E’ una stupidaggine ridurre la Marcia su Roma a una commedia (…) fu un moto ben organizzato che indusse il re a concludere che lo scontro cruento andava evitato (…). (…) il sovrano non aveva capito la forza del suo interlocutore, la lucidità del suo disegno e l’ampiezza della base sociale che gli stava dietro”.
(Luciano Canfora – Intervista sul potere, Laterza, 2013)
Il 28 ottobre 1922 segna l’epilogo del
periodo insurrezionale iniziato dalle Camicie nere nell’agosto di
quell’anno e rappresenta la soluzione della crisi politica italiana, che
ripeteva le sue origini dalle stesse cause che già avevano fatto
insorgere gli interventisti e guidato d’Annunzio a Fiume. Le giornate
fasciste di Ferrara, Bologna e Ravenna del maggio, giugno, luglio 1922
hanno luminosamente dimostrato che il DUCE può contare in ogni momento e
per qualsiasi evento su una numerosa milizia armata, pronta a tutto,
inquadrata con ferrea disciplina; che la Rivoluzione ha ai suoi ordini
masse enormi di autentico popolo.
Ma il governo si ostina, con tragica
incomprensione, a credere di poter liquidare il Fascismo con un’azione
di polizia, dimostrandosi sempre più incapace e impotente dinanzi ai
gravi problemi dell’ora, mentre gli avversari ancora non riescono a
capire che la partita si giuoca fuori del parlamento: nelle campagne,
negli opifici, nelle università, sulle piazze e per le vie. Il fronte
antifascista si perde in « mozioni » e in « combinazioni », senza
rendersi conto che l’Italia non ha bisogno di un ministero, ma di un
governo, senza comprendere che nulla si può contro il Fascismo, il quale
si è presentato alla soglia della storia italiana, non tanto come un
partito quanto come « un fenomeno religioso », come « un prodotto della
razza ».
I socialcomunisti non aderiranno mai a nuove elezioni generali;
e infatti soltanto il parlare « a scopo di polemica » di un appello al
paese dà ad essi « un leggero brivido lungo il filo della schiena ». I
ministeri si succedono ai ministeri, senza programmi, con funzioni «
inesorabilmente transitorie », sino a quando la coalizione antinazionale
non tenta di dare ad un uomo come Facta la « fiducia », a condizione
che sia assicurato « il ripristino della legge e della libertà », il che
significa chiaramente: « governo di violenta reazione antifascista ».
Ma il prospettarsi di una simile eventualità trova nelle incisive parole
di MUSSOLINI (19 luglio 1922) un’eloquente risposta « affidata alla
meditazione e alla coscienza degli avversari »: « …Noi reagiremo con la
massima energia e con la massima inflessibilità. Noi alla reazione
risponderemo insorgendo » (Scritti e discorsi, ed. definitiva,
II, p. 304).
La guerriglia tra fascisti e socialcomunisti riprende in
modo violento: il tentativo di conciliazione dell’anno prima si dimostra
inutile. I sovversivi continuano nelle imboscate e nelle uccisioni a
tradimento, ma ogni azione criminosa dei rossi trova la sua risposta
immediata nelle violente ed inesorabili azioni di rappresaglia dei
fascisti, nelle cavalleresche e chirurgiche spedizioni punitive degli
squadristi. Alla recrudescenza della delinquenza antinazionale si oppone
alfine una azione coordinata, intelligente, generale e risolutiva,
diretta contro i centri vitali degli avversari per annientare i focolai
di infezione dell’antifascismo. Il 31 luglio 1922, come sfida al
Fascismo, il Comitato « sedicente segreto » dell’Alleanza generale del
lavoro ordina uno sciopero generale, « sciopero legalitario », esteso a
tutti i servizi pubblici.
È uno sciopero morto prima di nascere, che
nella intenzione di chi lo ha preordinato deve significare
l’opposizione dei lavoratori al Fascismo e deve indurre il governo ad
assumere un aperto atteggiamento antifascista. Il Partito nazionale
fascista non si lascia cogliere alla sprovvista e risponde il 10 agosto,
mobilitando tutti i suoi iscritti con il seguente proclama: « Fascisti!
Italiani! I partiti antinazionali, che si raccolgono ibridamente
nell’Alleanza del lavoro, hanno lanciato un guanto di sfida al Fascismo e
alla nazione. Lo sciopero generale che dovrebbe cominciare alla
mezzanotte di oggi è miserabile e vile, perché deve servire, non a
riscattare la massa operaia dal Fascismo, il che è impossibile e
assurdo, perché gran parte dei lavoratori è schierata sotto i nostri
gagliardetti, ma a varare il cosiddetto Ministero di sinistra. Ora il
Fascismo raccoglie immediatamente il guanto di sfida. Da questo momento
sino a nuovo ordine tutti i fascisti italiani, dalle Alpi alla Sicilia,
sono mobilitati e vincolati, costi quel che costi, alla nostra ferrea
disciplina e agli ordini dei poteri fascisti responsabili, decisi a
rintuzzare questo tentativo estremo della demagogia rossa. Operai
italiani! Rifiutatevi a questa turpe mistificazione di politicanti
abietti che giocano sulla vostra pelle le loro fortune parlamentari,
Ferrovieri e postelegrafonici fascisti! Restate al vostro posto a
compiere con tranquilla coscienza il dovere.
