di: Paolo Sizzi
Il cromatismo
ariano bianco-rosso-nero è stato trattato diverse volte, in passato come
nel presente, da fior fior di autori tradizionalisti quali Evola,
Guénon, Dumézil, Audry, Migliori, Anselmo e altri. Aggiungerò il mio
modestissimo contributo facendo un po’ un sunto del significato più
profondo e suggestivo dei colori della Tradizione indoeuropea, che
peraltro trovano interessanti paralleli (casuali?) anche nel mondo
arabo, in chiave nazional-sociale, e soprattutto nelle moderne bandiere
nazionali europee dall’800 a questa parte.
Quanto sto per dire non suonerà certo nuovo alla maggioranza dei lettori di EreticaMente,
ma val la pena riprendere le fila del discorso in un modo diretto e
semplice come è nel mio stile, rivolto per lo più a chi è digiuno di
nozioni identitarie e tradizionaliste oppure ha conoscenze a sprazzi
dell’argomento. La base del discorso affonda le proprie radici
nell’antichità pagana degli Ariani. La nota tripartizione funzionale del
pantheon e della società indoeuropei è stata rappresentata dai
nostri Padri anche mediante il cromatismo bianco-rosso-nero di cui
stiamo parlando: al bianco corrisponde la funzione del sacro a cui sono
preposti i sacerdoti, sotto l’egida della divinità massima padre della
luce diurna e del cielo (ad esempio il Diespiter italico); al rosso la
funzione della guerra relativa ai nobili guerrieri, a coloro che
difendono la terra e il popolo in nome del dio della guerra (ad esempio
il nostro Marte); al nero la funzione del lavoro, in ispecial modo della
terra ossia l’ambito rurale, afferente alla base della società composta
dai lavoratori e dai contadini, i produttori insomma (si pensi al
romano Quirino, preposto alle arti liberali e al patronato delle curie).
Si hanno così il bianco della
spiritualità e della luce, il rosso del sangue versato sui campi di
battaglia, il nero del suolo ubertoso fecondato dal sudore del lavoro.
Capita che al posto del nero si possano trovare il verde o il blu scuro
coi medesimi significati, ed è interessante come tutti i popoli di
origine indoeuropea dall’Irlanda all’India possano dirsi accomunati
anche da questi cromatismi atavici che ritornavano mirabilmente
nell’antica Roma, tra i Celti e i Germani, tra gli Slavi, e
addentrandosi in Asia tra Iranici e Indo-Ari. Basterebbe pensare al
sistema delle caste indiane introdotto proprio dagli invasori ariani per
rendersene conto appieno, un sistema che riflette le stesse credenze
religiose del pantheon tripartito di cui parlavo, talché per
l’India ariana abbiamo Mitra/Varuna-Indra-Ashvin, per gli Italici
Giove-Marte-Quirino, per i Germani Odino-Thor-Freyr e così via.
C’è anche un altro filone di cui tener
conto, che è quello dell’ermetismo alchemico (connesso a quello
ayurvedico?) studiato proprio da Evola, ovvero i tre gradi dell’Opera
alchemica: nigredo, albedo, rubedo. Il nero
corrisponde alla morte alchemica dei nostri istinti fisici più bassi e
della nostra corruzione morale, il bianco alla purificazione, il rosso
alla rinascita e all’azione “guerriera” e virile (mentre il bianco,
lunare, è piuttosto passivo e femminile per così dire). Siamo in
presenza di tre principi che vengono rappresentati dal corpo, dall’anima
e dallo spirito e sono tre principi che sovente ricorrono nell’antico
mondo degli Arya.
Così, in base agli echi del paganesimo e
della gentilità indoeuropei e di quelli ermetico-alchemici della
tradizione di cui ci parla Evola (la seduzione orientale delle
individualità gentili più sensibili) ecco la riproposizione moderna del
cromatismo identitario bianco-rosso-nero che da molti viene intravisto
nelle bandiere degli stati-nazionali ottocenteschi ma volendo anche con
alcuni riverberi nell’estremo Oriente del sol levante e tra gli Indiani
d’America (Indiani d’America che, oltretutto, stando ai contemporanei
studi genetici avrebbero in comune con noi Eurasiatici caucasoidi una
fetta di genoma di antichissima origine siberiana giunta a noi proprio
grazie agli Ariani delle steppe).
