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mercoledì 7 ottobre 2020

ALEXANDER DUGIN: un percorso verso l’Alleanza Euroasiatica

 

Nota personale:

Uno degli obbiettivi dei lupi bianchi è quello di creare un Europa iperborea che si estenda fino alla Russia, uniti in un patto di fratellanza invalicabile che dia benefici a tutti i popoli europei e porti all'antico splendore. 

Un Europa che si estende fino all'euroasia diverebbe invincibile, e infatti allora muoveremo guerra contro i nostri nemici interni ed esterni,e ci assicureremo che vengano sterminati fino all'ultima genia; liberando i popoli europei dalla tirannia degli usurai e i loro vili servi.

white wolf


 Lo stratega russo Alexander Dugin, uno degli esperti che ha plasmato la politica estera russa, ha affermato che “Russia, Turchia, Iran, Cina e altri paesi tra cui India, Pakistan e molti altri paesi arabi, paesi africani e la stessa Europa possono solo garantirsi una vera indipendenza creando una sorta di alleanza geopolitica eurasiatica ”. Dugin ha valutato le difficoltà del passaggio verso un nuovo ordine mondiale nell’intervista, pubblicata nel numero BRIQ autunno 2020.

 


Lo stratega russo Alexander Dugin ha sottolineato che la Belt and Road Initiative è diventata un’importante alternativa e un’opzione eurasiatica alla globalizzazione di marca anglo americana. Il dottor Dugin ha indicato nell’intervista con BRIQ:

“A poco a poco la Cina è giunta alla conclusione che la Russia sarà inclusa nella Belt & Road Initiative, rendendola un’iniziativa eurasiatica unitaria. Quindi, l’intero progetto ha iniziato a diventare una “strada eurasiatica”. “

 

Alexander Dugin

 

“In primo luogo, la Cina è diventata così potente, così indipendente, così sovrana che ha iniziato a rappresentare una nuova sfida per gli stessi globalisti, per l’Occidente. La Cina è diventata il secondo polo economico mondiale. Osservando la Cina diventare sempre più indipendente, una parte dell’élite globalista / occidentale ha iniziato a opporsi alla Cina.
Lo vediamo con Huawei, con la campagna di Trump per far uscire tutti i beni cinesi dagli Stati Uniti, con la chiusura reciproca dei consolati negli Stati Uniti e in Cina. Assistiamo alla guerra economica con la Cina. Questi cambiamenti hanno rimodellato la Belt & Road Initiative in un nuovo contesto geopolitico “.


“… Con la crescita della Cina e l’insistenza di Putin nel difendere e rafforzare la sovranità russa, la Belt & Road Initiative si è trasformata in qualcosa di nuovo negli ultimi due anni. Ora rappresenta una strategia per garantire l’indipendenza cinese e russa, lavorando insieme, in alleanza … Ora possiamo parlare dell’alleanza russo-cinese come un’alleanza geopolitica opposta all’ordine mondiale atlantista, alla sua unipolarità “.

LA DECOLONIZZAZIONE È APPENA INIZIATA

Il dottor Dugin ha sottolineato evidenziando come sia una necessità quella della cooperazione fra i paesi, presi di mira dai globalisti:

“Gli stati-nazione non possono stabilire, garantire e mantenere la sovranità reale in modo indipendente. Dobbiamo opporci insieme a questa pressione globale … In primo luogo, nella fase attuale, dobbiamo stabilire un’alleanza multipolare tra tutte le potenze, tutti gli stati, tutti i paesi e le civiltà che lottano per affermare la loro indipendenza … Questa è la logica continuazione della decolonizzazione. La decolonizzazione non è terminata; è appena iniziata. “

“Russia, Turchia, Iran, Cina e altri paesi tra cui India, Pakistan e molti altri paesi arabi, paesi africani e la stessa Europa possono assicurarsi una vera indipendenza solo creando una sorta di alleanza geopolitica eurasiatica.

