaica e
crepuscolare (8) – e i negri sarebbero, secondo la letteratura
teosofica, fra i ‘fossili viventi’ che ci ha lasciati indietro la
Lemuria.
La geologia ufficiale ci assicura che l’Atlantide platonica (e, a fortiori,
il resto dei ‘continenti scomparsi’) non possono essere esistiti (9).
Qui è il caso di ricordare che la scienza ufficiale, che spesso e
volentieri segue mode culturali, ha un valore del tutto relativo quando
si tratta di valutare eventi posti in epoche o luoghi remoti – per
esempio, la teoria della deriva dei continenti, lanciata da Alfred
Wegener nel 1915, fu inizialmente coperta di ridicolo dai santoni dell’establishment scientifico
(allora erano in voga i ‘ponti intercontinentali’), mentre adesso è
divenuta una colonna portante della scienza geologica ufficiale (fino a
quando, staremo a vedere). Vale comunque l’osservazione che una cosa è
prendere alla lettera la svariata letteratura sull’Atlantide ecc. e
un’altra ammettere che i ‘continenti perduti’ possano avere avuto
un’esistenza obiettiva di qualche genere, in un passato difficilmente
precisabile.
Si è già menzionato che sull’Atlantide ci sono
migliaia di pubblicazioni e molte meno sugli altri ‘continenti perduti’:
si tratta sempre di scritti specifici su di un certo ‘continente’. Che
lo scrivente sappia, l’unica opera dove si cerchi di dare una visione
d’insieme è quella di Serge Hutin, Hommes et civilisations fantastiques (10).
Atlantide
L’Atlantide classica
L’Atlantide, come essa è generalmente intesa, viene a essere quella ‘grande isola’ oltre le Colonne d’Ercole descritta da Platone nei suoi dialoghi Critia e Timeo.
La letteratura in riguardo è ipertrofica (11), e qui ci si limiterà a
qualche pertinente osservazione. – Secondo certe fonti (12), l’Atlantide
originalmente sarebbe stata una specie di ponte intercontinentale fra
l’America e l’Europa che si sarebbe ‘sgretolato’ a più riprese,
l’Atlantide platonica venendo a essere quel che ancora ne rimaneva verso
la metà dell’XI millennio a.C., quando essa scomparve per immersione
nei flutti del mare.
Qui interessa fare notare che è estremamente improbabile che Platone
si sia inventato di sana pianta il suo racconto e che invece si può
prendere per certa la verità di quanto egli afferma (che glie lo aveva
raccontato Critone, che a sua volta lo aveva ascoltato da suo nonno
Solone, che lo aveva appreso da sacerdoti egiziani). E comunque, prima,
contemporaneamente e dopo Platone, parecchi autori antichi hanno parlato dell’Atlantide, in termini analoghi a quelli platonici anche se in minore dettaglio: Esiodo, Omero (nella sua Odissea), Solone, Euripide,
Strabone, Dioniso di Alicarnasso, Diodoro Siculo, Plinio, Teopompo,
Marcello (13) – il tema dell’Atlantide faceva parte della ‘memoria
ancestrale collettiva’ di tutto il Mediterraneo da lunghissimo tempo.
Questo sembrerebbe invalidare quelle teorie secondo le quali l’Atlantide
avrebbe potuto essere nei più svariati luoghi, mentre Platone,
a conoscenza di un qualche cataclisma geologico o meteorologico di
grandi dimensioni, lo avrebbe utilizzato come spunto per imbastire la
sua storia. Qualche notizia in riguardo sarà data più avanti, ma va
detto subito che tutte queste teorie si rivelano insoddisfacenti: la
svariate ‘Atlantidi’ poste nei più disparati luoghi del mondo non sono
l’Atlantide.
Le ‘colonie’ atlantidee
Generalità
Nella letteratura sull’Atlantide è rappresentata
spesso l’idea che prima del suo inabissamento essa avrebbe fondato una
serie di colonie sia in Europa che in America, le quali, in qualche
modo, ne avrebbero prolungato la civiltà – pur serbando un ricordo
impreciso e confuso delle loro origini. La civiltà delle piramidi –
presente dall’Egitto attraverso la Sumeria fino all’estremo Oriente e
anche in America (14) – è stata indicata come il più probabile
‘prolungamento culturale’ dell’Atlantide. Meno attenzione invece è stata
data al fenomeno megalitico, che pure, in questo riguardo, forse
presenta un maggiore interesse. Sul megalitismo ci si dilungherà un po’
nella sezione che segue.
I megaliti
Il fenomeno megalitico si è dato in Europa, in
Nord Africa, nel Medio Oriente, e poi attraverso l’Asia centrale e
meridionale si è esteso agli arcipelaghi del Pacifico e all’Australia e
ha attraversato il Sahara per raggiungere l’Africa nera; ed è presente
anche in America (15) – di notevole importanza il fatto che il
megalitismo è legato, in Eurasia e in Africa, al culto del toro. Secondo
alcuni autori, fra i quali Alberto Cesare Ambesi e Pierre Carnac (16),
nella civiltà megalitica si dovrebbe ravvedere il nocciolo dell’idea
dell’Atlantide, tanto più che essa fu, in parte, fisicamente sommersa ai
tempi della fine dell’ultima glaciazione (fatto ammesso ufficialmente
anche dalle scienze universitarie). Il megalitismo europeo è
perfettamente documentato, quelli asiatico e polinesiano molto meno,
scarsissimamente quello americano (17), con l’eccezione di certe
formazioni subacquee nella zona di Bimini (isole Bahamas) che potrebbero
essere resti megalitici e che certuni hanno addirittura voluto
identificare con la platonica Atlantide (18). Si tratta comunque di una
faccenda ancora pochissimo chiara.
