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lunedì 6 novembre 2017

la grande sfida dell’Italia etnofederale



di: Paolo Sizzi

Con Matteo Salvini che cassa la dicitura “Nord” dal simbolo della Lega sembra esaurirsi l’esperienza nordista del partito che fu di Bossi, in favore di un progetto leghista a livello nazionale. Questa è la logica conseguenza di un movimento che, nel 2012, giunto ai suoi minimi storici, venne travolto dagli scandali del “cerchio magico” bossiano, tra ruberie, diamanti, Belsito, Rosy Mauro, Tanzania, Renzo Bossi e fondi poi bloccati. In realtà la “Padania”, la fantomatica invenzione del 1996 varata sul Po da Umberto Bossi, non è stata affossata dalla svolta nazionalista di Salvini ma dalla banda del senatur stesso, che la tenne in vita circa 5 anni per poi archiviarla nel 2000-2001 al fine di poter tornare al governo con Berlusconi (l’eterno padrone), tranquillizzando l’allora PdR Ciampi sui (farseschi) propositi secessionisti.


Appare dunque patetico gettare la croce del “tradimento” addosso a uno che, se vogliamo, ha salvato la Lega Nord dall’oblio e che, comunque, è stato fortemente voluto dalla base leghista, che così ha spedito nel dimenticatoio Bossi e ha abbandonato definitivamente i propositi separatisti, d’altronde null’altro che fuffa propagandistica presto rinnegata dai suoi stessi artefici. Perciò mi sembra del tutto stucchevole la recriminazione di Umberto contro Matteo, considerando che proprio il primo fu colui che innescò il processo di de-nordizzazione ed instradò la Lega lungo i binari della normalizzazione, ponendo di fatto le basi per la banalissima presa di coscienza salviniana, circa la natura di un movimento che ha rimpiazzato, nei fatti, il buco lasciato scoperto dalla dipartita di Alleanza Nazionale. La Meloni è sicuramente ben poca roba.

A mio modesto parere la Lega ha buttato nel gabinetto 35 anni, ossia i suoi (partendo dalla Lega Lombarda), perché tra autonomie, federalismi, secessioni, devolution, federalismi fiscali solidali ecc. ha combinato ben poco, portando a casa il nulla. Col senno di poi è forse troppo facile dirlo ma è evidente che lo sbaglio più grande fatto dal Carroccio sia stato quello di seguire tortuosi sentieri anti-meridionalisti, arrivando al muro contro muro, inscenando poi i classici teatrini pontidesi che venivano, peraltro, smentiti dalle tavolate di Arcore dove Berlusconi riusciva sempre a mettere a cuccia Bossi e i più scalmanati dei suoi.
Al di là del fatto che la Lega, nata come incendiaria, si sia poi rivelata un fedele pompiere al servizio di Roma, non solo a livello di Nord contro Sud ma anche di etica, integrità, onestà, di lotta alla corruzione e ai forchettoni democristiani (ricordiamo episodi come la maxi-tangente Enimont, lo scandalo Credieuronord, e i già citati fatti di Tanzania), non sarebbe stato molto ma molto meglio creare un partito federalista, a livello nazionale, che sin da subito portasse avanti le tesi di un Cattaneo o di un Miglio senza pagliacciate padaniste e posizioni sterilmente anti-romane e anti-sudiste? Un approccio totalmente diverso alla questione settentrionale e meridionale avrebbe di certo permesso ad una Lega molto più razionale e meno folcloristica e “di pancia” di portare a casa qualche risultato e, innanzitutto, di creare un vasto movimento d’opinione favorevole ad una radicale riforma costituzionale in nome del federalismo.

Un federalismo serio, naturalmente, su basi etniche, culturali e poi anche economiche, chiaramente, con il governo che rimane a Roma ma con un parlamento federale e un presidente della repubblica, garante dell’unità nazionale e della bontà di un’Italia politicamente unificata, il cui ruolo viene plasmato in senso presidenziale, un uomo forte cioè custode della religione civica nazionale romana e del patriottismo (non artificiale, ottocentesco, ma storicamente motivato) genuino. A livello federale, non venti inutili regioni, tra cui diverse con uno statuto autonomo/speciale che diviene pozzo senza fondo sulle spalle di tutti i cittadini italiani e foriero di deleterie derive alla siciliana, ma 5 massimo 6 areali etno-culturali coesi da storia, identità, tradizione, lingua dove al limite parte delle attuali regioni – ovviamente ridisegnate razionalmente – costituisca la rete provinciale di questi areali, di queste macroregioni storicamente motivate.