 


LIBERATEVI DALLA PALUDE LIBERALE

“Dobbiamo liberare noi stessi, tutti i popoli, il popolo turco, il popolo russo, il popolo cinese, il popolo europeo, i popoli americani, da questa palude liberale internazionale. Dobbiamo liberarci dal discorso totalitario costruito sul dogma ‘autoevidente’ che solo il liberalismo può essere accettato come ideologia universale, che solo i valori occidentali dovrebbero essere assimilati come qualcosa di universale ”ha detto Dugin ed ha sostenuto:

“Dovremmo porre fine all’espansione della globalizzazione liberale occidentale e ridurre l’Occidente al suo spazio originario. Successivamente dovremmo iniziare la missione del Rinascimento, la ricostruzione e la riforma del nostro destino.
E da quel Rinascimento possiamo dedurre il necessario scontro tra civiltà rinate. Potrebbero prosperare e svilupparsi sulla base del dialogo, della cooperazione e del riconoscimento reciproco, senza necessariamente favorire il conflitto.

Esiste un unico e vero scontro di civiltà che è inevitabile: lo scontro dell’umanità e questo Occidente aggressivo, oggi liberale ma sempre razzista “.

 

 

Una elite di degenerati criminali e pedofili che si ergono sopra i popoli con il ricatto e l'inganno;  tenendo l'umanità in una stretta di miseria e schiavitù, non permettendo di evolversi verso i piani alti della coscienza, che rappresenta lo scopo principale dell'essere umano.  Nella foto si può notare accumulo di grumi di sangue sul volto di questi personaggi, dovuto all'abuso di adrenocromo, sostanza che viene ricavata dal sangue di persone sacrificate in rituali che hanno lo scopo di terrorizzare la vittima per fare rilasciare nel sangue tali sostanze, per poi bere il sangue della vittima (spesso bambini) , convinti che possano avere poteri e benefici da talipratiche. Il segreto più orrendo delle elite criminali sta divenendo pubblico, perchè la loro fine è gia cominciata.

 

( Fonte: https://briqjournal.com/en/russian-strategist-dr-alexander-dugin-the-belt-and-road-initiative-a-eurasian-road/ )

 

Traduzione e sintesi: Luciano Lago di:controinformazione.info

12 commenti:

  1. La Cina comunista è un impero iperglobalista al pari del impero capitalista anglo-sionista Atlantico
    La Russia è un ibrido saltellante, che a malapena riesce a difendere la sua identità; infatti la sua resistenza è in rapporto al suo deterrente nucleare, e alla buona politica di Putin, ma la società russa, al pari di tutte le altre realtà mondiali, anche se in maniera più lenta, è affetta dagli stessi mali modernisti.
    Per l'Europa l'analisi è un pò peculiare, infatti, a differenza della Russia, noi europei siamo annichiliti,e completamente
    omologati alle strategie sioniste atlantiche. In una sorta di ruolo ancillare regressivo, architettato da secoli da sion, e che ha avuto una notevole accelerata durante, e dopo il secondo conflitto mondiale.
    Qualcuno mi potrá rinfacciare di essere pessimista e disarmante, ma io rispondo: si dal punto di vista superficiale e materialistico, ma no dalle profondità della lungimiranza spirituale, che poi è la vera sostanza che muove tutto.
    Tutto ciò che accade, oggi, e nel passato, e in futuro, produce effetti karmici tangibili.
    Chi umanamente può contrapporsi, siamo sinceri, a un tale Golem di chiara matrice sionista, che agisce con forze smisurate e preponderanti in tutti i settori
    Tenete a mente che il nemico della luce ha costruito nei vari secoli delle reti e intrecci pseudo- religiosi, filosofici ed intellettuali, così potenti e pervasivi da conquistare il mondo intero: esempi sono le religioni cosiddette abramitiche( cristianesimo, islamismo) che hanno innestato il veleno israelitico in quasi tutto il mondo, con effetti nefasti.
    Creando di conseguenza quella enorme forma pensiero a tridente: ebraismo, cristianesimo ed Islam .
    Noi Lupi Bianchi, conosciamo tutte le loro trame occulte da secoli, e da generazione a generazione miniamo ogni loro proposito, affinché la loro fine sia determinata dalle loro azioni, noi operiamo incessantemente nella oscurità che loro stessi hanno prodotto, non possono notarci, non ci possono anticipare: noi anticipiamo loro.
    Come voraci roditori distruggiamo tutto quello che costruiscono. Come lupi predatori continuamente gli soffiamo il terrore alle spalle.
    Noi siamo pronti ad affondare le nostre affilate zane nei loro pingui colli, una cosa è certa: li annienteremo, non ne rimarrá radice sulla terra.
    Quando questo accadrà una nuova età dell'oro fiorirà.
    Noi Lupi Bianchi siamo l' avanguardia della luce cosmica, guerrieri della verità e della giustizia cosmica, scintille del Grande Sole Cosmico e detentori della grande scure cosmica che è scesa finalmente sulla terra per cambiare i paradigmi.
    AlbalupusMCMLX