La nazione ve ne sarà
grata. Il Fascismo vi proteggerà. Diamo 48 ore di tempo allo stato
perché dia prova della sua autorità in confronto di tutti i suoi
dipendenti e di coloro che attentano alla esistenza stessa della
nazione. Trascorso questo termine il Fascismo rivendicherà piena libertà
di azione e si sostituirà allo stato che avrà ancora una volta
dimostrata la sua impotenza. Fascisti di tutta Italia: A noi! Viva
l’Italia! Viva il Fascismo!» Le Camicie nere, sempre pronte a schierarsi
in difesa dello stato per impedire l’intima disgregazione dei
fondamenti essenziali alla solidarietà nazionale, al solo profilarsi
della eventualità di uno stato socialcomunista o, peggio, di un
antistato, cominciano a sostituirsi ai poteri responsabili. Il
formidabile numero dei componenti il Partito, l’aristocrazia del
pensiero e dell’azione che lo dirige, la dura volontà degli squadristi,
il sacrificio glorioso dei martiri, impongono da tempo al Fascismo un
dovere che è un diritto: la conquista del potere, il governo d’Italia.
Il dilemma era soltanto nella scelta del metodo: legalità o
insurrezione? Ma questo più che dalla volontà degli uomini doveva essere
risolto dal volgere delle circostanze. Intanto, i Fasci di
combattimento partono al contrattacco normalizzando la situazione; le
roccaforti sovversive vengono sistematicamente attaccate e distrutte;
leghe, cooperative, circoli e municipi rossi sono invasi e presidiati
dagli squadristi; così attraverso mille illegalità il rispetto alla
legalità viene imposto.
Il dualismo tra il governo legale che nessun
provvedimento aveva saputo o voluto prendere per difendere lo stato, e
l’illegale governo fascista che lo stato aveva difeso e difendeva,
raggiunge quasi il limite della tensione. Intanto il quadro geografico
dello sciopero, tutt’altro che generale, si riassume come segue:
«Liguria, Piemonte, Lombardia: sciopero parzialissimo, ma Veneto quasi
niente. Altrettanto dicasi dell’Emilia, della Toscana, del l’Umbria.
Nelle Marche si è scioperato, ma negli Abruzzi e Molise nessuno si è
accorto che uno sciopero generale fosse stato proclamato. Nelle Puglie
soltanto a Bari si è scioperato, ma la Campania con Napoli alla testa è
rimasta tranquillamente al lavoro. Così dicasi della Basilicata, delle
Calabrie, della Sicilia e della Sardegna. A Roma si è scarsamente
sentito lo sciopero ma nel Lazio si è dovunque lavorato» (B. MUSSOLINI, Beffa atroce, nel Popolo d’Italia,
4 agosto 1922).
Tutte le città sono imbandierate, anche quelle che
hanno aderito all’appello antinazionale ; in alcune i servizi pubblici
sono assicurati dai componenti delle squadre d’azione che hanno
stroncato in pieno i movimenti dell’avversario. Il Popolo d’Italia pubblica
quotidianamente una lunga « cronaca rapida del fallimento », bollettino
giornaliero della avvilente disfatta rossa: « lo sciopero
superlativamente idiota» viene così registrato come un « fenomeno di
pura follia e di estrema abiezione ». MUSSOLINI scrive sul suo glorioso
giornale: « lo sciopero è finito quasi dovunque ed è stato generale solo
nell’insuccesso. Ora bisogna parlarci chiaro. Chiarissimo. Se lo
sciopero è stato un miserabile aborto non lo si deve alle misure del
governo. Se i treni, se le poste, hanno funzionato non lo si deve alle
misure preventive prese dal governo, ma al concorso spontaneo,
disinteressato, entusiasta, degli elementi nazionali. Quegli elementi
che il governo tratta alla stessa stregua degli altri… antinazionali.
Ancora una volta lo stato italiano ha rivelato la sua spaventevole
deficienza tecnica. Se la nazione non è rimasta al buio, assolutamente
priva di notizie, il merito non spetta al governo ma ad alcuni
coraggiosi giornali ed agli operai tipografi che si sono rifiutati all’ukase mostruoso
della loro federazione. Lo stato italiano non ha ancora capito che
provvedersi dei mezzi necessari per informare il popolo è altrettanto
necessario come piazzare le mitragliatrici davanti gli edifici pubblici.
Dopo la deficienza avremo il solito spettacolo di viltà? Signor Facta,
voi avete l’obbligo preciso di licenziare immediatamente tutti i
postelegrafonici ed i ferrovieri che hanno abbandonato il lavoro!
