Un momento assai significativo dello scontro Modernità-Tradizione è certamente rappresentato dalle cosiddette “guerre indiane”. Evento epocale, spartiacque storico, la cui tragica conclusione ha avuto quale inevitabile e successivo esito l’occidentalizzazione del mondo.
Gli Stati Uniti avevano da poco posto
termine alla cruenta Guerra Civile e si volgevano alla conquista dei
territori ad ovest. Il loro esercito dilagò nelle Grandi Praterie al
seguito della prima ferrovia transcontinentale, simbolo
per eccellenza delle “sorti progressive” della Modernità. Solo le fiere
tribù pellerossa si opposero, fedeli alla vocazione guerriera della
loro civiltà, scegliendo il martirio. Una recente pubblicazione, Al Dio degli inglesi non credere mai. Storia del genocidio degli Indiani d’America 1492-1972, edita da OAKS (per ordini: info@oakseditrice.it,
euro 28,00), ripercorre la storia di questo popolo, a partire
dall’arrivo, attraverso lo Stretto di Bering sul continente
Nordamericano e si sofferma, in modo particolare, sui momenti salienti
del suo sterminio etnico e spirituale. Sappia il lettore che le pagine
del volume che presentiamo, non si risolvono semplicemente in una
ricostruzione storica, organica, documentata e puntuale. Si tratta di
un’opera attraversata da profonda empatia nei confronti dell’oggetto
indagato. Ne sono autori due brillanti giornalisti e fotografi,
Gianfranco Peroncini e Marcella Colombo, che coinvolgo il lettore in
forza della persuasività delle argomentazioni addotte, ma anche per la
capacità affabulatoria e coinvolgente della loro prosa.
La lettura ha suscitato in noi vivo
interesse, nostalgia nei confronti di una visione del mondo che,
attualmente, è sopraffatta dal “Regno della quantità”, ammirazione nei
confronti dei martiri pellerossa. Ma su cosa era centrata la concezione
tradizionale della vita degli uomini rossi? Su due idee fondamentali, il
Centro e l’Origine. Per essi “essere conformi alla tradizione […] significa essere fedeli all’origine” (p. 25), e di conseguenza ogni uomo avrebbe dovuto, quotidianamente, tentare di ricondurre il proprio ex-sistere, lo stare fuori, verso il Centro. Allo scopo, celebravano riti assai significativi. Innanzitutto, la Danza del Sole. Danza sacrificale dedicata alla potenza solare, preghiera comunitaria mirata a “tracciare un raggio tra il Sole e il cuore dell’uomo” (p. 22), ponendo in sintonia il Cielo e la Terra. La Tradizione pellerossa, come compreso da Schuon, discepolo di Guénon,
va inquadrata nello sciamanesimo, corrente spirituale afferente ai
popoli di origine mongolica, al cui centro è la complementarietà di
Cielo e Terra e il culto della natura presieduta da Spiriti Guardiani,
subordinati ad un Essere Supremo, Wakan Tanka.
Il rito della Danza del Sole si svolge attorno ad un albero, simbolo dell’axis mundi. I danzatori sono uniti all’albero da strisce di cuoio, fissate nei loro petti da ganci “Avvicinandosi e allontanandosi (dall’albero) i danzatori attingono la forza necessaria che poi diffondono alla periferia […]. Sono come aquile in volo verso il Sole” (p. 22). La Danza si configura come un volo, una riconquista del Principio.