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  2. Ma avete notato che non si sente parlare più della Cina dopo che l'epidemia era partita da lì? Se andate a ripercorrere la timeline vedrete che quasi subito il posto di paese più infettato e il problema di 'untore' del mondo lo aveva assunto l'Italia addirittura con caso di 'contagio di ritorno' cioè italiani che infetti arrivavano in Cina e venivano messi in quarantena. C'è da domandarsi come mai l'Italia è diventata centrale in tutto questo, lasciando stare gli Usa dove ci sono le elezioni ed è praticamente territorio di guerra per spodestare Trump, forse per chi vuole capirci qualcosa deve fare un passo indietro e ritornare all'accordo siglato nel marzo del 2019 con la venuta del Presidente cinese in Italia per il Memorandum di Intesa della
    Belt & Road Initiative (BRI), cosa non da poco perché l'Italia è stata la prima la prima delle grandi economie mondiali a firmare un MoU — un Memorandum of Understanding — con la Cina per la Belt and Road Initiative.

    Il mega progetto cosi ambizioso per venire per forza di cose ridimensionato, lanciato da Xi subito dopo la sua nomina a Segretario Generale del PCC, e quindi a Presidente della RPC, è noto come One Belt One Road (OBOR) o Belt and Road Initiative (BRI). Esso è focalizzato sulla “connettività” e sulla cooperazione tra la Cina e gli altri paesi eurasiatici (Africa compresa), attraverso una “Doppia Via della Seta”: una terrestre (New Silk Road Economic Belt), e una marittima (New Maritime Silk Road)


    La Belt and Road Initiative, attraverso la quale la Cina punta ad abbracciare tutto il mondo in un’unica “cintura”, aumentando la propria presenza nel Mediterraneo fino ad arrivare all’Artico, rotta ritenuta da Pechino indispensabile per poter raggiungere il Centro e Nord Europa. Durante il Forum per la cooperazione internazionale della BRI, svoltosi a Pechino nel maggio 2017, Xi Jinping ha reso noti i dettagli di un progetto che, in quel momento, coinvolgeva 65 paesi interconnessi tra di loro, che rappresentano il 70% della popolazione mondiale, e prevedeva un budget complessivo tra i 1000 e i 1400 miliardi di dollari e un volume di merci scambiate pari a 913 miliardi.


    Questa iniziativa è fortemente voluta dal Presidente Xi che considera determinante per i suoi progetti della Cina leader futura del Mondo.
    La Belt & Road Initiative (Bri) è progetto di sviluppo eurasiatico lanciato dal Presidente Xi Jinping alla fine del 2013, è l’espressione più chiara del modo in cui da sempre la Repubblica popolare cinese e la sua leadership guardano al resto del mondo.

    Sin dalla fondazione della Cina popolare, Mao interpretò i fenomeni globali, come il socialismo e il sistema bipolare della Guerra fredda, dal punto di vista degli interessi e delle ambizioni del proprio paese: sinizzò il marxismo-leninismo, adattandone il software all’hardware cinese, e creò tra i blocchi egemoni delle superpotenze lo spazio per una terza zona – allora detta “intermedia” – dove la Cina potesse essere al contempo indipendente e protagonista.

    Era già una visione multipolare. Che poggiava su una strategia mirante al ritorno della Cina al centro del mondo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, il nemico della “zona intermedia” era identificato da Mao in Washington e nel capitalismo; alla fine degli anni Sessanta nel “social-imperialismo” egemonico di Mosca. Con l’avvento della riforma economica denghista e la sostituzione del radicalismo rivoluzionario maoista con il binomio “pace e sviluppo”, la zona intermedia fu identificata con l’area bisognosa di emancipazione economica, il Terzo mondo, oppresso e sfruttato dai paesi più ricchi. Erano gli anni Ottanta, la Guerra fredda e le sue ideologie iniziavano a tramontare e lo sviluppo economico e le riforme che lo alimentavano divennero il nuovo obiettivo della rivoluzione.