Signor Facta, voi avete l’obbligo preciso di applicare la legge anche se
i colpiti fossero per avventura la maggioranza. Bisogna tagliarlo
questo bubbone! Licenziare tutti i ferrovieri scioperanti significa
risanare un poco il catastrofico bilancio delle ferrovie. Nessuno
protesterà contro questa misura. I socialisti meno degli altri poiché
essi appunto più di tutti hanno in questi ultimi tempi reclamato la
applicazione severa della legge. Signor Facta, basta con la viltà! Ed
anche un monito severo va lanciato alla borghesia. La passività con cui
gran parte della cosiddetta borghesia si rassegna agli scioperi
generali va altamente deplorata. C’è una tremebonda viltà borghese che
si appaia alla viltà del governo e dà dei punti alla viltà dei
capoccioni proletari. Tutto ciò deve finire. Ancora una volta la nazione
ha visto su chi può contare. Può contare sul Fascismo. Quanto ai
ciarlatani del pus (Partito Unitario Socialista) e del superpus essi a
quest’ora si saranno melanconicamente convinti che non c’è niente da
fare. La prova è stata solenne e decisiva. I fascisti faranno duramente
scontare ai pussisti il sangue dei fascisti colpiti qua e là a
tradimento. Ma il Fascismo esce da questa battaglia fermissimo,
intatto, vittorioso ed invincibile. Onore ai fascisti di tutta Italia»
(art. Basta con la viltà, nel Popolo d’Italia, 3
agosto 1922). Sembra giunto il momento della insurrezione generale. Voci
allarmanti circolano in proposito. I direttori dei Fasci rassegnano le
dimissioni trasferendo i poteri a speciali comitati segreti incaricati «
di esplicare l’azione offensiva indicata dalla direzione del Partito»
(Il Popolo d’Italia, 3 agosto 1922): Ma i tempi non sono ancora
maturi. Il giorno 3 l’Alleanza generale del lavoro riconosce il proprio
fallimento e la vittoria fascista, ordinando la ripresa del lavoro con
il seguente laconico comunicato: « Il Comitato nazionale dell’Alleanza
del lavoro, soddisfatto dello sviluppo e dello svolgimento dello
sciopero generale, avendo la dimostrazione del proletariato italiano
raggiunto il suo obiettivo con la messa in evidenza della forza e della
volontà della classe lavoratrice, dichiara chiuso lo sciopero e invita
le organizzazioni alleate a disporre per la ripresa del lavoro ».
La
miseria di questa menzogna desta l’umorismo fascista, sgomenta e
sommersa dalla sconfitta tremenda e dalla realtà feconda delle cento e
cento sezioni di Fasci di combattimento che fioriscono allora per ogni
dove nella penisola. Al Fascismo cominciano ad affluire le simpatie dei
cosiddetti elementi d’ordine, per quanto anche questi sino a qualche
mese prima non ne abbiano afferrato la reale portata storica: lo
sciopero idiota dà i suoi frutti. Al laconico comunicato dell’Alleanza
del lavoro fa degno riscontro il proclama del Partito nazionale fascista
lanciato nella stessa giornata del 3 agosto: « Fascisti! Italiani! Lo
sciopero nazionale è clamorosamente e miseramente fallito. Siamo davanti
non ad un insuccesso ma ad una catastrofe di proporzioni gigantesche.
La conclamata vittoria di riscossa contro l’irresistibile movimento
fascista si è ridotta ad una parziale e svogliata astensione dal lavoro,
limitata a poche provincie d’Italia. Intere categorie di autentici
lavoratori si sono rifiutate di subire la sordida speculazione politica
dei nostri nemici. Ferrovieri e postelegrafonici, operai delle
Corporazioni nazionali, Camicie nere e triari, tutti i capi e i gregari
del Fascismo sono stati all’altezza della situazione. Le cento città
d’Italia sono imbandierate, le saltuarie imboscate dei socialcomunisti
sono state inesorabilmente punite. Su molte Camere del lavoro e dai
balconi di molti municipi sventola il tricolore issato dai fascisti.
Il
tentativo nefando non è riuscito, ma non deve essere dimenticato e non
devono essere dimenticate le responsabilità dei capi, specialmente di
quelli della destra socialista, più gesuiti e più canaglie degli altri.
Di fronte ad una situazione così mortificante per i falsi pastori del
proletariato, l’Alleanza si è decisa a proclamare la cessazione di uno
sciopero generale che non c’è stato o che era già dovunque finito dopo
breve e ingloriosa agonia. Non ci illudiamo che i ciarlatani del
sovversivismo italiano riconoscano la loro tremenda disfatta. Sono in
malafede e vivono di menzogne. Ma milioni e milioni di cittadini;
l’intera nazione possono testimoniare che il supremo tentativo
antifascista si è risolto in una grandiosa vittoria politica e morale
del Fascismo italiano. « Fascisti! Italiani! Alla sconfitta, che osiamo
chiamare definitiva, della accozzaglia rossa fa degno riscontro
l’insufficienza dello stato italiano. Senza il Fascismo la crisi della
vita nazionale sarebbe stata infinitamente più grave, poiché il governo
non ha saputo prevenire, non ha saputo provvedere e non ha saputo
duramente punire i suoi dipendenti disertori.
Ancora una volta la
pusillanimità dello stato liberale è apparsa a chiara luce di sole e i
fascisti hanno dovuto sostituirsi tecnicamente e politicamente a questo
stato eternamente impreparato, oscillante, privo di volontà. Fascisti!
Stroncando col vostro coraggio e col vostro spirito di sacrificio questo
ultimo criminoso grottesco attentato all’integrità e alla fortuna
della patria, voi avete ancora una volta altamente meritato dalla
nazione. Viva l’Italia ! Viva il Fascismo! » (Il Popolo d’Italia,
4 agosto 1922).
Ma i Fasci di combattimento non smobilitano e
continuano nel contrattacco per portare al fronte antinazionale un
colpo tremendo, dal quale non si riavrà più. Il giorno 5 dal Partito è
diramato un comunicato che dice: « Sopravvenute circostanze impongono
che tutti i fascisti d’Italia restino mobilitati. Laddove fosse stata
per caso effettuata la smobilitazione si proceda ad una nuova
mobilitazione. Sia cura dei capi provvedere all’ordine più severo, alla
più rigida disciplina dei loro uomini e a non intraprendere nuove azioni
che non siano rese necessarie da eventuali attacchi degli avversari»
(IlPopolo d’Italia, 5 agosto 1922). La violenta azione fascista
è totalitaria e risolutiva. I centri d’azione e di resistenza del
fronte nemico sono travolti: il momento favorevole viene opportunamente
sfruttato. I socialcomunisti scontano amaramente il sangue dei fascisti
uccisi e pagano in proprio i quattrocento milioni che era costata allo
stato italiano la loro follia.
