di: Giovanni Ranella
I motivi iniziatici, variamente
contenuti nelle grandi narrazioni sacre dell’umanità, come la
Bhagavad-Gita, le Argonautiche, l’Odissea o l’Iliade, l’Eneide, l’Asino
d’oro di Apuleio, così come negli stessi Romanzi del Graal o la Divina
Commedia, sono articolati attraverso una narrazione puramente allegorica
(sublime arte del racconto tradizionale) che allude, nella sistemazione
simbolica dei
diversi quadri narrativi, alle diverse fasi da realizzare per
l’edificazione dell’Opera interiore. Ogni viaggio o vicissitudine
narrati in queste storie, riferiscono dell’ineludibile attraversamento
dell’animo di luoghi e contrade ignote dense di pericoli mortali, che
vanno superati per conseguire l’effettiva liberazione: la liberazione in
cosa coincide? alla definitiva liberazione da sé.
L’idea di disciplina, è onnipresente in
tutti questi poemi significando la subordinazione dell’animo alla
inesausta ricerca della sua purificazione, per la quale è sviante anche
il desiderio stesso di realizzazione spirituale, essendo tale
aspirazione la piu’ raffinata proiezione illusoria concepita dall’ego
menzognero e malato. L’esercizio estremo e continuo, dovra’ riguardare
unicamente l’ottenimento del miglior ordine emotivo congiunto al
difficile risveglio della compassione, niente altro. Il progressivo
aggiogamento dei sensi fisici ordinari, (attraverso i quali è necessario
poter accedere al senso dello straordinario) è indispensabile per la
comprensione del nostro significato ultimo, diretto verso un’idea
suprema e, di fatto, inesprimibile, che prevede il superamento
definitivo della caduca materia. L’archetipo della morte-rigenerazione
sacramentale, che trasforma l’identità degli iniziati in indicibili
estensioni sensibili della preesistente equivalenza luminosa
dell’essere, costituiscono il motivo superiore giustificante la nostra
transitoria apparizione terrena.
A tal proposito notò giustamente Yukio Mishima:
“La bellezza della carne, la bellezza spirituale, tutto ciò che concerne la bellezza nasce solo dall’ignoranza e dalle tenebre” (La decomposizione dell’angelo).
Gnosi ferrigna e qualità eroica
“…Governa dunque dolcemente con
eguaglianza e proporzione, il tuo orgoglio e le altezzose nature,
affinché tu non favorisca l’uno più che l’altro, poiché, in questo caso,
loro che sono naturalmente nemici, cresceranno furiosi contro di te,
animati dalla gelosia, e disseccheranno irascibili, e ti faranno
sospirare per molto tempo dopo.
Oltre a ciò, tu dovrai mantenerli
perpetuamente a questo calore temperato, il che significa, notte e
giorno, fino al tempo in cui l’Inverno, il tempo della mistura degli
elementi, sarà passato; poiché loro faranno la loro pace, e uniranno le
mani per essere riscaldati insieme, ma se dovessero queste nature
trovarsi anche una sola mezz’ora senza fuoco, diverrebbero per sempre
irreconciliabili. Vedi perciò la ragione per cui è stato detto nel Libro
dei settanta precetti: Guarda che il loro calore continui
infaticabilmente senza mai diminuire, e che nessuno dei loro giorni sia
dimenticato” (Nicolas Flamel)
L’idea iniziatica, nel suo esplicitarsi
lungo il corso delle differenti manifestazioni storiche, che hanno
conferito sviluppi talvolta prodigiosi (seppur discordanti) alla sua
applicazione pratica, (sublimata mediante l’architettura, l’arte e la
poesia) anche oggi potrebbe essere ricondotta ai principi della sua
essenzialità trasmutativa, questo, nonostante l’epoca attuale dimostri
con ogni evidenza di contrastare qualsiasi principio puramente
iniziatico, congiunto al senso della trasformazione spirituale della
persona che, attirata da una eccezionale forza persuasiva subliminale,
rimane sottomessa al più fenomenale sviamento del senso di sé come mai
prima d’ora ha avuto modo di sperimentare.
L’allegoria ermetica che salda i metalli
a determinate proprietà sottili dell’individuo, vede l’Antimonio come
emblema dell’Anima Celeste: entità sottile giunta all’apice della
trasformazione, della purezza e della forza attiva, che sono proprie
alla potenza increata dello Spirito. Si tratta, in buona sostanza, del
principio che innalza l’Iniziato ad un dominio d’irriferibile soavità,
la cui essenza è completamente sciolta da ogni legame terreno. Gli
ermetisti dichiaravano di usare il loro Antimonio per lavare l’Oro
filosofico e purificarlo da tutte le scorie. A livello grafico
nell’ideogramma dell’Antimonio riconosciamo il cerchio – simbolo
dell’Unità – e la croce, che posta al di sopra di esso, indica un lavoro
compiuto e una perfezione definitivamente acquisita – peraltro, a
parere di una determinata esegetica, presumibilmente influenzata dai
capovolgimenti valoriali operati dalle forze della contraffazione
iniziatica, lo stesso simbolo costituirebbe anche la sintesi di una
grave distorsione, di cui ora qui non interessa approfondirne la
disamina.
L’alchimista Filalete scrisse il nostro acciaio è la chiave vera dell’Opera.