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  3. Negli anni Novanta, con la progressiva integrazione della Cina nel sistema economico globale, culminata nell’ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio, la “zona intermedia” si integrava con il resto del mondo. È il momento in cui si afferma la teoria dello “sviluppo pacifico”, che
    si fondava sull’idea rassicurante che lo sviluppo economico cinese fosse al contempo alimento e frutto della globalizzazione e delle sue interdipendenze. Oggi come dice l’ultimo rapporto del National Intelligence Council, l’èra del dominio globale americano sta per concludersi e, di riflesso, anche l’ordine internazionale emerso dalla seconda guerra mondiale sembra destinato a trasformarsi.
    La Cina ne prende atto e la BRI è la globalizzazione 2.0: la globalizzazione “con caratteristiche cinesi”.


    Come ha scritto l’ex Vice-ministro degli esteri cinese He Yafei, la globalizzazione neoliberista sta ormai per essere travolta dalla marea del populismo, la reazione dei popoli alle dolorose diseguaglianze e alle crescenti dicotomie (di marxiana memoria) tra capitale e lavoro prodotte dalla governance occidentale. Il modello cinese, sia politico che economico, si è dimostrato invece, secondo il diplomatico cinese, molto più tenace, più adatto a resistere alla crisi economica e più efficace per ridurre la povertà e sostenere lo sviluppo. Sarà dunque la Cina, sostiene He Yafei, con il suo modello vincente, e un nuovo paradigma più inclusivo ed equilibrato, a guidare la nuova globalizzazione.

    La Bri è la proiezione più evidente di questa nuova versione di paternalismo globalista cinese. Come dice lo stesso preambolo del suo “statuto” ufficiale, presentato nel marzo del 2015 dal governo cinese, la Bri è infatti un “impegno solenne di cui beneficeranno tutti i popoli del pianeta”. È il ritorno del Tianxia (天下, “all under heaven”), la tradizionale visione cinese dell’ordine mondiale orientata verso un sistema di governance “cosmopolita” che trascende confini nazionali e geografici.

    Questo concetto sta tornando di recente in auge a Pechino grazie alle pubblicazioni di Zhao Tingyang, star del dipartimento di filosofia dell’Accademia delle scienze sociali. Il mondo, dice Zhao, non è ancora diventato un’entità organica, ma vive ancora in uno stato hobbesiano di conflitto perenne. È dunque imperativo creare un sistema istituzionalizzato che promuova il benessere universale e non solo quello delle nazioni più forti. E la Cina, grazie alla propria tradizione del Tianxia, possiederebbe la ricetta ideale per realizzarlo. In realtà, rileva William Callahan, più che un ordine post-egemonico il Tianxia di Zhao sembra essere un aggiornamento dell’egemonia imperiale cinese fondato sul ridimensionamento dei confini concettuali tra le nozioni di impero, globalizzazione, nazionalismo e spirito cosmopolita.

    Con il suo recente intervento al forum di Davos Xi Jinping ha dato il battesimo ufficiale a questa nuova vocazione globale di Pechino, di cui la Bri è la perfetta incarnazione in quanto primo vero disegno di ordine globale sinocentrico mai proposto dalla Repubblica popolare. La tensione sinocentrica anima da sempre lo sguardo della Cina sul mondo, ma solo oggi, con il tramonto delle potenze egemoniche tradizionali e la nuova forza accumulata dal paese, si aprono spazi per la traduzione di questa tensione in un disegno organico e strutturato, in una nuova gerarchia globale con al centro Pechino.

    La Bri non è dunque solo un’iniziativa diplomatica, seppur la più importante proposta sino ad oggi dal Presidente Xi, ma è anche e soprattutto una strategia di proiezione esterna mirante alla realizzazione del più ampio progetto inscritto nel “Sogno cinese” (Zhongguo meng, 中国梦): il rinascimento della nazione cinese e la trasformazione del paese in una società “moderatamente prospera” entro il 2021 – centenario della costituzione del Partito comunista cinese – e in un paese “forte e ricco” entro il 2049 – a cento anni dalla fondazione della Rpc.