L’occupazione di Palazzo Marino e
l’incendio dell’Avanti! a Milano sono gli episodi più salienti e
più significativi dell’insurrezione, mentre i deputati del pus (Partito
Unitario Socialista) offrono un ributtante spettacolo nelle soffici e
comode trincee di Montecitorio da dove implorano protezione contro la
violenza fascista, dopo aver sobillato all’odio e incitato alla guerra
civile. È così che l’eventualità che il Fascismo « arrivi a partecipare
alla vita dello stato attraverso una saturazione legale» viene
definitivamente scartata. È fatale che lo stato forte, « necessario per
la vita e la grandezza d’una nazione, come la nostra », non possa
sorgere « da una serie di confluenze e di riconoscimenti teorici e
pratici» ma debba ineluttabilmente sorgere « da una battaglia campale ».
L’antifascismo è battuto in pieno,
sconfitto su tutta la linea, definitivamente: il socialismo esce « da
questa battaglia con le ossa completamente stritolate ». Ma gli
avversari, irriducibili, non vogliono disarmare e giocano ancora una
carta propalando notizie tendenziose su un prossimo colpo di mano da
parte dei Fasci e cercando di pescare nel torbido. Le voci allarmiste e
tendenziose vengono smentite il giorno 7 dal seguente comunicato del
Partito: « qualche giornale diffonde voci allarmistiche prive di ogni e
qualsiasi consistenza. Notizie pervenute alla Direzione fascista recano
che, avendo i fascisti raggiunto dovunque gli obiettivi, la calma va
ristabilendosi. Se, come si prevede, nuove circostanze non si
verificheranno, l’ordine di smobilitazione ai fascisti non tarderà ad
essere emanato. La voce messa in circolazione che i fascisti puntino su
Roma per tentare un colpo di stato è destituita di fondamento» (Il Popolo d’Italia,
8 agosto 1922). Il pietoso fallimento dell’insurrezione socialista è
accompagnato dal fecondo sviluppo delle associazioni sindacali
fasciste che si impongono con i trionfi politici di Genova, Livorno,
Ancona. La vittoria è completa e definitiva. Il giorno 9 viene
divulgato il manifesto della smobilitazione fascista: « Fascisti! La
grande battaglia è vinta su tutto il fronte.
Il bluff del
sovversivismo, che fino a ieri ricattò lo stato, che fino a ieri
minacciò la tranquillità della nazione, è stato duramente,
inesorabilmente punito. Crediamo che di scioperi generali non si parlerà
più per un bel pezzo. L’Italia può oggi, mercé il sacrificio dei nostri
indimenticabili morti, mercé l’opera santa di tutti voi, o fascisti
italiani, l’Italia può oggi iniziare senza tema di essere pugnalata alle
spalle la sua ricostruzione morale ed economica. Italiani! Italiani di
tutte le fedi non estranee al sentimento della patria, Italiani di
tutti i partiti non stranieri in terra italiana, il Partito nazionale
fascista saluta la conquistata vittoria col duplice grido che è poi un
grido solo di: Viva l’Italia! Viva il Fascismo! Così come lo salutarono,
esalando l’ultimo respiro, i nostri squadristi, rinnovanti la leggenda
garibaldina. Viva l’Italia! Viva il Fascismo! Lavoratori! Il Fascismo
non è contro di voi.
Il Fascismo sa che non vi è possibilità di
grandezza per una nazione se gli uomini del lavoro non abbiano tutelato i
loro legittimi interessi. Ogni diritto è preceduto dal dovere e la
legittimità di esso incomincia quando il dovere è già compiuto. Il
vostro primo dovere è di ricacciare lontano da voi chiunque tenti di
adoperarvi contro la patria. Il Partito nazionale fascista, spezzando le
catene che vi mantenevano schiavi di malvagi pastori, che dopo avervi
spinto all’inconsulto sciopero si sono, nel momento dell’azione,
vigliaccamente eclissati, ha ridonato a tutti voi, o lavoratori
italiani, la libertà. Sappiatene saggiamente usufruire! Fascisti!
riguadagnate le vostre sedi fieri del dovere compiuto. Sia cura dei capi
procedere alla smobilitazione, lasciando i necessari presidi solo in
quelle località dove la situazione lo richiede. Le squadre, prima di
partire, rendano gli onori all’esercito. Esse attendano, sotto la guida
dei loro capi, ad intensificare la propaganda, consolidare le posizioni
conquistate e prepararsi assiduamente alla più grande battaglia futura.
Essa coronerà degnamente l’opera vostra. Viva l’Italia! Viva il
Fascismo!» (Il Popolo d’Italia, 9 agosto 1922). «Il duello in
tre» che si andava « paradossalmente combattendo da oramai quattro anni
», eliminato il contendente più pericoloso per la nazione, ritorna « il
duello quale viene dalla stessa parola significato : stato socialista
da una parte, anti—stato fascista dall’altro» (B. MUSSOLINI, Stato, Anti-Stato e Fascismo, in Gerarchia del 25 giugno 1922 ripubblicato in Scritti e discorsi,
II, p. 291).