Dobbiamo prendere, seriamente, coscienza della diversità che esiste in Italia, non per arrivare all’anti-settentrionalismo, all’anti-romanismo e all’anti-meridionalismo ma proprio per raggiungere la quadra etnofederale che garantirebbe miglior vita anche alla nazione in generale, senza insensati livellamenti verso il basso e senza tentazioni separatistiche. Proprio il federalismo servirebbe a disinnescarle, così come servirebbe a prevenire un centralismo malato e sbagliato che trascinerebbe inesorabilmente nel baratro tutte le regioni italiane. Non è infatti giusto che le regioni più virtuose debbano rimetterci per via di quelle più disgraziate; non è giusto che una parte d’Italia, anziché un’altra, venga, come dire, colonizzata per volontà centralista arrivando ad inguaiare sia chi emigra che chi rimane; non è giusto, altresì, che si impongano ritmi uguali ad aree storiche differenti, dove vigono usi, costumi e mentalità in linea con la propria peculiare cultura, che non è da sradicare ma armonizzare, con le altre, nel quadro etnonazionale.





Ovviamente serve la collaborazione e la convinta adesione da parte di tutti, senza le quali non ci si può poi stupire se, a nord come a sud o in Sardegna, nascano spiccate tendenze verso un autonomismo a tinte antinazionali sulla falsariga di quello catalano. Partendo dal sacrosanto presupposto che prima degli stati viene il benessere dei popoli (non solo a livello economico), per quanto possa essere vero che indebolire l’unità nazionale sia un favore agli stranieri (e a certi enti sovranazionali), non va dimenticato che gli attuali stati europei occidentali sono solo vuoti contenitori che fungono da succursali dell’imperialismo americano e della Nato, perciò di sovranità e di autorità nazionali ve ne sono ben poche… L’indipendentismo può diventare un cavallo di Troia nelle mani del nemico, ma anche la statolatria pseudo-giacobina, spesso dal puzzo mafioso e massonico, è una pericolosissima avversaria del sangue, del suolo, dello spirito della nazione e delle sue piccole patrie interne.

Cerchiamo dunque di trovare un equilibrio, una salutare moderazione razionale, laddove serva, per mettere d’accordo il dato nazionale con quello subnazionale, onde evitare derive centraliste (perniciose) e pulsioni secessioniste e disgregatrici che in nessun modo farebbero l’interesse delle genti d’Italia perché finalizzati a ideologie distruttrici e, per questo, fedeli alleate del sistema mondialista, nemico d’Italia come delle sue matrie. Proprio per queste ragioni il nuovo corso della Lega targata Salvini (per quanto Salvini sia un personaggio spesso spoetizzante) potrebbe rappresentare una grandissima occasione di rinnovamento radicale dello stato italiano e della sua Costituzione, che non saranno mai in nessun modo più sacri del destino dei popoli che abitano il Paese. Serve, come già detto, la collaborazione di tutti gli Italiani, proprio per salvare sia l’Italia – concepita come nazione storica – sia le regioni etno-culturali che la costituiscono. Gli stati simil-nazionali di matrice ottocentesca sono baracconi che han fatto il loro tempo, rivelandosi troppo spesso gabbie in cui le genti languiscono; la rivoluzione di cui l’Italia e l’Europa abbisognano è rappresentata dalla sfida etnonazionalista che sta nel dare finalmente voce e forma alle identità etniche reali (non immaginarie), certamente nel rispetto dei quadri nazionali ma senza alcuna concessione allo statalismo che, ad esempio, devasta da 70 anni tutta l’Italia.

Quando riusciremo, alfine, a dare legittimazione politica e giuridica alle sfumature etno-culturali esistenti in Italia sapremo che questo Paese è cambiato, in meglio, poiché senza frammentazioni micro-sciovinistiche (e anche senza europeismo di cartapesta in stile Benelux) avremo raggiunto l’agognato traguardo di una etno-nazione costituita da più piccole sub-nazioni, che è poi l’unico modo per salvare il buon nome dell’Italia più nobile, aulica ed elevata, plasmata da Roma, e per sconfiggere, senza sciagurati scenari balcanici, la bestia mondialista che mette i vari popoli d’Italia uno contro l’altro, a tutto vantaggio del parassitismo anti-identitario.

Ave Italia!






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