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  4. Made in China 2025

    In quanto parte della complessa strategia per la realizzazione del “Sogno cinese”, la Bri è organicamente legata al progetto “Made in China 2025” ideato per la trasformazione del paese nel futuro leader della nuova rivoluzione industriale 4.0.

    Quest’ultima è incentrata sullo sviluppo dello “smart manufacturing” attraverso la sostituzione delle tecnologie straniere con tecnologie autoctone prima nel mercato interno e poi progressivamente anche su quello internazionale.

    Ecco quindi, in sintesi, la strada per la realizzazione del “Sogno cinese”: annientare la competizione straniera nei settori tecnologici e nei network produttivi di punta in Cina attraverso acquisizioni di aziende strategiche all’estero, trasferimenti tecnologici e investimenti massicci nella ricerca, e, allo stesso tempo, grazie agli strumenti politici e istituzionali sviluppati nella cornice della Bri, riorganizzare le catene globali del valore (global value chains) in modo da poter modellare il funzionamento dell’economia globale.

    La Bri è dunque presentata come progetto mirante a una più efficiente integrazione tra economie apparentemente complementari. Tuttavia, come fa notare Bruno Maçães, quando si parla di divisione del lavoro lungo le catene del valore della produzione industriale, le scelte che riflettono gli interessi nazionali dei paesi nella regione compresa dalla Bri possono divergere e persino collidere. In questi casi non c’è dubbio che la Cina si trovi in una posizione privilegiata, in quanto promotrice dell’iniziativa, per il raggiungimento dei propri interessi.

    È interessante tuttavia notare come l’enfasi paternalista che connota il marketing della Bri, e che tende a far leva sul mutuo beneficio per i paesi coinvolti e sugli aspetti “win-win” della cooperazione, conviva spesso – specie nelle pubblicazioni più tecniche sul tema – con un accento sull’“eccezionalismo cinese”, che riflette la visione sinocentrica insita nel concetto di Tianxia.

    Zhang Hongli Vice-presidente della Industrial Construction Bank of China (ICBC) – ex responsabile Asia-Pacifico della Deutsche Bank e primo executive di banca straniera a essere ammesso nella leadership di una della quattro grandi banche commerciali statali – ha scritto uno degli articoli più interessanti in proposito. Zhang afferma chiaramente che la Bri deve servire alla promozione degli interessi nazionali cinesi, al ridimensionamento dell’influenza occidentale e alla creazione di un sistema economico regionale fondato sul modello cinese.

    È la finanza, secondo Zhang, l’arma più importante per il raggiungimento di questi obiettivi.

    La finanza cinese, sostiene l’autore, può e deve giocare un ruolo-chiave per lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi utili al commercio. Le banche commerciali della Repubblica popolare devono avere un ruolo di avanguardia, come “soldati in prima linea”, e impegnarsi a promuovere lo sviluppo dei paesi della regione e rafforzare la presenza della Cina attraverso l’internazionalizzazione del renminbi. Secondo Zhang, la Bri deve fondarsi su un approccio dall’alto verso il basso (top-down design) che comprende due corollari strategici e sei cosiddette “combinazioni”.





    I due corollari strategici sono: 1) mantenere la mentalità da grande potenza promuovendo i valori cinesi all’interno delle istituzioni, dei progetti e dei regolamenti della Bri, e scegliere sempre ciò che più si addice agli interessi nazionali cinesi, evitando di importare dall’esterno le cosiddette “best practices” occidentali; 2) concepire la Bri sempre dal punto di vista della “grande sicurezza”, evitando ogni danno potenziale agli interessi nazionali e prevenendo ogni minaccia politica ed economica alle istituzioni finanziarie cinesi.