Necessità di ordine, di lavoro, di disciplina, intimamente
sentite da tutta la nazione, « ragioni nazionali e ragioni umane »,
avrebbero fatto preferire a MUSSOLINI una normalizzazione dei rapporti
tra i partiti e della vita politica in genere, ma il fatto che gli
avversari, i quali in un primo tempo avevano cercato inutilmente di
ignorare il Fascismo, avevano poi tentato e ancora speravano di poterlo
distruggere con le mitragliatrici del governo, impone l’insurrezione
armata. Questa si palesa ormai come una necessità inderogabile per la
quale non si attende più che il momento opportuno: la sostituzione della
classe politica governante la quale aveva sempre condotto « una
politica di abdicazione di fronte a quel partito gonfio di vento che era
il socialpussismo italiano » deve essere radicale. È questa l’unica
soluzione che possa permettere al Fascismo di superare il dilemma che lo
tormenta « tra il volere l’autorità dello stato e compiere spesso delle
azioni che certamente non aumentano la forza di questa autorità ».
Il
potenziale del Fascismo intanto aumenta e si affina, la preparazione
armata delle squadre d’azione si completa, la tecnica di combattimento
degli squadristi si migliora si perfeziona, mentre in tutta la nazione,
financo negli avversari, si determina e si estende uno stato d’animo
come di disagio e di irrequietezza. La situazione è insostenibile senza
uno stato forte ed autoritario, senza un governo che sia veramente
tale: gli sguardi di tutti si appuntano al Fascismo. Già nel novembre
1921 il Fascismo aveva avuto a Roma il suo congresso e la scelta della
sede non fu occasionale: esprimeva un profondo significato ideale. Roma
e Italia sono sempre stati per MUSSOLINI « due termini inscindibili» e
nel pensiero del DUCE Roma non è stata mai intesa come « contemplazione
nostalgica del passato, ma dura preparazione per l’avvenire ». È
naturale quindi che l’obiettivo della Rivoluzione, che concreta il suo
programma nella dura e ferma volontà di costruire una Italia romana ed
imperiale, si identifichi sotto l’impulso di un profondo sentimento
ideale, con la conquista del potere quale risultato di una marcia
militare sulla capitale. Nel frattempo un’abile propaganda sovversiva
appunta l’indice contro la « inesorabile violenza fascista » mirando a
far apparire le squadre d’azione come bande armate di sicari. Ma l’arma è
inopportunamente impugnata, l’azione sortisce un effetto contrario e si
ritorce contro chi l’effettua. I fatti sono troppo chiari e la realtà
non può più essere falsata. L’opinione pubblica si orienta decisamente
anche nelle categorie più elevate a favore della Rivoluzione, la cui
verità è testimoniata dall’eroico sacrificio di cento e cento martiri,
gloriose vittime della barbarie rossa. I discorsi che il DUCE intanto
pronuncia a Levanto e ad Udine, a Cremona e alla « Sciesa » di Milano (Scritti e discorsi,
II, pp. 307, 323, 327), sono altrettanti colpi di maglio, la cui
risonanza si estende per tutta la penisola. Le sue parole sono
chiarissime e pongono il problema nei suoi termini crudi e netti,
fissando senza sottintesi gli obiettivi e gli atteggiamenti del
Fascismo.
Il DUCE parla non più al suo Partito, ma alla nazione intera e
il popolo italiano ascolta la voce del figlio suo migliore: « L’Italia
che è venuta dalle trincee è un’Italia forte, un’Italia piena di
impulsi, di vita. È una Italia che vuole iniziare un nuovo periodo di
storia. Il contrasto è quindi plastico, drammatico, fra l’Italia di ieri
e la nostra Italia. L’urto appare inevitabile ». « Ormai lo stato
liberale è una maschera dietro la quale non c’è nessuna faccia. È una
impalcatura; ma dietro non c’è nessun edificio. Ci sono delle forze, ma
dietro di esse non c’è più lo spirito ». « Non abbiamo grandi ostacoli
da superare, perché la nazione attende, la nazione spera in noi. La
nazione si sente rappresentata da noi… ». « I cittadini si domandano:
quale stato finirà per dettare la sua legge agli Italiani? Noi non
abbiamo nessuna paura a rispondere: lo stato fascista».
«Noi vogliamo
che l’Italia diventi fascista, perché siamo stanchi di vederla
all’interno governata con principi e con uomini che oscillano
continuamente tra la negligenza e la viltà; e siamo soprattutto stanchi
di vederla considerata all’estero come una entità trascurabile ». « La
marcia non può fermarsi sino a quando non abbia raggiunta la meta
suprema: Roma! e non ci saranno ostacoli, né di uomini né di cose che
potranno fermarci». « Il nostro programma è semplice: vogliamo
governare l’Italia… ».
Siamo alla fine di settembre, primi di ottobre.
Gli avversari giocano sulla « famosa tendenzialità repubblicana del
Fascismo» ma l’istituto monarchico è voluto dal DUCE al di fuori e al
disopra della lotta. MUSSOLINI ha presente l’importanza incalcolabile
del compito della monarchia, avendo identificato con essa « la
continuità storica della nazione» e inoltre i fascisti sanno che « le
forme politiche non possono essere approvate o disapprovate sotto la
specie dell’eternità ma debbono essere esaminate sotto la specie del
rapporto diretto fra di loro, della mentalità, dello stato di economia,
delle forze spirituali di un determinato popolo » (Scritti e discorsi,
II, p. 318).