Francia, Italia (dal tricolore primigenio
del 1797 a quello attuale, passando per il curioso tricolore a strisce
orizzontali nero-bianco-rosso della Repubblica Romana), Irlanda,
Germania imperiale, bandiere slave, Iran, India, Kurdistan, Tagikistan
sono alcuni Paesi che hanno in comune bandiere ripartite in strisce
orizzontali o verticali con i colori della Tradizione di cui sopra e che
forse riflettono inconsciamente l’intramontabile ethos
indoeuropeo giunto sino a noi eredi degli arii Padri.
I cattolici, presi
dalla loro solita fregola di sgraffignare e riadattare in termini
cristiani, hanno fatto proprio un vessillo tradizionalista a strisce
orizzontali in rosso-bianco-nero di fatto mutuandolo dalle idee
paganeggianti dei moderni autori ma anche dalla storia medievale dei
cavalieri che, durante le fasi dell’investitura, indossavano via via tre
vesti di colore nero, bianco e rosso; questo si riconnette sia alla
tradizione ariana che alla corrente magica dell’alchimia dove per
l’appunto il nero rappresenta la morte di sé, il bianco la purificazione
e il rosso il sacrificio sul campo di battaglia per difendere il
proprio signore e la propria terra (ovviamente il rituale cavalleresco
trae origine dal guerriero spirito germanico).
Come abbiamo visto, dunque, pur con delle
sensibili differenze tra filone ariano e filone alchemico, il
cromatismo bianco-rosso-nero ritorna prepotentemente in entrambi nella
sistemazione moderna e contemporanea di antichissime credenze gentili
(anche se, appunto, parassitate e distorte successivamente dai
cristiani).
Oggi, negli ambienti patriottici d’Italia, la bandiera
indoeuropea della Tradizione ideata per accomunare spiritualmente tutte
le genti indoeuropee appare come a strisce orizzontali in
rosso-bianco-nero, seguendo un ordine metafisico che vede in cima il
rosso dell’infuocato spirito solare maschile, in mezzo la lunare anima
femminea della purificazione passiva e in basso il nero della fisicità
corporea da cui si comincia la propria elevazione spirituale; sicché al
rosso corrisponde lo spirito (cuore), al bianco l’anima (cervello), al
rosso il corpo (i visceri, il ventre).
A seconda della chiave interpretativa di
questa triade cromatica, l’ipotetica bandiera tradizionale pan-europea
e/o pan-ariana può dunque apparire bianca-rossa-nera (filone sacrale
ariano), rossa-bianca-nera (reinterpretazione identitaria di Evola),
nera-bianca-rossa (filone ermetico-alchemico evoliano).
Al dibattito
contribuiscono, corroborando la straordinaria valenza etno-culturale di
questa simbologia, le bandiere del secondo e terzo Reich anch’esse
potentemente intrise di (inconsci?) rimandi tradizionali con tanto, nel
caso della Germania nazionalsocialista, di ricupero del solare swastika e del binomio völkisch di
Sangue e Suolo (da cui, a mio dire, lo Spirito). In questo senso assume
ancor più autorità (anche per criteri estetici) la versione
rosso-bianco-nero, che assurge a via di mezzo rimarcando il retaggio
ariano, poiché tra il rosso del sangue nobile versato dai guerrieri e il
nero del suolo patrio lavorato e fecondato dai contadini si colloca la
luminosità uranica dello spirito della gentilità ariana, la cui valenza
viene ulteriormente rafforzata da altri due epici simboli dell’Europa e
della sua inimitabile epopea storica: l’aquila di Zeus-Giove, e della
potenza romana, e la ruota solare infuocata che è alla base della
virilità mistica e guerriera degli Ariani.
Ave Italia!
Fonte: ereticamente.net
Nessun commento:
Posta un commento