La civiltà megalitica, in tempi preistorici e
protostorici, ebbe come origine l’Europa occidentale da dove, per
diffusione culturale, si estese enormemente (anche il megalitismo
americano ha da essere visto, probabilmente, come di origine europea,
anche se in riguardo qualsiasi affermazione non può essere se non
arbitraria). La ‘sostanza genetica’ dei suoi artefici ha da ravvedersi
in quella sottorazza della razza europide che ebbe come centro di
diffusione quella medesima Europa occidentale, a ovest del Reno – la
‘razza’ mediterranea o, più esattamente, occidentale (19). E la civiltà
megalitica ebbe delle caratteristiche tutte proprie che la rendono il
candidato più idoneo per incarnare l’Atlantide platonica: culto del
toro, orientamento ctonio dei suoi culti religiosi
e – molto importante – la spiccata lunarità del suo orientamento
astrologico (20). Alcuni fra i monumenti megalitici principali (per
esempio, Stonehenge [21]), sembrerebbero essere stati osservatori
astronomici nei quali appositi sacerdoti elaboravano oroscopi lunari
(22). Tutte queste sono caratteristiche crepuscolari e decadenti, da un
punto di vista tradizionale superiore, che indicano in quella civiltà
qualcosa di residuale, al seguito di una qualche catastrofe. Nè va
sottovalutato il fatto che la costruzione dei megaliti propone degli
insolubili problemi tecnici (per chi ragioni sulla falsariga del
pensiero tecnico contemporaneo), non dissimili da quelli proposti dalle
costruzioni incaiche del Perù (23) – su di questo si ritornerà alla fine
di questo scritto.
Le ‘Atlantidi-Ersatz’
Si è già menzionato come certuni, nell’impossibilità di prendere alla lettera il racconto di Platone, ma non riuscendo a vedere le sue eventuali valenze simboliche, abbiano ipotizzato che egli abbia preso come spunto qualche catastrofe fisica o storica meglio conosciuta per imbastire i suoi racconti. Poi, molti hanno usato il concetto di Atlantide per costruire di sana pianta dei mondi inventati o per dare un qualche ‘paludamento di lusso’ a storie più o meno immaginarie poste nel passato di luoghi che a loro stavano a cuore (24). Sotto questa casistica ricadono le ipotesi dell’Atlantide a Thera, di Spiridon Marinatos, quella nella Spagna meridionale, di Adolf Schulten, e tante altre descritte in dettaglio nelle opere atlantologiche da noi già indicate nelle note. È appena il caso di ripetere che queste ‘Atlantidi-Ersatz’ non convincono assolutamente. Ci si soffermerà brevemente su due casi poco conosciuti, sia per ragione di completezza che per il loro valore particolare.
1.2.3.2 L’Atlantide nel Mare del Nord di Jürgen Spanuth
Il pastore luterano Jürgen Spanuth, parroco in un
paesino dello Schleswig posto in quell’incantevole Dithmarsch alla
quale il pittore Hans-Heinz Domke dedicò un’eccellente collezione di
paesaggi (25), sostenne in un suo poderoso e documentatissimo libro (26)
che l’Atlantide era stata nel Mare del Nord, fra la Dithmarsch e
l’isola di Helgoland; e che il suo inabissamento non sarebbe stato se
non verso la metà del II millennio a.C. Queste sue affermazioni egli
basa, essenzialmente, su due presupposti: (a) quando Platone
parlava di 10.000 anni prima della sua epoca, si trattava invece di
10.000 mesi, in quanto gli egiziani parlavano, sembra, in termini di
mesi e non di anni e che quindi a Solone avrebbero raccontato che
l’Atlantide si era inabissata 10.000 mesi, e non anni, addietro (e lui
capì male); (b) la validità del cosiddetto eschatologische Schema [schema
escatologico] secondo il quale ci sarebbe stata una tendenza in tutte
le opere letterarie dell’antichità di proiettare nel futuro disastri
realmente accaduti nel passato: per cui, i racconti apocalittici dell’Edda (Ragnarök),
nonché di fonti classiche ed egiziane, si riferirebbero a cose
realmente accadute nel passato. Basandosi su di queste due assunzioni,
egli approda all’idea che i platonici atlanti furono in realtà i
filistei e i hiksos che verso la metà del II millennio conquistarono
l’Egitto (‘germani’ provenienti dallo Schleswig, secondo lo Spanuth,
illiri invece in base ai moderni dati dell’indoeuropeistica).
Lo Spanuth conclude dicendo che la platonica Poseidonia, capitale
dell’Atlantide, doveva essere nel Mare del Nord, non lontano da dove
adesso c’è l’isola di Helgoland, e che nel fondo marino (‘Steingrund‘) della zona ne dovrebbero rimanere le tracce.
Le ‘Atlantidi’ sotterranee
Esiste una persistente leggenda a proposito di un ‘Re del Mondo’ e di una civiltà sotterranea fondata – o nella quale avrebbero trovato rifugio – dei non meglio identificabili ‘saggi’ provenienti da qualche luogo imprecisato travolto da una qualche catastrofe (27). – Qui vale la pena di ricordare come, indipendentemente da qualsiasi riferimento mitico, Ivan Sanderson (28) aveva convincentemente ipotizzato l’esistenza di una civiltà sottomarina indipendente e parallela a quella sulla superficie della terra (se c’era, adesso sarà certamente stata affogata dalla montante contaminazione degli oceani). Il Sanderson non faceva ipotesi su quali potessero essere gli esseri portanti di quella ipotetica civiltà; ma il suo libro vale a dimostrare come esista la possibilità obiettiva dell’esistenza di civiltà del tutto dislocate, poste in ‘nicchie ecologiche’ diverse, che menino ognuna una sua esistenza autonoma senza neanche rendersi conto l’una dell’altra.
Comunque, forse abusivamente, anche la casistica
delle ‘città sotterranee’ è stata abbinata al fatto ‘Atlantide’ – e
così, soprattutto in Sud America, ‘città atlantidee’ poste sotto i
massicci montagnosi o nel sottosuolo amazzonico sono state indicate da
diversi esploratori, come Percy Fawcett e Paul Gregor (29). Allo
scivente toccò, durante il suo soggiorno in Sud America, di fare la
conoscenza di un esploratore italiano, Roberto Lovato, che lo assicurò
di avere trovato una città ‘atlantidea’ sotterranea vicino alle sorgenti
dell’Uraricuari (30).