Viene sollecitato anche l’esercito, ma gli ufficiali
italiani non possono essere contro chi ha combattuto al loro fianco,
contro chi li ha difesi da quanti li sputacchiavano inneggiando al
disertore dalla triplice amnistia. Lo stato intanto è tenuto al
rimorchio dal Fascismo che con la tempestività dei soccorsi portati a
San Terenzio di Spezia, con l’occupazione di Bolzano e il
concentramento delle forze fasciste a Trento, conferma la sostituzione
in atto dello stato demoliberale con lo stato fascista. Ed è infatti
con l’azione dello stato fascista che l’Italia « entra » una volta per
sempre a Bolzano dove tre giorni di squadrismo bastano a cancellare
l’opera nefasta di quattro anni di viltà governativa. E non si tratta di
una questione politica che riguardi ragioni di partito, è una questione
nazionale che il Fascismo affronta a Bolzano come a Trento determinando
la fine immediata della più umiliante ed avvilente delle parentesi
politiche.
Mentre si svolgono queste imprese di carattere statale (veri e
propri atti di governo) viene completato l’inquadramento militare
degli iscritti al Partito nelle legioni della Milizia fascista e si
comincia ad operare nelle file dei gregari una epurazione di quegli
elementi turbatori e profittatori che nei momenti difficili si erano
dovuti accettare senza il consueto vaglio dell’onestà dei sentimenti e
degli intendimenti. Ma i tempi sono oramai maturi e l’azione precipita: «
il moto degli eventi diventa sempre più veloce. È inutile attendere una
soluzione parlamentare la quale contrasterebbe con lo spirito del
Fascismo ». Nel momento, « i tentativi di combinazione dell’ultim’ora
falliscono, anzi non sono presi sul serio che per guadagnare il tempo
necessario ad una preparazione di armi meno rudimentali », mentre si
palesa la necessità di un’azione a fondo su Parma, roccaforte
sovversiva, la cui occupazione è richiesta dalla prossima Marcia su
Roma. Le colonne che punteranno sulla capitale devono avere le spalle
sicure. Ma alla vigilia, le operazioni sono rinviate a data da
destinarsi per ordine di Mussolini: « non è possibile limitare l’azione
su Parma: bisogna prepararla in grande stile e con più vasti obiettivi.
Parma se mai non potrebbe essere che un pretesto» (R. Farinacci, Squadrismo. Dal mio diario della vigilia, Roma XI, p. 165).
L’ora decisiva è suonata. Prima che gli
intrighi dei parlamentari si facciano più serrati, prima che manovre
elettorali impegnino i Fasci, prima che « la cerimonia del 4 novembre
giovi a prolungare l’agonia del regime, ormai condannato» gli indugi
dovranno essere troncati agendo di sorpresa. Il 16 ottobre a Milano
MUSSOLINI fissa « personalmente » le linee generali dell’azione:
l’insurrezione armata è decisa e si attendono soltanto il giorno l’ora
propizia. Quando avrà inizio la mobilitazione il comando militare,
composto da tre comandanti generali: Italo Balbo, Emilio De Bono, Cesare
Maria De Vecchi, dal Segretario generale del Partito nazionale
fascista, Michele Bianchi, assumerà i pieni poteri del movimento. Le
Camicie nere concentrate su tre colonne a Santa Marinella, Monterotondo,
Tivoli, punteranno simultaneamente su Roma. Le legioni dell’Italia
meridionale avranno il compito di difendere l’azione da eventuali
sorprese, mentre forze di riserva saranno tenute pronte a Foligno. Il
comando generale avrà sede a Perugia, punto di notevole importanza
strategica e dal quale sarà meno difficile mantenere i collegamenti con
le colonne operanti, con la capitale, con Milano, da dove il DUCE
dirigerà il movimento. In tutte le città gli squadristi avranno come
obiettivi immediati le stazioni ferroviarie, le stazioni radio, le sedi
delle questure e delle prefetture, uffici postali, telefonici e
telegrafici, le tipografie dei giornali sovversivi, i municipi, tutte le
sedi dei partiti avversi in genere.
Dopo essersi impadroniti dei «
gangli vitali della nazione » gli squadristi vi lasceranno dei presidi e
proseguiranno con la massima celerità e nel tempo fissato verso i
luoghi di concentramento. Al governo che « nutre fiducia » nell’imbelle
bonomia dei suoi componenti, si getterà la polvere agli occhi con una
grande adunata di rappresentanze dei Fasci di combattimento di tutta
Italia che avrà luogo a Napoli il 24 ottobre in occasione del Consiglio
nazionale del Partito. Si rende noto anche l’ordine del giorno dei
lavori che si svolgeranno nella famosa sala Maddaloni dopo lo sfilamento
e la rivista di reparti di squadristi convenuti per il comizio pubblico
in Piazza del Plebiscito. Le finalità di questa adunata sono note solo
ai più diretti collaboratori di MUSSOLINI.
E l’adunata di Napoli ha
luogo. Sono quarantamila squadristi e ventimila operai che sfilano per
le vie della città salutati da cinquecentomila cittadini plaudenti. È un
esperimento di mobilitazione in grande stile, una prova generale che
d’altro canto conferma lo spirito profondamente unitario del movimento
fascista, serve a saggiare le forze del Mezzogiorno, non esattamente
valutabili, e a misurarne la preparazione per stabilire il grado di
affidamento che su di esse si può fare. Oramai si è « al punto in cui la
freccia si parte dall’arco o la corda troppo tesa si spezza ».