L’allegoria dei metalli, congiunti agli
aspetti di determinate qualità interiori in noi latenti, renderanno ogni
sincero praticante il metaforico fabbro del suo incandescente nucleo
emotivo. Nel Dizionario di Alchimia e Chimica antiquaria l’Acciaio dei
Saggi è spiegato come una lega di Antimonio e Ferro, rispettivi emblemi
dell’Anima intellettuale e del principio guerriero-virile, la dove per
Vir (virilità) va inteso l’eminente principio ispirativo congiunto alla
compassione, come sovrani unici dell’agire autenticamente cosciente.
L’Acciaio, andrebbe assimilato alla
costanza assidua e tenace di chi persegue il proprio riscatto
dall’assoggettamento alla materia mediante una pura Determinazione, che
avviluppa, come mantello ardente, l’Iniziato al momento della
purificazione: il Fuoco Filosofico ben temperato da una perfetta Volontà
Mistica. In questo senso l’Acciaio (secondo l’esegetica di Oswald
Wirth) metterebbe in relazione costruttiva l’identità dell’operante alla
zona maggiormente limpida dell’atmosfera eterica, che è ricettacolo
delle virtù superiori ed inferiori, secondo l’adagio che presenta una
significativa reminiscenza gnostica: La Terra è nera e dentro di sé, nelle sue viscere, ha luce = Luce immateriale preesistente alla luminosità astrale fisica, la quale, in buona sostanza, ne costituisce la sviante contraffazione.
Pervenire al senso ineffabile della
prima, invisibile luminosità pre-celeste, costituisce il fondamento
intuitivo necessario per dare avvio ad un concreto lavoro su di sé.
Fulcanelli annoterà:
“L’oggetto vile e disprezzato dagli
ignoranti, è il primitivo soggetto dei saggi, l’unico dispensatore
dell’acqua celeste, nostro primo mercurio e grande Alkaest, il
‘dissolvente universale’ “.
Il simbolismo ermetico riferisce del
solfureo drago nero che occulta al suo interno la bianca principessa
(quale emblema dell’anima) che dovrà essere liberata dalla sua tetra
prigionia. Le antiche favole riferiscono di prodi cavalieri risoluti
sconfiggere questo dannato mostro, restituendo allo splendore
l’incantevole principessa. Il cavaliere (simboleggiato dallo zolfo)
assume compositi aspetti allegorici, per i quali è presentato dalla
mitologia come Ares/Marte, Cadmo, Perseo, Ercole, o nelle leggende
cristiane nelle vesti di Longino o San Giorgio, a ogni modo, tutti
costoro sono coperti da corazza e armati di spada di acciaio per
uccidere il drago e liberare la Vergine Bianca (benché la funzione della
spada possa anche essere assolta dalla lancia). Vale la pena di notare
che l’iconografia maggiormente rigorosa, quando ritrae l’emblema
dell’archetipo spirituale
nell’atto di sconfiggere il male, rappresenta il vincitore nell’atto di
tenere la mano che brandisce l’arma sempre sollevata sopra la testa.
Questo perché l’acciaio di cui è formata la spada o la punta della
lancia simboleggia la Vir sprituale, la quale è superiore all’identità
ordinaria che risiede nella mente: a significare che lo spirito
travalica sempre la mente. In questo frangente, il potere evocativo è
tutto, ed è estremamente arduo saper mantenere l’equilibrio interiore.
Gli ostacoli più difficili sono costituiti dall’avidità del corpo e
della mente. Lo slancio vitalistico è fatalmente attratto dall’avidità
egoica e, in questo senso, è la vita che ci possiede e non il contrario.
Nell’ottica di una sopravvivenza solo
egoistica, dunque massimamente inconsapevole, dire vita significa
affermare un principio di distorsione continua cui è impossibile porre
rimedio. In ragione di ciò, anche una circostanza apparentemente
irrilevante, quale può essere l’esercizio fisico, deve necessariamente
disciplinarsi per trasformare l’ego. Si tratta di evocare in sé un
continuo appello interiore alla radianza originaria che giace nelle
segrete dell’io, incastonato nella prigione terrena del corpo fisico; di
fatto, occorre prendere piena consapevolezza che l’esistenza ci
coinvolge in una dura lotta interiore costante.
Di questi tempi, sempre più irraggiati
da infide persuasioni subliminali, è fondamentale prendere coscienza che
quaggiù, finchè abitiamo l’esistenza terrena, fino all’ultimo occorre
temprare l’animo mediante una continua disciplina dell’istante,
apparentemente insignificante; in quanto nulla potremo travasare al di
là del Gran Salto, se non una irriferibile intima determinazione
ravvolta in un flebile barlume intuitivo di inesplicabile potenza
rivelativa. Questa, dopotutto, sarebbe l’essenza dei Sacri Misteri.
Gli articoli riguardo a questo argomento ne ho letti abbastanza , ma riguardo alla pratica, mi sono sempre chiesto, da dove posso iniziare ?
RispondiEliminaDavide
Lo vorrei sapere pure io Davide.
RispondiEliminaGrelot
La pratica si può iniziare ovunque, in un corso di pittura, di meditazione zen, di yoga o di ballo. Se siete destinati vi cadrà in testa o qualcuno Ve la sussurerá all'orecchio o un altro conosciuto vi proporrà qualcosa. Se siete sensibili noterete nomi di strade o numeri oppure in una giornata di sole troverete un giornale su di una panchina vicino a un monumento o un vecchio che da il becchime ai piccioni e potrei essere io.
RispondiEliminajj