di: Paolo Sizzi
Con Matteo
Salvini che cassa la dicitura “Nord” dal simbolo della Lega sembra
esaurirsi l’esperienza nordista del partito che fu di Bossi, in favore
di un progetto leghista a livello nazionale. Questa è la logica
conseguenza di un movimento che, nel 2012, giunto ai suoi minimi
storici, venne travolto dagli scandali del “cerchio magico” bossiano,
tra ruberie, diamanti, Belsito, Rosy Mauro, Tanzania, Renzo Bossi e
fondi poi bloccati. In realtà la “Padania”, la fantomatica invenzione
del 1996 varata sul Po da Umberto Bossi, non è stata affossata dalla
svolta nazionalista di Salvini ma dalla banda del senatur
stesso, che la tenne in vita circa 5 anni per poi archiviarla nel
2000-2001 al fine di poter tornare al governo con Berlusconi (l’eterno
padrone), tranquillizzando l’allora PdR Ciampi sui (farseschi) propositi
secessionisti.
Appare dunque patetico gettare la croce
del “tradimento” addosso a uno che, se vogliamo, ha salvato la Lega Nord
dall’oblio e che, comunque, è stato fortemente voluto dalla base
leghista, che così ha spedito nel dimenticatoio Bossi e ha abbandonato
definitivamente i propositi separatisti, d’altronde null’altro che fuffa
propagandistica presto rinnegata dai suoi stessi artefici. Perciò mi
sembra del tutto stucchevole la recriminazione di Umberto contro Matteo,
considerando che proprio il primo fu colui che innescò il processo di
de-nordizzazione ed instradò la Lega lungo i binari della
normalizzazione, ponendo di fatto le basi per la banalissima presa di
coscienza salviniana, circa la natura di un movimento che ha
rimpiazzato, nei fatti, il buco lasciato scoperto dalla dipartita di
Alleanza Nazionale. La Meloni è sicuramente ben poca roba.
A mio modesto parere la Lega ha buttato
nel gabinetto 35 anni, ossia i suoi (partendo dalla Lega Lombarda),
perché tra autonomie, federalismi, secessioni, devolution,
federalismi fiscali solidali ecc. ha combinato ben poco, portando a casa
il nulla. Col senno di poi è forse troppo facile dirlo ma è evidente
che lo sbaglio più grande fatto dal Carroccio sia stato quello di
seguire tortuosi sentieri anti-meridionalisti, arrivando al muro contro
muro, inscenando poi i classici teatrini pontidesi che venivano,
peraltro, smentiti dalle tavolate di Arcore dove Berlusconi riusciva
sempre a mettere a cuccia Bossi e i più scalmanati dei suoi.
Al di là del fatto che la Lega, nata come
incendiaria, si sia poi rivelata un fedele pompiere al servizio di
Roma, non solo a livello di Nord contro Sud ma anche di etica,
integrità, onestà, di lotta alla corruzione e ai forchettoni
democristiani (ricordiamo episodi come la maxi-tangente Enimont, lo
scandalo Credieuronord, e i già citati fatti di Tanzania), non sarebbe
stato molto ma molto meglio creare un partito federalista, a livello
nazionale, che sin da subito portasse avanti le tesi di un Cattaneo o di
un Miglio senza pagliacciate padaniste e posizioni sterilmente
anti-romane e anti-sudiste? Un approccio totalmente diverso alla
questione settentrionale e meridionale avrebbe di certo permesso ad una
Lega molto più razionale e meno folcloristica e “di pancia” di portare a
casa qualche risultato e, innanzitutto, di creare un vasto movimento
d’opinione favorevole ad una radicale riforma costituzionale in nome del
federalismo.
Un federalismo serio, naturalmente, su
basi etniche, culturali e poi anche economiche, chiaramente, con il
governo che rimane a Roma ma con un parlamento federale e un presidente
della repubblica, garante dell’unità nazionale e della bontà di
un’Italia politicamente unificata, il cui ruolo viene plasmato in senso
presidenziale, un uomo forte cioè custode della religione civica
nazionale romana e del patriottismo (non artificiale, ottocentesco, ma
storicamente motivato) genuino. A livello federale, non venti inutili
regioni, tra cui diverse con uno statuto autonomo/speciale che diviene
pozzo senza fondo sulle spalle di tutti i cittadini italiani e foriero
di deleterie derive alla siciliana, ma 5 massimo 6 areali etno-culturali
coesi da storia, identità, tradizione, lingua dove al limite parte
delle attuali regioni – ovviamente ridisegnate razionalmente –
costituisca la rete provinciale di questi areali, di queste macroregioni
storicamente motivate.