Mussolini in un formidabile discorso fissa « con la massima precisione i
termini del problema perché siano altrettanto nettamente chiarite le
singole responsabilità », mette in particolare evidenza « la paralisi
completa dello stato italiano e l’efficienza non meno completa dello
stato fascista »; chiarisce ancora una volta la posizione del Fascismo
nei riguardi della monarchia e dell’esercito. Oramai il contrasto di
idee e di interessi che si era venuto formando in Italia non può essere
risolto che dalla forza.
Il Fascismo non andrà mai al potere « per la
porta di servizio» e non rinuncerà mai alla sua « formidabile
primogenitura ideale per un piatto miserevole di lenticchie ministeriali
». L’azione dovrà essere risolutiva, la sostituzione della classe
politica governante dovrà essere generale e radicale (B. MUSSOLINI, Il
discorso di Napoli, nel Popolo d’Italia, 25 ottobre 1922, ripubblicato in Scritti e discorsi,
II, p. 339). Le parole del DUCE sollevano un entusiasmo irrefrenabile.
Quarantamila squadristi scandiscono duramente le due sillabe fatali che
vibrano nell’aria come note squillanti di un inno di battaglia e di
vittoria: Ro—ma, Ro—ma. Mussolini precisa ai suoi uomini esultanti: « Io
vi dico con tutta la solennità che il momento impone, che si tratta
ormai di giorni e forse di ore: o ci danno il governo o lo prendiamo,
calando su Roma. È necessario per l’azione che dovrà essere simultanea, e
che dovrà, in ogni parte d’Italia, prendere per la gola la miserabile
classe politica dominante, che voi riguadagniate sollecitamente le
vostre sedi. Io vi dico e vi assicuro e vi giuro che gli ordini, se sarà
necessario, verranno ».
La sera stessa del 24 MUSSOLINI dispone che le
gerarchie politiche del Partito passino i poteri al comando militare
alla mezzanotte tra giovedì 26 e venerdì 27 ottobre. Il 26 a Napoli e a
Firenze i comandanti di zona e di colonna ricevono istruzioni precise.
Tutto si svolge secondo quanto era stato predisposto. Il 27 il
Quadrumvirato lancia il seguente proclama redatto dal DUCE sin dai primi
di ottobre: « Fascisti di tutta Italia! L’ora della battaglia decisiva è
suonata. Quattro anni fa, l’esercito nazionale scatenò di questi giorni
la suprema offensiva che lo condusse alla vittoria: oggi, l’esercito
delle Camicie nere riafferma la vittoria mutilata e, puntando
disperatamente su Roma, la riconduce alla gloria del Campidoglio. Da
oggi, principi e triari sono mobilitati. La legge marziale del Fascismo
entra in pieno vigore. Dietro ordine del DUCE i poteri militari,
politici ed amministrativi della Direzione del Partito vengono riassunti
da un Quadrumvirato segreto d’azione, con mandato dittatoriale.
L’esercito, riserva e salvaguardia suprema della nazione, non deve
partecipare alla lotta. Il Fascismo rinnova la sua altissima ammirazione
all’esercito di Vittorio Veneto.
Né contro gli agenti della forza
pubblica marcia il Fascismo, ma contro una classe politica di imbelli e
di deficienti che, da quattro anni non ha saputo dare un governo alla
nazione. Le classi che compongono la borghesia produttrice sappiano che
il Fascismo vuole imporre una disciplina sola alla nazione e aiutare
tutte le forze che ne aumentino l’espansione economica ed il benessere.
Le genti del lavoro, quelle dei campi e delle officine, quelle dei
trasporti e dell’impiego nulla hanno da temere dal potere fascista. I
loro giusti diritti saranno sinceramente tutelati. Saremo generosi con
gli avversari inermi; saremo inesorabili con gli altri. Il Fascismo
snuda la sua spada lucente per tagliare i troppi nodi di Gordio che
irretiscono e intristiscono la vita politica italiana. Chiamiamo Iddio
sommo e lo spirito dei nostri cinquecentomila morti a testimoni, che un
solo impulso ci spinge, una sola volontà ci accoglie, una passione sola
c’infiamma: contribuire alla salvezza ed alla grandezza della Patria.
Fascisti di tutta Italia! Tendete romanamente gli spiriti e le forze.
Bisogna vincere. Vinceremo! Viva l’Italia! Viva il Fascismo!» (Proclama
di mobilitazione nel Popolo d’Italia del 27 ottobre 1922, ripubblicato in Scritti e discorsi,
IL pp. 349-350). La mobilitazione è immediata e simultanea, come audace
è la conquista degli obiettivi locali. Decine di morti consacrano con
il loro sangue l’inizio della marcia vittoriosa. Laddove è ritenuto
necessario si lasciano dei presidi alle sedi governative ed agli uffici
pubblici conquistati mentre il grosso delle forze prosegue per i luoghi
di radunata. I ministri in carica di fronte alla mobilitazione fascista
riconsegnano i portafogli al presidente del consiglio per lasciargli…
piena libertà d’azione. Sua Maestà il Re rientra immediatamente nella
capitale. Tutto il paese è insorto.
