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mercoledì 14 settembre 2016

I sacri colori dell'antica Tradizione ariana





di: Paolo Sizzi

Il cromatismo ariano bianco-rosso-nero è stato trattato diverse volte, in passato come nel presente, da fior fior di autori tradizionalisti quali Evola, Guénon, Dumézil, Audry, Migliori, Anselmo e altri. Aggiungerò il mio modestissimo contributo facendo un po’ un sunto del significato più profondo e suggestivo dei colori della Tradizione indoeuropea, che peraltro trovano interessanti paralleli (casuali?) anche nel mondo arabo, in chiave nazional-sociale, e soprattutto nelle moderne bandiere nazionali europee dall’800 a questa parte.


Quanto sto per dire non suonerà certo nuovo alla maggioranza dei lettori di EreticaMente, ma val la pena riprendere le fila del discorso in un modo diretto e semplice come è nel mio stile, rivolto per lo più a chi è digiuno di nozioni identitarie e tradizionaliste oppure ha conoscenze a sprazzi dell’argomento. La base del discorso affonda le proprie radici nell’antichità pagana degli Ariani. La nota tripartizione funzionale del pantheon e della società indoeuropei è stata rappresentata dai nostri Padri anche mediante il cromatismo bianco-rosso-nero di cui stiamo parlando: al bianco corrisponde la funzione del sacro a cui sono preposti i sacerdoti, sotto l’egida della divinità massima padre della luce diurna e del cielo (ad esempio il Diespiter italico); al rosso la funzione della guerra relativa ai nobili guerrieri, a coloro che difendono la terra e il popolo in nome del dio della guerra (ad esempio il nostro Marte); al nero la funzione del lavoro, in ispecial modo della terra ossia l’ambito rurale, afferente alla base della società composta dai lavoratori e dai contadini, i produttori insomma (si pensi al romano Quirino, preposto alle arti liberali e al patronato delle curie).




Si hanno così il bianco della spiritualità e della luce, il rosso del sangue versato sui campi di battaglia, il nero del suolo ubertoso fecondato dal sudore del lavoro. Capita che al posto del nero si possano trovare il verde o il blu scuro coi medesimi significati, ed è interessante come tutti i popoli di origine indoeuropea dall’Irlanda all’India possano dirsi accomunati anche da questi cromatismi atavici che ritornavano mirabilmente nell’antica Roma, tra i Celti e i Germani, tra gli Slavi, e addentrandosi in Asia tra Iranici e Indo-Ari. Basterebbe pensare al sistema delle caste indiane introdotto proprio dagli invasori ariani per rendersene conto appieno, un sistema che riflette le stesse credenze religiose del pantheon tripartito di cui parlavo, talché per l’India ariana abbiamo Mitra/Varuna-Indra-Ashvin, per gli Italici Giove-Marte-Quirino, per i Germani Odino-Thor-Freyr e così via.

C’è anche un altro filone di cui tener conto, che è quello dell’ermetismo alchemico (connesso a quello ayurvedico?) studiato proprio da Evola, ovvero i tre gradi dell’Opera alchemica: nigredo, albedo, rubedo. Il nero corrisponde alla morte alchemica dei nostri istinti fisici più bassi e della nostra corruzione morale, il bianco alla purificazione, il rosso alla rinascita e all’azione “guerriera” e virile (mentre il bianco, lunare, è piuttosto passivo e femminile per così dire). Siamo in presenza di tre principi che vengono rappresentati dal corpo, dall’anima e dallo spirito e sono tre principi che sovente ricorrono nell’antico mondo degli Arya.

Così, in base agli echi del paganesimo e della gentilità indoeuropei e di quelli ermetico-alchemici della tradizione di cui ci parla Evola (la seduzione orientale delle individualità gentili più sensibili) ecco la riproposizione moderna del cromatismo identitario bianco-rosso-nero che da molti viene intravisto nelle bandiere degli stati-nazionali ottocenteschi ma volendo anche con alcuni riverberi nell’estremo Oriente del sol levante e tra gli Indiani d’America (Indiani d’America che, oltretutto, stando ai contemporanei studi genetici avrebbero in comune con noi Eurasiatici caucasoidi una fetta di genoma di antichissima origine siberiana giunta a noi proprio grazie agli Ariani delle steppe).