Mu
Stando alla documentazione esistente, tutto ciò
che si riferisce a Mu, continente ‘inabissatosi’ nel Pacifico centrale
grosso modo allo stesso tempo dell’Atlantide (circa XI millennio a.C.),
ha la sua origine nelle pubblicazioni di James Churchward, ufficiale
coloniale inglese in India nella seconda metà del secolo XIX (31). Egli
ne avrebbe appreso l’esistenza attraverso certe tavolette di terracotta –
le ‘tavolette dei naacal’ -custodite in un tempio indiano del cui riši
egli era divenuto amico. I naacal sarebbero stati una confraternita di
‘saggi’, provenienti da Mu, i quali le avrebbero scritte o a Mu stesso,
prima del suo inabissamento, oppure in Birmania dopo il medesimo, da
dove poi esse furono esportate in India. Churchward dà una trascrizione
dell’alfabeto di Mu nei suoi scritti, ma gli originali delle tavolette
non sembra siano stati mai più visti da alcuno dopo di lui. In quelle
tavolette sarebbe stata descritta la storia di Mu (vecchia di oltre
50.000 anni) nonché una dettagliata descrizione del medesimo, presentato
come una specie di ‘paradiso tropicale’ altamente civile, nel quale
convivevano pacificamente tutte le razze umane ma dove la razza bianca
aveva in mano il potere. L’inabissamento di Mu viene attribuito a un
improbabile processo geologico (collasso di sacche di gas poste sotto la
sua superficie), che avrebbe lasciato indietro come relitti gli
arcipelaghi del Pacifico (un po’ come, secondo certuni, le isole
dell’Atlantico orientale sarebbero relitti dell’Atlantide).
In modo non dissimile a quanto è stato affermato
sull’Atlantide, Mu avrebbe, prima del suo inabissamento, ‘colonizzato’ e
incivilito altre terre, incominciano dalla costa americana del Pacifico
e dall’Asia orientale e centrale, da dove i suoi tentacoli sarebbero
arrivati un po’ dappertutto (la stessa Atlantide viene indicata come una
colonia di Mu). La civiltà delle piramidi viene indicata come di
origine muana, e sarebbe giunta in Egitto dal Medio Oriente e lì
dall’Asia centrale. – Il Churchward, dopo avere visionato le tavolette
dei naacal, dedicò il resto della sua vita a cercare evidenza per
puntellare la sua teoria dell’origine muana di tutta la civiltà. Questo
suo lavoro egli descrive nelle sue opere e fu proseguito da un suo
discepolo francese, Jean-Claude Vincent (32). Sia il Churchward che il
Vincent danno un’importanza determinante a certe pietre incise (del II
millennio a.C., secondo si afferma), trovate nel Messico occidentale da
un certo William Niven.
Un’analisi comparata di quanto ha da dire
Churchward sul conto di Mu e della classica teoria platonica
dell’Atlantide – poi sviluppata dagli atlantologi, teosofi o meno –
rende l’idea che Mu venga a essere una specie di immagine speculare
dell’Atlantide, posta ai suoi antipodi ma conservante tutte le sue
caratteristiche principali, reali o presunte.
Sappiamo che il Churchward era un ‘patito’
dell’India e dell’Asia sud-orientale – e si è evidenziato che l’idea del
continente di Mu è esclusivamente sua, nel senso che (a differenza del
caso dell’Atlantide di Platone) non è sostenuta da alcuna documentazione indipendente. Insorge quindi il sospetto che anche Mu possa essere un’altra ‘Atlantide-Ersatz‘.
Lemuria
Il continente della Lemuria, sito nell’Oceano
Indiano, fu proposto dalla Blawacki come ‘supporto’ per la sua quarta
‘razza radicale’, e lo chiamò Lemuria ricalcando il nome che lo zoologo
Philip Sclater aveva dato a un ipotetico continente che un tempo,
secondo lui, era esistito nell’Oceano Indiano. Esso sarebbe stato
distrutto, eoni addietro, da attività vulcanica (non per inabissamento).
Il già citato Scott-Elliot è l’unico che si riferisca in dettaglio a
questo continente; e per quanto egli asserisca di basarsi su fonti
soprattutto ‘psichiche’, quanto ha da dire non manca di spunti
notevolmente interessanti.
Vestigia della Lemuria sarebbero l’Australia e la Nuova Zelanda, il
Madagascar, l’Africa meridionale e la Terra del Fuoco. Queste sono
proprio le terre dove fino a recentissimamente allignavano (e in parte,
ancora allignano) quei tipi umani descritti dagli etnologi come posti
all’ultimo gradino della specie: negri, boscimani, australoidi
d’Australia e Indostan, pigmei di vario tipo, fueghini (tutti
esplicitamenti menzionati dallo Scott-Elliot come ‘fossili viventi’
lemuriani). Particolarmente interessante è il Madagascar, isola che per
quel che riguarda la sua flora e la sua fauna viene a essere un
microcontinente a sé stante, né africana né asiatica (33). Anche se,
storicamente, il Madagascar fu popolato per la prima volta da genti
indonesiane solo un migliaio di anni fa (e adesso, attraverso
l’importazione di schiavi, la sua popolazione si è quasi interamente
africanizzata), la sua atmosfera ‘psichica’ e religiosa
non manca di tratti particolari che non sono né indonesiani né bantù
(34) – residuo psichico, forse, di un’umanità arcaica ormai fisicamente
estinta.
Alla Lemuria è stata anche attribuita una
‘civiltà’, nei suoi tempi di pieno rigoglio – che però non è
immaginabile se non come qualcosa di ctonio e sinistro, sul tipo di
quella meroitica o zimbabweana. L’uomo lemuriano, supporto di questa
civiltà, è descritto come uno strano essere semi-rettiliano,
dall’intelligenza larvale, dotato di un ‘terzo occhio’ e coevo dei
dinosauri, che egli anche addomesticava (35); mentre le sue
comunicazioni avvenivano per via telepatica – col tempo, gli uomini
avrebbero perso le facoltà telepatiche generalizzate e la lingua ebbe
origine. Ma anche questo non sarebbe stato il primo ‘uomo’ ad abitare la
Lemuria: prima di lui vi sarebbero state ‘razze dalle ossa molli’ (36):
“il gigantesco corpo gelatinoso di questi esseri mostruosi cominciò
lentamente a modificarsi e le sue membra e ossa molli si trasformarono
in una più solida struttura” – qui c’è un conturbante parallelismo con
certe antropogenesi mitiche australiane (37).