L’alba del 28 trova le Camicie nere
nei luoghi di concentramento, pronte a tutto. Il governo, preso alla
sprovvista e nel più completo disorientamento dalla paura, cede alle
pressioni del sovversivismo e inscena la commedia dello stato d’assedio
promulgando un decreto che il re non aveva ancora firmato. Ma i fascisti
sono padroni assoluti del campo. Tutti i tentativi di « combinazione »
abortiscono: MUSSOLINI non transige. Il 29 il Popolo d’Italia reca il
seguente articolo che fotografa il momento politico: « La situazione è
questa: gran parte dell’Italia Settentrionale è in pieno potere dei
fascisti. L’Italia centrale, Toscana, Umbria, Marche, Alto Lazio è tutta
occupata dalle Camicie nere. Dove non sono state prese d’assalto le
questure e le prefetture, i fascisti hanno occupato stazioni e poste,
cioè i grandi centri nervosi della vita della nazione… Ma la vittoria
non può essere mutilata da combinazioni dell’ultima ora.
Per arrivare
ad una transazione Salandra, non valeva la pena di mobilitare. Il
governo dev’essere nettamente fascista. Il Fascismo non abuserà della
sua vittoria, ma intende che non venga diminuita. Ciò sia ben chiaro a
tutti. Niente deve turbare la bellezza e la foga del nostro gesto. I
fascisti sono stati e sono meravigliosi. Il loro sacrificio è grande e
dev’essere coronato da una pura vittoria. Ogni altra soluzione è da
respingersi. Comprendano gli uomini di Roma che è ora di finirla coi
vieti formalismi mille volte, e in occasione meno gravi, calpestati.
Comprendano che sino a questo momento la soluzione della crisi può
ottenersi rimanendo ancora nell’ambito della più ortodossa
costituzionalità, ma che domani sarà forse troppo tardi. L’incoscienza
di certi politici di Roma oscilla tra il grottesco e la fatalità. Si
decidano! Il Fascismo vuole il potere e lo avrà!» (ripubblicato in Scritti e discorsi,
II, p. 351). Ma la stolta promulgazione del decreto di stato d’assedio
sembra che debba determinare lo scontro, sino allora miracolosamente
scongiurato, con le forze del governo. La situazione è inquietante. Ma
il re si rifiuta di firmarlo e il decreto non ha corso. La monarchia
italiana che non si oppose al popolo « quando concesse lo statuto» che «
non si oppose quando il popolo italiano chiese e volle la guerra » non
può opporsi « per le sue origini, per gli sviluppi della sua storia a
quelle che sono le tendenze della nuova forza nazionale ».
Il 31 ottobre
Mussolini è chiamato dalla fiducia del re alla presidenza del
consiglio. Le Camicie nere entrano trionfalmente a Roma percorrendo le
vie consolari. L’Italia non aveva un ministero, aveva un governo. Nello
stesso giorno le Camicie nere smobilitano e il Quadrumvirato pubblica il
seguente proclama redatto dal DUCE: « Fascisti di tutta Italia! Il
nostro movimento è stato coronato dalla vittoria. Il DUCE del nostro
esercito ha assunto i poteri politici dello Stato per l’interno e per
gli esteri. Il nuovo governo, mentre consacra il nostro trionfo nel nome
di coloro che ne furono gli artefici per terra e per mare, raccoglie, a
scopo di pacificazione nazionale, uomini anche di altre parti, perché
devoti alla causa della nazione. Il Fascismo italiano è troppo
intelligente per desiderare di stravincere. Fascisti! Il Quadrumvirato
supremo d’azione, rimettendo i suoi poteri alla Direzione del Partito,
vi ringrazia per la magnifica prova di disciplina e vi saluta. Voi
avete bene meritato dell’avvenire della patria.
Smobilitate con lo
stesso ordine perfetto con il quale vi siete raccolti per il grande
cimento, destinato, lo crediamo certamente, ad aprire una nuova epoca
nella storia italiana. Tornate alle consuete opere poiché l’Italia ha
bisogno ora di lavorare tranquillamente per attingere le sue maggiori
fortune. Nulla venga a turbare l’ordine potente della vittoria che
abbiamo riportato in queste giornate di superba passione e di sovrana
grandezza! Viva l’Italia! Viva il Fascismo! » (Proclama di
smobilitazione nel Popolo d’Italiadel 31 ottobre 1922, ripubblicato in Scritti e discorsi, II, p. 353). Cominciava l’Anno I dell’Era fascista.
BIBLIOGRAFIA: Il Popolo d’Italia, I e II
semestre 1922, Milano; B. MUSSOLINI, Scritti e discorsi, ed. definitiva,
Milano; id., Agosto-ottobre 1922, in Gioventù fascista del 25 ottobre
IX; I. Balbo, Da Perugia a Roma, in Gioventù fascista del 25 ottobre IX;
E. De Bono, Diario di campagna, in Gioventù fascista del 25 ottobre
IX; C. Delcroix, Un uomo e un popolo, Firenze 1928; I. Balbo, Diario
1922, Milano 1932; R. Farinacci, Storia della Rivoluzione fascista, vol.
2., L’insurrezione rossa e la vittoria dei fasci, Cremona 1937; id.,
Squadrismo. Dal mio diario della vigilia, Roma XI; G. Volpe, Storia del
movimento fascista, Varese-Milano 1939; F. Ercole, Storia del fascismo,
Padova XV; Pini-Bresadola-Giacchero, Storia del fascismo. Guerra,
Rivoluzione, Impero, Roma. XVII.
(Tratto dal DIZIONARIO DI POLITICA a cura del Partito Nazionale Fascista, Roma, 1940, voce Marcia su Roma) QUI la nostra antologia!
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