Dobbiamo prendere, seriamente, coscienza
della diversità che esiste in Italia, non per arrivare
all’anti-settentrionalismo, all’anti-romanismo e all’anti-meridionalismo
ma proprio per raggiungere la quadra etnofederale che garantirebbe
miglior vita anche alla nazione in generale, senza insensati
livellamenti verso il basso e senza tentazioni separatistiche. Proprio
il federalismo servirebbe a disinnescarle, così come servirebbe a
prevenire un centralismo malato e sbagliato che trascinerebbe
inesorabilmente nel baratro tutte le regioni italiane. Non è infatti
giusto che le regioni più virtuose debbano rimetterci per via di quelle
più disgraziate; non è giusto che una parte d’Italia, anziché un’altra,
venga, come dire, colonizzata per volontà centralista arrivando ad
inguaiare sia chi emigra che chi rimane; non è giusto, altresì, che si
impongano ritmi uguali ad aree storiche differenti, dove vigono usi,
costumi e mentalità in linea con la propria peculiare cultura, che non è
da sradicare ma armonizzare, con le altre, nel quadro etnonazionale.
Ovviamente serve la collaborazione e la
convinta adesione da parte di tutti, senza le quali non ci si può poi
stupire se, a nord come a sud o in Sardegna, nascano spiccate tendenze
verso un autonomismo a tinte antinazionali sulla falsariga di quello
catalano. Partendo dal sacrosanto presupposto che prima degli stati
viene il benessere dei popoli (non solo a livello economico), per quanto
possa essere vero che indebolire l’unità nazionale sia un favore agli
stranieri (e a certi enti sovranazionali), non va dimenticato che gli
attuali stati europei occidentali sono solo vuoti contenitori che
fungono da succursali dell’imperialismo americano e della Nato, perciò
di sovranità e di autorità nazionali ve ne sono ben poche…
L’indipendentismo può diventare un cavallo di Troia nelle mani del
nemico, ma anche la statolatria pseudo-giacobina, spesso dal puzzo
mafioso e massonico, è una pericolosissima avversaria del sangue, del
suolo, dello spirito della nazione e delle sue piccole patrie interne.
Cerchiamo dunque di trovare un
equilibrio, una salutare moderazione razionale, laddove serva, per
mettere d’accordo il dato nazionale con quello subnazionale, onde
evitare derive centraliste (perniciose) e pulsioni secessioniste e
disgregatrici che in nessun modo farebbero l’interesse delle genti
d’Italia perché finalizzati a ideologie distruttrici e, per questo,
fedeli alleate del sistema mondialista, nemico d’Italia come delle sue
matrie. Proprio per queste ragioni il nuovo corso della Lega targata
Salvini (per quanto Salvini sia un personaggio spesso spoetizzante)
potrebbe rappresentare una grandissima occasione di rinnovamento
radicale dello stato italiano e della sua Costituzione, che non saranno
mai in nessun modo più sacri del destino dei popoli che abitano il
Paese. Serve, come già detto, la collaborazione di tutti gli Italiani,
proprio per salvare sia l’Italia – concepita come nazione storica – sia
le regioni etno-culturali che la costituiscono. Gli stati
simil-nazionali di matrice ottocentesca sono baracconi che han fatto il
loro tempo, rivelandosi troppo spesso gabbie in cui le genti
languiscono; la rivoluzione di cui l’Italia e l’Europa abbisognano è
rappresentata dalla sfida etnonazionalista che sta nel dare finalmente
voce e forma alle identità etniche reali (non immaginarie), certamente
nel rispetto dei quadri nazionali ma senza alcuna concessione allo
statalismo che, ad esempio, devasta da 70 anni tutta l’Italia.
Quando riusciremo, alfine, a dare
legittimazione politica e giuridica alle sfumature etno-culturali
esistenti in Italia sapremo che questo Paese è cambiato, in meglio,
poiché senza frammentazioni micro-sciovinistiche (e anche senza
europeismo di cartapesta in stile Benelux) avremo raggiunto l’agognato
traguardo di una etno-nazione costituita da più piccole sub-nazioni, che
è poi l’unico modo per salvare il buon nome dell’Italia più nobile,
aulica ed elevata, plasmata da Roma, e per sconfiggere, senza sciagurati
scenari balcanici, la bestia mondialista che mette i vari popoli
d’Italia uno contro l’altro, a tutto vantaggio del parassitismo
anti-identitario.
Ave Italia!
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