Come nel caso dell’Atlantide, il fatto ‘Lemuria’
non deve essere necessariamente essere preso alla lettera, ma potrebbe
stare a indicare una ‘civiltà’ – e una sua ‘umanità’-supporto – fiorita
nella notte degli eoni; i cui residui hanno da essere visti in certe
etnie animalesche della parte Sud del mondo (38) e il cui ricordo
permane nell”immaginario collettivo’ di certe popolazioni.
Gondwana
‘Continente’ ipotizzato dall’Hutin (39) per rendere anche l’Antartide
il relitto di una terra che negli eoni del passato avrebbe potuto
essere sede di una difficilmente definibile civiltà. (L’Hutin afferma,
senza dare riferimenti bibliografici, che sotto i ghiacci antartici, nel
1961, sarebbero stati identificati resti di pavimentazioni o
scalinate.) Il nome ‘Gondwana’ (i gond furono una popolazione
australoide di infimo livello dell’Indostan centrale) è stato scelto con
riferimento alla teoria wegeneriana della deriva dei continenti: la
primeva Pangea si sarebbe spezzata in due monconi, la Gondwana a Sud e
la ‘Laurasia’ a Nord.
Iperborea
Il caso dell’Iperborea è atipico rispetto rispetto agli altri, quando
ci si immaginava una catastrofe naturale distruttiva posta alla fine di
un periodo di decadenza culturale e spirituale. Qui invece, con
riferimento alle mitologie indoeuropee, si vede il Nord come scaturigine
di civiltà e di rinascita spirituale, dal quale i nostri antenati
ariani sarebbero emigrati come conseguenza di peggioramenti climatici
quando essi erano all’apogeo della loro capacità e della loro cultura:
quindi non relitti di una qualche razza già involuta, catastroficamente
travolta da un improvviso e spaventoso cataclisma naturale. In riguardo,
di ottimo riferimento è la spesso citata Rivolta contro il mondo moderno di Julius Evola; mentre l’origine artica degli indoeuropei
è proposta quale dato scientifico ‘positivo’ in un prezioso libretto di
Jean Haudry (40). La tesi – dovuta a Serge Hutin – di un continente
iperboreo ‘sommerso’ (alla stregua dell’Atlantide; e i cui residui
sarebbero certe isole periartiche come le Spitzberg, le Jan Mayen. ecc.)
obbedisce probabilmente alla volontà di incastrare anche il fatto delle
origini indoeuropee nel paradigma dei ‘continenti perduti’.
Qualche conclusione
Da notarsi innanzi tutto come la successione
cronologica dei ‘continenti scomparsi’ – per via catastrofica:
Atlantide-Mu, Lemuria, Gondwana – ci porta da Nord a Sud, quasi a
significare un ‘movimento’ di civiltà scaturenti dal Nord (‘Iperborea’) e
obliterate a Sud. Qui ci troviamo di nuovo davanti a un’enigmatica
metafisica della storia dell’involuzione umana, legata all’equilibrio
antropocosmico, argomento sul quale, in questa sede, non ci possiamo
dilungare.
Si è poi menzionato che le fini catastrofiche
incontrate dai ‘continenti perduti’ non hanno necessariamente da essere
prese alla lettera. Si tratta piuttosto del fatto che la dissoluzione di
quella che poté essere stata una grande e fiorente civiltà, al punto di
perdersene addirittura il ricordo storico – la sua trasformazione in un
‘fantasma psichico’ – può passare all’inconscio collettivo di certi
gruppi di popolazioni cammuffato da ‘inabissamento’, ‘terremoto’,
‘eruzione vulcanica’, ecc. Sia però chiaro che questo non esclude la
concomitanza di una qualche apocalisse anche fisica – per esempio,
l’inabissamento dell’Atlantide va appaiato alla fine dell’ultima èra
glaciale, quando ci furono vaste inondazioni.
Qui si entra nella casistica della concomitanza fra fatti fisici e
fatti metafisici – il già menzionato equilibrio antropocosmico. In
riguardo, cè una persistente ‘nozione’ secondo la quale le catastrofi
che portarono all’estinzione dei continenti perduti potrebbero essere
state conseguenza dell’abuso di certi ‘poteri’ – che Julius Evola
chiamò ‘magia nera titanica’ – scappati di mano ai loro originatori e
resisi autonomi, con spaventosi séguiti. Qui siamo abbastanza
palesemente davanti ai possibili sviluppi di una ‘scienza’ di tipo
moderno, la quale, vista come metodologia per l’attuazione di un dominio
distruttivo sulla natura, viene a essere né più né meno che una forma
particolarmente sinistra di magia nera (41). Non è necessario
immaginarsi la catastrofe finale come uno scenario apocalittico
illuminato da un’infinità di funghi termonucleari, come fa, per esempio,
Charles Berlitz. Le cose potrebbero essere andate in modo molto più
‘indolore’, come sta succedendo adesso con lo snaturamento di tutta la
natura come conseguenza di attività finanziarie, commerciali,
industriali selvagge – la cosiddetta catastrofe ecologica (42). –
Un’altra conturbante analogia fra l’Europa ‘post-atlantidea’ e quella
contemporanea è la presenza di grandi masse di non-europidi nel suo
territorio. La presenza di non-europidi nell’Europa preistorica fu
riconosciuta dai paleontologi ancora alla fine del XIX secolo (43): si
trattava di neandertaliani (44) nonché di elementi negroidi e
boscimaneschi, dei quali non è rimasta traccia se non come reperti
fossili. Adesso, invece, c’è una straordinaria presenza
extracomunitaria.
Nè gli apocalittici collassi di civiltà hanno da essere visti
necessariamente come fatti di portata globale. C’è da credere che la
civiltà possa essere stata qualcosa di permanente al mondo, con alti e
bassi localizzati (sia pure su aree anche estremamente grandi). Per quel
che riguarda i nostri tempi – quelli post-glaciali – di particolare
significanza è il ritrovamento di quella brillante civiltà dei Balcani
che, fino a dove se ne sa, è la civiltà più antica del mondo. I reperti
archeologici ci permettono di arrivare fino all’VIII millennio a.C.,
avvicinandoci alla data della sommersione dell’Atlantide, ma le radici
di questa civiltà si perdono nella notte dei tempi (45).