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  5. La strategia va poi attuata attraverso sei “combinazioni: 1) investire all’estero ma allo stesso tempo indurre le società dell’area Bri a partecipare al mercato cinese; 2) cercare di dare supporto finanziario ai paesi della Bri per favorirne lo sviluppo in modo da ricevere in seguito il loro appoggio e la loro amicizia; 3) combinare sempre sviluppo e sicurezza e assicurarsi che lo sviluppo non sia messo a repentaglio da alcun rischio; 4) promuovere il legame tra l’economia reale dei paesi Bri e il potere finanziario cinese in modo da favorire il controllo finanziario e l’influenza politica della Cina nella regione; 5) mantenere saldo e coerente il legame tra i livelli macro e micro del progetto e assicurarsi che gli obiettivi più importanti siano raggiunti attraverso l’implementazione di misure specifiche a livello più basso; 6) restare sempre flessibili: mentre si costruirà un sistema d’interdipendenza finanziaria tra la Cina e i paesi della Bri, sarà necessario avere strategie che si adattino ai diversi paesi e costruire allo stesso tempo sistemi di valutazione del rischio per sventare crisi potenzialmente dannose per gli interessi cinesi nell’area.Per proteggere gli investimenti cinesi, conclude Zhang, è essenziale un approccio sistemico alla sicurezza che combini accordi bilaterali e multilaterali in cui gli aspetti commerciali e quelli legati alla sicurezza siano trattati in maniera integrata. Nello specifico, l’obiettivo è la modernizzazione delle infrastrutture IT tramite i big data per massimizzare le capacità di valutazione e gestione del rischio e lo sviluppo di società private di contractors militari, simili a quelle americane come Blackwater.

    L’analisi di Zhang è già di per sé sorprendente per la capacità di proporre un approccio olistico alla Bri. Ma non meno sorprendente è il profilo stesso dell’autore. È difficile, infatti, immaginare un Vice-presidente di un’istituzione finanziaria italiana o europea che rediga un articolo del genere. Che invece ciò sia ritenuto normale in Cina deve far riflettere. La Cina oggi pensa in grande: pensa al mondo, a un mondo con al centro la Cina. E la Bri è, come detto, la proiezione più chiara di questo nuovo globalismo sinocentrico, il primo tentativo, secondo Fukuyama, di proselitismo politico-economico cinese nel mondo. La dimensione di questo tentativo ne rivela l’ambizione: la Bri è il progetto di politica industriale transnazionale più ambizioso mai concepito nella storia; neppure l’Unione europea dei tempi migliori avrebbe osato tanto. Probabilmente, come sostengono in molti, il progetto è sin troppo ambizioso e, se si vuole che funzioni, lo si dovrà ridimensionare, com’è probabile che accada.

    Ciò non toglie che la Bri miri a rivoluzionare la geografia economica esistente rivedendo la posizione dei suoi centri e delle sue periferie.

    Gli esiti delle recenti trasformazioni politiche in Europa e negli Stati Uniti determineranno dunque i confini della Bri e il successo della nuova globalizzazione ispirata da Pechino.



    Da marzo del 2018, il suo mandato è senza limiti temporali. Il Segretario ha ottenuto con schiacciante maggioranza la possibilità di eliminare la regola dei due mandati, assicurandosi potenzialmente una posizione di controllo fino alla morte.
    Il suo pensiero è stato inserito nella costituzione dello Stato e del Partito. Un onore che in pochi hanno avuto in precedenza, ha ottenuto il privilegio di avere il suo pensiero economico aggiunto alla Costituzione del paese, il terzo a riuscirci dopo Mao e Deng.
    Il suo contributo che è stato sintetizzato brevemente nel “Pensiero di Xi Jinping” parla di un “socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova Era”. Un altro termine che ricorre spesso è quello del “Chinese Dream”, che risponde al sogno americano e si basa anche sulla creazione del cosiddetto soft-power . Ha più volte rimarcato la necessità di fornire un’alternativa al futuro americano e occidentale.