Altrettanto rilevante è il rito del Calumet,
della Sacra pipa. Nell’offerta del Calumet al Grande Spirito è il cosmo
intero a pregare con il sacrificatore. L’offerta viene indirizzata ai
quattro punti cardinali. Altro momento centrale della pratica rituale
pellerossa è la frequentazione dalla capanna sudatoria. In essa l’uomo,
liberandosi dei pesi “cosali”, meramente concupiscibili della propria
natura, della “pietra grezza”, si rigenera divenendo “uomo nuovo”. Tutto
ciò non ha, inutile sottolinearlo, alcuna valenza
naturalistico-animistica, ma, al contrario, valore iniziatico. A ciò è
collegato nella Tradizione “indiana” l’attribuzione dei nomi “I nomi
indiani sono davvero speciali in quanto sono il simbolo di un potere
che viene affidato in vari modi. Si possono conquistare e si possono
tramandare perché rivelano una relazione particolare con le forze della
natura” (pp. 25-26). Il nome evidenza, così, la presenza del
principio trascendente nell’immanenza. Parola, racconto, tradizione
orale, hanno ruolo fondativo per i pellerossa. Lo testimonia lo
splendido mito di Grande Roccia: pietra magica che avrebbe narrato ad un
giovane guerriero il racconto dell’origine del cosmo e della vita,
raccomandando all’ascoltatore di trasmetterlo al suo popolo e,
soprattutto, di custodirlo nel tempo. Grande Spirito avrebbe, infatti,
abbandonato al suo alter ego, Cattivo Spirito, gli uomini
rossi, qualora questi avessero disobbedito a tale intimazione, qualora
non avessero trasmesso la Tradizione. Ciò spiega, in uno, il processo di
decadenza implicito negli eventi storici e la valorizzazione dell’ “atteggiamento devoto e rituale” (p. 17), al fine di riannodare le relazioni turbate degli uomini con il Grande Spirito e la realtà.
Va rilevato, a beneficio del lettore,
che la dipendenza diretta di Cielo e Terra, la seconda essendo
semplicemente una “coagulazione” del primo, è alla base della
valorizzazione spirituale della natura propria di questo popolo: “La Terra non appartiene all’uomo. E’ l’uomo che appartiene alla Terra”
(p. 19). Tale principio comporta che, vivendo in modo diretto il
rapporto con la natura “selvaggia”, l’uomo possa divenire effettivamente
calice trasparente, nei confronti di se stesso e dei propri
simili. Potevano uomini dalle idee siffatte, arrendersi senza combattere
contri i portatori della visione materialistica, utilitarista della
vita? Certamente no. Di fronte alla fine ineluttabile, decisero di
rivolgere al Cielo la propria preghiera di morte, morendo “come un eroe che sta ritornando a casa”
(p. 7). Lungo questa tragica ultima cavalcata, gli uomini rossi ebbero
l’opportunità, sia pure davvero momentanea, di verificare come fosse
possibile, attraverso l’azione guerriera, avere la meglio sulla
decadenza (il ciclo eroico di Evola).
Lo constatarono a Little Bighorn
nel 1876, sopraffacendo, per l’ultima volta, l’esercito statunitense
nella sua irrefrenabile conquista della nuova frontiera. Il Generale
Custer e i suoi trecento soldati furono sconfitti. Nel 1890, a Wounded Knee, mentre la natura tutt’attorno riposava nel gelo hiemale di dicembre, e il Settimo Cavalleggeri, si trasformava, per i pellerossa e la Tradizione, in Settimo Calvario,
il loro sangue vermiglio irrorò la Terra Sacra. Da allora la loro
civiltà è stata reclusa nelle “riserve” ed il processo di colonizzazione
dell’immaginario comunitario è risultato devastante. Un genocidio
spirituale oltre che militare. Accompagnato, naturalmente, dallo scempio
della Natura, considerata a disposizione dei “visi pallidi”, imago dei, immagine del “Dio degli inglesi”.
In ogni caso, a Wounded Knee, si è celebrato solo il tramonto della Tradizione del popolo rosso “nella struggente malinconia del saluto vespertino ma con l’infuocata promessa del ritorno…” (p. 14). Ogni tramonto è annuncio di una nuova alba, a condizione che si sia disposti a spendersi per essa.
Inglese e'sinonimo di Ebreo dalla City di London centro finanziario mondiale controllano tutto .digitate: "I crimini delle brigate ebraiche"video di 9 minute e" salvini 25 aprile gli EBREI" l'infame lecchino di sion si rivela !Votate pure la Lega di Salvini sposteranno la capitale d'italia a gerusalemme,i soldi degli EBREI fanno comodo ai nostri politici traditori che non sanno come strisciare meglio !!
RispondiEliminaDigitare: "I crimini delle brigate ebree"
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