Questa civiltà aveva sviluppato, fra l’altro, una
scrittura che dovette esistere almeno due millenni prima di quella
sumera e che si diramò verso Ovest e verso Est. Nell’Europa occidentale
megalitica (‘post-atlantidea’) si svilupparono forme di scrittura
direttamente ricollegabili a quella della civiltà dei Balcani (in modo
particolare quella di Glozel, nella Francia centrale, ma anche nella
Penisola Iberica). Viceversa, siccome la civiltà dei Balcani aveva degli
avamposti in Asia Minore, esiste la possibilità che anche la scrittura
fenicia sia una variante di quella balcanica (46).
Concludiamo questo capitolo indicando l’assoluta
non-essenzialità di un ‘alto livello tecnologico’ (‘magia nera
titanica’) per potere sviluppare delle squisite civiltà, sia sul piano
materiale che su quello intellettuale e artistico, capaci di perdurare
per tempo indefinito in una condizione di perfetto equilibrio con
l’ambiente (47). Qui, quel che valeva, era la qualità spirituale delle
popolazioni. In riguardo, un’osservazione sull’ascesa e il trionfo di
Roma non è fuori contesto. Non sono mancati tanti ottusi, soprattutto di
area anglosassone, che hanno preteso di attribuire la formazione
dell’Impero di Roma a una conquista non dissimile a quelle che portarono
alla formazione degli imperi coloniali europei degli ultimi cinque
secoli: delle nazioni ‘progredite’, usando armi ‘moderne’, hanno
sottoposto dei selvaggi. Invece è vero che, dal punto di vista tecnico,
Roma non era superiore alla maggioranza delle popolazioni europee contro
le quali si trovò a combattere. Il successo di Roma si dovette a una
superiore qualificazione metafisica, ‘a essere stata segnata dagli dèi’.
Se c’è stato un impero che può reggere il confronto con Roma, almeno
entro certi limiti, fu quello dei tartari, fondato da Cinghis-Khan. I
metodi usati dai tartari e dai romani per affermare il loro dominio non
furono particolarmente dissimili, e ambedue furono estremamente duri.
Eppure, quando si disintegrarono, ambedue questi imperi furono rimpianti
dai discendenti di coloro che erano stati sottomessi nel più violento
dei modi: perché, passata la conquista, ambedue avevano portato un
sistema sociale molto preferibile a quanto c’era stato prima e
incomparabilmente migliore di ciò che venne dopo.
sotto alcune note preziose, sugli argomenti trattati,libri e altro per approfondire le ricerche.
NOTE
(1) La dottrina teosofica fu codificata dalla
fondatrice della Società Teosofica, Jelena Petrowna Blawacki, nella sua
opera principale, La dottrina segreta (edizione italiana
Napoleone, Roma, 1971; originale Adyar, Madras [India], 1888), della
quale un buon riassunto è stato fatto da Arthur E. Powell, Il sistema solare,
Bocca, Milano, 1947. Per quel che riguarda specificamente l’argomento
dei continenti perduti, di ottimo riferimento è il libro di W.
Scott-Elliot (pseudonimo di W. Williamson), Storia di Atlantide e della Lemuria sommersa, Adyar, Torino, 1997 (originale 1896 per l’Atlantide e 1904 per la Lemuria, prima edizione combinata 1925).
(2) Sull’influenza sotterranea monoteista sul modo di ragionare di tanti
che pure si credono dei ‘liberi pensatori’, cfr. Silvano Lorenzoni, Origine del monoteismo e sua diffusione e conseguenze in Europa, Istituto Mediterraneo di Studi Politeisti, Marostica (Vicenza), 2000.
(3) Su quale valore possano avere queste estrapolazioni cronologiche, cfr. Silvano Lorenzoni, Chronos. Saggio sulla metafisica del tempo, di prossima pubblicazione.
(4) In riguardo, indispensabili sono le opere di Edgar Dacqué, un autore che esercitò un’influenza importante anche su Julius Evola, e in particolare Urwelt, Sage und Menschheit, Oldenbourg, München, 1928 e Leben als Symbol, Oldenbourg, München, 1928. Ottimo anche Giuseppe Sermonti, La Luna nel bosco, Rusconi, Milano, 1985.
(5) Delle quali essa ne pubblicò una ‘traduzione’ in inglese presso la
Hermetic Publishing Co., San Diego (California, Stati Uniti), 1915;
comunque sono riportate anche nella Dottrina segreta, cit.
(6) La Blawacki era essa stessa psichicamente dotata, mentre lo
Scott-Elliot, cit., usava le capacità parapsicologiche del teosofo
inglese Charles Webster Leadbeater.
(7) Rivolta contro il mondo moderno, Mediterranee, Roma, 1969.
(8) Questo è menzionato da Serge Hutin nel suo Hommes et civilisations fantastiques,
J’ai lu, Paris, 1970; e lo scrivente ha potuto apprenderlo in prima
persona durante la sua decennale permanenza in Africa. L’autore di
fantascienza Emilio Tumminelli ha imbastito attorno a questa nozione un
divertente romanzo di lettura leggera, La pietra misteriosa,
Campironi, Milano, 1975. – Adesso, con la pandemia di AIDS, c’è da
credere che quella ‘crepuscolarità’ possa divenire estinzione. Cfr.
Silvio Waldner, La deformazione della natura, Ar, Padova, 1997.
(9) Cfr., per esempio, Alberto Cesare Ambesi, Atlantide il continente perduto, Xenia, Milano, 1994.
(10) Serge Hutin, Hommes, cit. È un libro ben fatto al quale si
farà frequente riferimento, che però, come spesso capita nelle opere
dell’Hutin, lascia alquanto a desiderare per quel che riguarda i
riferimenti bibliografici.