Francia, Italia (dal tricolore primigenio del 1797 a quello attuale, passando per il curioso tricolore a strisce orizzontali nero-bianco-rosso della Repubblica Romana), Irlanda, Germania imperiale, bandiere slave, Iran, India, Kurdistan, Tagikistan sono alcuni Paesi che hanno in comune bandiere ripartite in strisce orizzontali o verticali con i colori della Tradizione di cui sopra e che forse riflettono inconsciamente l’intramontabile ethos indoeuropeo giunto sino a noi eredi degli arii Padri. 


I cattolici, presi dalla loro solita fregola di sgraffignare e riadattare in termini cristiani, hanno fatto proprio un vessillo tradizionalista a strisce orizzontali in rosso-bianco-nero di fatto mutuandolo dalle idee paganeggianti dei moderni autori ma anche dalla storia medievale dei cavalieri che, durante le fasi dell’investitura, indossavano via via tre vesti di colore nero, bianco e rosso; questo si riconnette sia alla tradizione ariana che alla corrente magica dell’alchimia dove per l’appunto il nero rappresenta la morte di sé, il bianco la purificazione e il rosso il sacrificio sul campo di battaglia per difendere il proprio signore e la propria terra (ovviamente il rituale cavalleresco trae origine dal guerriero spirito germanico).

Come abbiamo visto, dunque, pur con delle sensibili differenze tra filone ariano e filone alchemico, il cromatismo bianco-rosso-nero ritorna prepotentemente in entrambi nella sistemazione moderna e contemporanea di antichissime credenze gentili (anche se, appunto, parassitate e distorte successivamente dai cristiani). 

Oggi, negli ambienti patriottici d’Italia, la bandiera indoeuropea della Tradizione ideata per accomunare spiritualmente tutte le genti indoeuropee appare come a strisce orizzontali in rosso-bianco-nero, seguendo un ordine metafisico che vede in cima il rosso dell’infuocato spirito solare maschile, in mezzo la lunare anima femminea della purificazione passiva e in basso il nero della fisicità corporea da cui si comincia la propria elevazione spirituale; sicché al rosso corrisponde lo spirito (cuore), al bianco l’anima (cervello), al rosso il corpo (i visceri, il ventre).

A seconda della chiave interpretativa di questa triade cromatica, l’ipotetica bandiera tradizionale pan-europea e/o pan-ariana può dunque apparire bianca-rossa-nera (filone sacrale ariano), rossa-bianca-nera (reinterpretazione identitaria di Evola), nera-bianca-rossa (filone ermetico-alchemico evoliano). 

Al dibattito contribuiscono, corroborando la straordinaria valenza etno-culturale di questa simbologia, le bandiere del secondo e terzo Reich anch’esse potentemente intrise di (inconsci?) rimandi tradizionali con tanto, nel caso della Germania nazionalsocialista, di ricupero del solare swastika e del binomio völkisch di Sangue e Suolo (da cui, a mio dire, lo Spirito). In questo senso assume ancor più autorità (anche per criteri estetici) la versione rosso-bianco-nero, che assurge a via di mezzo rimarcando il retaggio ariano, poiché tra il rosso del sangue nobile versato dai guerrieri e il nero del suolo patrio lavorato e fecondato dai contadini si colloca la luminosità uranica dello spirito della gentilità ariana, la cui valenza viene ulteriormente rafforzata da altri due epici simboli dell’Europa e della sua inimitabile epopea storica: l’aquila di Zeus-Giove, e della potenza romana, e la ruota solare infuocata che è alla base della virilità mistica e guerriera degli Ariani.

Ave Italia!



 Fonte: ereticamente.net 

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