(11) Sia pure a livello divulgativo, due libri di Charles Berlitz, Das Atlantis-Rätsel, Zsolnay, Wien, 1976 e Mysteries from forgotten worlds,
Corgi, New York, 1972, sono parecchio ben fatti (anche il Berlitz
faceva affidamento su di un veggente americano della prima metà del XX
secolo, Edgar Cayce). Di utile riferimento anche Alberto Cesare Ambesi, op. cit. e, soprattutto, Marius Lleget, La Atlàntida,
A.T.E., Barcelona, 1977. Quest’ultima opera, forse una delle migliori
in argomento, è però estremamente frammentaria e incompleta nella sua
bibliografia.
(12) Cfr. W. Scott-Elliot, op. cit.; Marius Lleget, op. cit.
(13) Cfr. Alberto Cesare Ambesi, op. cit., Marius Lleget, op. cit., Charles Berlitz, Das Atlantis-Rätsel, cit., ecc.
(14) Andrew Tomas (Los secretos de la Atlàntida, Plaza y Janés,
Barcelona, 1969) afferma che l’azteca Tenochtitlàn verrebbe a essere
una replica quasi perfetta della platonica Poseidonia, capitale
dell’Atlantide.
(15) Uno studio dettagliato in riguardo, che include una buona
bibliografia, fu pubblicato dallo scrivente sulla rivista “Primordia”
(Milano), nn. XV (ottobre 1999) e XVI (marzo 2000) (Ricordiamo i nostri antichi padri pagani).
In quello studio si mette in risalto la concomitanza del megalitismo
con il culto del toro. Per quel che riguarda il megalitismo negli
arcipelaghi del Pacifico esiste un interessante libro (A. Riesenfeld, The megalythic culture of Melanesia,
Leiden, 1950) dove l’autore indica come là la civiltà megalitica
sarebbe stata portata da invasori dal colorito chiaro dediti a riti religiosi di tipo lunare provenienti da Ovest.
(16) Pierre Carnac, La historia empieza en Bimini, Plaza y Janés, Barcelona, 1976.
(16) Pierre Carnac, La historia empieza en Bimini, Plaza y Janés, Barcelona, 1976.
(17) Lo scrivente, durante la sua ventennale permanenza in Sud America,
ebbe occasione di visitare e fotografare un campo di megaliti nella zona
dei Caraibi del quale non ha trovato menzione nella letteratura
rintracciabile in Europa.
(18) Cfr. Pierre Carnac, op. cit.; Charles Berlitz, Das Atlantis-Rätsel, cit. Gli ultimissimi sviluppi dell’archeologia subacquea delle Bahamas sono dati da Andrew Collins, Gateway to Atlantis, Headline, London, 2000.
(19) In riguardo, fondamentali sono le opere di Hans. F. K. Günther, in particolare la sua Rassenkunde des deutschen Volkes, Lehmann, München, 1939.
(20) Julius Evola, op. cit., identificava la civiltà atlantidea con quell’età dell’argento dominata dall’astro notturno.
(21) Ma anche altri, ancora più antichi e più grandi di Stonehenge,
fatti però di legno (e dei quali non rimangono se non le fondamenta),
nell’Europa settentrionale e centrale (i ‘megaliti di legno’, di cui
parla Robert Heine-Geldern, cfr. Silvano Lorenzoni, Ricordiamo i nostri antichi padri pagani, cit.). Una scoperta in riguardo è stata fatta recentemente in Germania (cfr. il quotidiano “La Padania” del 24.09.00).
(22) Cfr., per esempio, Serge Hutin, Hommes, cit.
(23) Cfr. Mario Polia, Gli Incas, Xenia, Milano, 1999.
(24) Lo scrivente, quando era in Sud America, ebbe occasione di
conoscere una signora Maria Verschuren che lo assicurò che l’Atlantide
era stata la penisola di Paraguanà, nel Mar dei Caraibi.
(25) Hans-Heinz Domke, Dithmarscher Skizzenbuch, Westholsteinische Verlagsanstalt Boyens, Heide, 1976.
(26) Jürgen Spanuth, Atlantis, Grabert, Tübingen, 1965. Cfr. anche Gerhard Gadow, Der Atlantis-Streit, Fischer, Frankfurt, 1977.
(27) Cfr., per esempio, Ferdinand Ossendowski, Hommes, betes et dieux, J’ai lu, Paris, 1973; Gastone Ventura, Agartha e Schamballah,
Centro internazionale di studi tradizionali, senza indicazione di luogo
o data di pubblicazione (anni Novanta) (ma comunque reperibile presso
la libreria per corrispondenza Carpe Librum di Nove [Vicenza]); Serge
Hutin, Des mondes souterrains au Roi du Monde, Albin Michel, Paris, 1976.
(28) Ivan Sanderson, Invisible residents, Avon, New York, 1973.
(29) Citati da Serge Hutin, Hommes, cit.
(30) Un dettagliato resoconto dell”Atlantide’ di Roberto Lovato è stato
pubblicato dallo scrivente sul foglio di diffusione libraria “Cronache
dal Sottomondo” (Treviso), marzo 2001.
(31) James Churchward, Mu, le continent perdu, J’ai lu, Paris, 1969. Un riassunto ben fatto delle opere del Churchward è stato fatto da Stephan Santesson, Le dossier Mu, J’ai lu, Paris, 1976.
(32) Louis-Claude Vincent, Le paradis perdu de Mu, La source d’or, Marsat, 1975 (2 voll.).
(33) Cfr., per esempio, Willy Ley, Exotic zoology, Viking, New York, 1959.
(34) Cfr. Serge Hutin, Hommes, cit.; Mircea Eliade, Trattato di storia comparata delle religioni, Boringhieri, Torino, 1976 (originale 1948).
(35) Qui c’è un interessante parallelo con le idee di Edgar Dacqué, cit.
– È anche probabile che Edgar Rice Burroughs, inventore di Tarzan, si
sia ispirato allo Scott-Elliot nell’imbastire i suoi romanzi di
fantascienza marziana e veneriana.
(36) Cfr. anche Julius Evola, op. cit.
(37) Cfr. Mircea Eliade, Réligions australiennes, Payot, Paris, 1972.
(38) Questo si ricollega alla dotrina involutiva dell’origine dei
selvaggi, visti non come razze ‘giovani’, ma come residui degenerati o
degenerescenti di genti che ebbero un livello molto superiore. Su di
questo argomento lo scrivente ha in progetto un’opera specifica.
(39) Serge Hutin, Hommes, cit.
(40) Jean Haudry, Les indoeuropéens, Presses Universitaires de
France, Paris, 1981 (una traduzione italiana vedrà presto la luce per i
tipi di Ar, Padova). Questo testo dà anche un’esauriente bibliografia.
(41) Cfr. Silvano Lorenzoni, Origine del monoteismo, cit.
(42) In riguardo, si consulti per esempio Silvio Waldner, Deformazione,
cit. Un parallelo, su scala sociale, può essere fatto fra la
rivoluzione francese o russa, violentissime, e la rivoluzione
industriale, ‘indolore’, la quale, a lunga scadenza, ebbe risultati
ancora più distruttivi, in quanto fattore denaturante della compagine
sociale europea, e che anzi fu determinante perché anche tanti fatti
sanguinari e violenti potessero avere luogo. Cfr. Massimo Fini, La ragione aveva torto?, Camunia, Belluno, 1985.
(43) Cfr., per esempio, Heinrich Driesmans, Der Mensch der Urzeit, Strecker und Schröder, Stuttgart, 1923; Piero Leonardi, L’evoluzione dei viventi, Morcelliana, Brescia, 1950.
(44) Nel neandertaliano si ha da ravvisare un elemento di tipo
australoide, simile, se non identico, all’australiano. Cfr. John R.
Baker, Race, Oxford University Press, Oxford (Inghilterra), 1974; Vittorio Di Cesare, Gli aborigeni australiani, Xenia, Milano, 1996 (dove è dato anche un discreto resoconto del megalitismo australiano).
(45) Cfr. Marija Gimbutas, Old Europe, c. 7000-3500 b.C., in “Journal of indo-european studies” I, 1973 e Il linguaggio della dea, Neri Pozza, Vicenza, 1997 (originale 1989); Mircea Eliade, Histoire des croyances et des idées réligieuses, Payot, Paris, 1976 (3 voll.) dove è menzionata anche una civiltà pre-sumera in Mesopotamia (civiltà di El-Obeid).
(46) Cfr. Patrick Ferryn et Ivan Verheyden, Chroniques des civilisations disparues, Laffont, Paris, 1976.
(47) E comunque (cfr. Patrick Ferryn et Ivan Verheyden, op. cit.), anche
presso le società preistoriche e protostoriche si riscontravano dei
ritrovati tecnici a dir poco sorprendenti.
(Capitolo 1 del saggio I continenti perduti, la luna e le cesure epocali).
La Blavatsky, di cui posseggo l'integrale de "La Dottrina Segreta", era una convinta adoratrice di Lucifero (e quindi di Satan). Ella sosteneva che Lucifero era «più elevato e più vecchio di Yahwèh, e doveva essere sacrificato al nuovo dogma» della Chiesa; che Satàn è realmente un'allegoria del bene e della saggezza, un "dio della saggezza"; che Lucifero è «una cosa sola con il Logos» e la «riflessione cosmica di Dio»; che esso "è luce divina e terrestre, allo stesso tempo lo Spirito Santo e Satana (mentre Cristo ammonisce chiaramente come il peccato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato da Dio). La Blavatsky associa Lucifero con il Cristo: Gesù sarebbe "la stella radiosa del mattino" (ossia Venere), mentre Lucifero viene definito "figlio dell'aurora"; negli insegnamenti occulti, Venere rappresenta Lucifero e nei culti solari, la stella del mattino viene frequentemente identificata con il Sole, o "figlio" del mattino, e "figlio di dio". Ma qui si cela il grande inganno dell'Ingannatore, del Capovolto, del Portatore di Luce, che spesso si manifesta come angelo di luce (qual'era) e addirittura come Cristo stesso, ingannando chiunque.
RispondiEliminaIl peccato più grande che un uomo può commettere contro Dio e contro lo Spirito Santo è associare quest'ultimo a Satana. Questo è l'unico peccato che non sarà perdonato.
Sono molto d'accordo con l'ultimo paragrafo: le civiltà antecedenti alla nostra, pure essendo state spazzate via dalla faccia della terra per motivi che alcuni ritengono naturali e altri per ira divina, hanno sviluppato una società molto più avanzata della nostra da un punto di vista sia spirituale che sociale senza l'ausilio della tecnologia. Gli animali non hanno bisogno di tecnologia: l'uomo, in quanto essere intelligente dotato di anima, ne ha ancora meno bisogno.
RispondiEliminaQuando la Blavatsky si riferiva a Lucifero stava parlando per simbolismo,sta parlando dello spirito di redenzione tramite la conoscenza,lucifero o satana come abbiamo spiegato negli articoli precedenti non esiste,è una invenzione della chiesa,che sono loro i veri rappresentanti del male e dell'oscurita',basta vedere le guerre che hanno creato durante la storia.Non esiste nessuna entità maligna che viene chiamato diavolo,esistono però piu' entità E razze demoniache che si trovano in altre dimensioni diverse dalla nostra,e che hanno intenzioni di dominio sull'umanità. Quando associa Lucifero al Cristo, sta parlando della coscienza cristica che porterà l'umanità a ricevere la coscienza universale e sapere la verità sui misteri che avvolgono l'esistenza stessa,e questo sta già accadendo.
RispondiEliminaE cos'è la Chiesa? Non è forse una costruzione degli uomini? Il Tempio che Cristo ha distrutto e risostruito non era certo il Tempio di Gerusalemme! La Chiesa di Cristo non è quella che potete vedere con gli occhi e tastare con le dita! La Chiesa di Cristo non può essere dominata, controllata o distrutta dagli uomini.
EliminaNon sappiamo niente, perché non ci è dato sapere niente, per questo ci è chiesto di avere fede. Il bambino, che è un essere puro vicino a Dio, ha fede nel padre e non ha bisogno di prove. Non avremmo bisogno di sapere, perché Dio ci ha dato già tutto quello di cui necessitiamo. Quando hai tutto, ambisci forse ad avere di più? Ma noi crediamo che quello che Dio ci ha dato non sia sufficiente e vogliamo la "conoscenza", e qui si cela il grande inganno di Satana (egli non è più Lucifero, lo era una volta) perché se abbiamo già tutto, non abbiamo bisogno di cercare. Noi siamo figli di Dio, Lui chiede solo che noi corrispondiamo al suo amore. Rifiuteresti amore a tuo figlio e non vorresti forse più di ogni altra cosa che egli ti amasse? Non è forse questa la cosa più grande a cui ambisce un uomo? L'unica cosa che è quasi tanto grande quanto l'amore di Dio è mia figlia che corre verso di me con le braccia aperte invocando il mio nome. Questo riempie il mio cuore di tutto ciò di cui ha bisogno, fino a farlo straripare, e potrei morire domani e essere felice. Lei, a tre anni, ha tutto. Dio ci ha creati per amare, non abbiate paura di nominare il suo Nome! Lui vuole soltanto che noi amiamo e che Lo amiamo. Ma noi, privi di fede, agognamo alla "conoscenza" per capire Dio, forse per diventare noi stessi come Dio. Attenti, perché l'odio di Satana verso Dio è grande tanto quanto la sua intelligenza e la sua astuzia.
Io vi dico una cosa, e poi non la dico più: non giudico le vostre scelte, poiché ognuno di noi è libero di scegliere e chi giudica sarà giudicato; ma non bestemmiate il nome di Cristo.
La brama di conoscenza esoterica (non rivelata) è forte tentazione per l'uomo ma essa porta verso la perdizione; il Cristo ci ha liberati dal peccato e ci ha indicato la strada: solo attraverso la fede e la preghiera si ottiene il perdono. "Poiché molti son chiamati, ma pochi eletti” (Matteo 22:11-14)
Scusa Antonio ma la conoscenza serve ad avvicinarsi a Dio,sono gli esseri malvaggi che la usano per il potere e il dominio,lo strumento è di per se neutro.Poi non sono gli stessi che invocano questa fede cieca delle masse,che con la loro opera li stanno forse conducendo nel baratro?;
EliminaDio non chiese amore,Dio è amore.
Noi dobbiamo rispondere alla chiamata di Dio, non a quella degli uomini. Chi sono questi che incitano le masse alla fede cieca negli idoli? Dio non li conosce. La fede nella Chiesa di Dio non è cieca, è un dono che deve essere riconosciuto e accolto; molti saranno coloro che, nel momento del giudizio, diranno: "Signore, io sono andato in chiesa, ho pregato, ho fatto del bene!" e Dio non li conoscerà. Cristo non ci incita alla conoscenza ma alla preghiera e all'amore, che non è la stessa cosa. Chi sente la chiamata di Dio, ha già dentro di se la conoscenza, perché gli viene rivelata e i suoi occhi vengono aperti. Dio non si conosce attraverso lo studio di testi scritti dagli uomini. Chi persegue la conoscenza attraverso lo studio di testi e altre pratiche ma è sordo alla chiamata di Dio, perde il tempo che gli viene concesso sulla terra e resta pericolosamente ingannato. E' meglio un analfabeta che serve Dio o un maestro di sapienza che non fa la sua volontà? Gesù ha giudicato ipocriti i maestri di Israele che tanto sapevano ma il cui cuore era come pietra e non vedevano le opere di Dio, ma ha accolto i "malati" che lo hanno riconosciuto. Il Suo messaggio non è per gli eletti iniziati ai misteri ma per tutto il genere umano: analfabeti, storpi, infermi, malati, ricchi e poveri, peccatori e santi, neri e bianchi, rossi e gialli, guelfi e ghibellini, montecchi e capuleti, prostitute, esattori delle tasse, pecore smarrite ingannate da Satana... Il suo messaggio è per tutti, non per gli "eletti". Coloro che si considerano eletti ma sono talmente ciechi da non riconoscere Dio e mettere in pratica la sua volontà saranno tegliati e gettati nel fuoco come si fa con gli alberi marci e secchi.
EliminaIo ho commesso molti peccati e spero che il Signore voglia perdonarmi. Dico queste cose perché ho capito che la brama di conoscenza porta lontani da Dio: è come uno che vive cento anni infelici rispetto a uno che ne vive trenta ma capisce il valore ultimo della vita. La vera conoscenza di Dio non viene dalle parole scritte sui libri o dalle favole degli uomini: essa viene concessa solo da Dio, ma prima bisogna chiederla e bisogna meritarla.
Prego Dio che nel momento della sua morte possa essere in grado di dire senza mentire a me stesso: ho fatto la Sua volontà, rimetto la mia anima nelle Sue mani.
Antonio stiamo dicendo la stessa cosa,hai però un pregiudizio dettato dalla tua visione delle cose,la conoscenza vuol dire prendere consapevolezza,ma il fine è l'amore,essere consapevole che la forza che muove tutto l'universo è l'amore.Quando una persona agisce in base all'amore,sta agendo seguendo lo scopo principale della vita,ma essere consapevoli di questo vuol dire agire in modo più adeguato ed efficace.
EliminaIl messaggio che portò Gesu è l'amore,ma non inteso come lo spiega la chiesa che lo ha modificato,manipolato e distorto,perchè amore vuol dire anche difendere i fratelli più deboli,vuol dire anche combattere con la spada se necessario,contro queste bestie immonde che stanno distruggendo il nostro pianeta,il fine è l'amore,questo intendiamo noi nel prendere coscienza di se stesso e della verità.
Rifletterò su queste tue parole. Proprio in questo periodo sto indagando sul mistero di Barabba (bar Abbà).
EliminaRifletti, rifletti. Perché non hai ancora capito un bel niente.
EliminaTu sei un fondamentalista cattolico con la vista velata, è chiaro. Se non ti sei un
po' svegliato in questi ultimi quattro anni, sei messo proprio alquanto male.
le forze luciferiche sono una cosa e le forze arimanhiche o sataniche un'altra.
RispondiEliminalucifero si è incarnato intorno al 2500 a.c in asia
con le forze arimaniche ci viaggiavano a bracetto i nazisti
x completare la trinità nera non dimenticherei le entità più pericolose: quelle asuriche
in ghematria la parola serpente ha lo stesso valore numerico della parola messia
saluti
opale