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  6. Questa visione è spesso definita il “sogno cinese”, il Chinese Dream In particolare, sono due le grandi iniziative che il governo cinese sta promuovendo nello scenario mondiale per realizzare il sogno di Xi Jinping. La prima è la corsa per l’Africa, dove i cinesi investono fortemente, spesso a credito, ottenendo enormi concessioni nel caso in cui il debito non sia ripagato, come nel celebre caso del porto di Hambantota, Sri Lanka. La seconda è la celebre One Belt One Road, di cui ha parlato per la prima volta alla Nazarbayev university nel 2013.
    un grande supporter europeo delle iniziative cinesi nel mondo sembra essere proprio l’Italia, che è stata più volte criticata dai paesi occidentali per le eccessive concessioni al governo di Pechino

    Dai tempi di Deng Xiaoping (e forse dai tempi di Mao Zedong), nessun leader cinese ha mai inaugurato un Congresso nazionale (il 19mo Congresso del Pcc) con un così grande potere. Al punto che il diciannovesimo Congresso del Partito comunista cinese è più una incoronazione che una transizione istituzionale verso il secondo mandato.
    Ma la concentrazione del potere nelle sue mani ha consentito a Xi di prendere decisioni impensabili per i suoi predecessori. Uno degli slogan preferiti di Xi è “sogno cinese” , la Cina progetta di diventare una società “moderatamente prospera” per il 2020, un paese socialista moderno per il 2035 ed un paese potente per il 2050. Molte delle realizzazioni di Xi e dei suoi piani per il futuro sono puntellati da una visione ideale: il declino della Cina che dura da 200 anni sta per finire, e la sua missione è quella di guidare una Cina severamente disciplinata di nuovo al centro della scena mondiale. Insomma, mentre Mao ha promosso la lotta di classe e Deng Xiaoping ha abbracciato un capitalismo pragmatico, la visione di Xi del ruolo del partito è centrata sul ripristino della grandezza della Cina, quella che chiama il “sogno cinese”, e attinge sia alla fervente dedizione dell’era di Mao, sia alle glorie della cultura tradizionale cinese che Mao ha cercato di distruggere. In pratica, si è tradotto in una campagna per imporre una più stretta disciplina nei ranghi del partito e repressione politica al di fuori del partito, compresa una più rigida censura sui media, inclusa Internet.
    Se Xi avrà successo, la sua Cina potrebbe diventare un modello per i regimi autoritari “digitali” in giro per il mondo. Il suo fallimento potrebbe portare a riconsiderare se sia saggio cercare di condurre, a tappe forzate, un paese verso la modernità.

    Nel suo discorso al congresso del Pcc, Xi ha parlato della Cina come di una “Potenza Mondiale”, che deve comportarsi come tale. Ora dopo anni in cui ha giocato un ruolo passivo negli affari mondiali, la Cina ha assunto un approccio più energico.
    La Cina ha cominciato ad attrarre nella sua orbita i piccoli paesi della sua periferia attraverso un ambizioso piano infrastrutturale denominato “One Belt, One Road Initiative”, puntellando i regimi che si stanno allontanando dalla democrazia in Thailandia, Birmania, Cambogia. In questo modo, la Cina sta diventando rapidamente l’impero commerciale più esteso al mondo. Per capirci, il piano Marshall, dopo la seconda guerra mondiale, ha fornito l’equivalente di 800 miliardi di dollari (attuali) in fondi per la ricostruzione dell’Europa. Ora la portata della “Belt and Road Initiative” è sbalorditiva. Le stime variano, ma più di 300 miliardi di dollari sono già stati spesi e la Cina programma di spendere altri 1.000 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni. Un esempio: la città pakistana di Gwadar non era che uno sperduto villaggio di pescatori. Ora è uno dei pezzi forti della “Belt and Road Initiative” e Cina e Pakistan vogliono farla diventare una nuova Dubai in grado di ospitare 2 milioni di persone.


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  7. Inoltre, già nel 2015 la Cina è diventata il più importante partner commerciale di 92 paesi (gli Stati Uniti lo sono di 52). E quel che più impressiona è la velocità con la quale ha raggiunto questi risultati. Negli anni ‘80 e ‘90 la Cina era il principale destinatario dei prestiti della Word Bank e della Asia Development Bank. Ora la Cina presta da sola ai paesi in via di sviluppo più di quanto riesca a fare la World Bank. Se la spinta geopolitica della Cina dovesse continuare, avrà un profondo impatto sul mondo, e non necessariamente negativo.
    Se la “One Road, One Belt Initiative” avrà successo, la logistica correrà più veloce e paesi che erano tagliati fuori dai mercati mondiali saranno capaci di commerciare di più. Xi a Davos e nelle visite negli Usa nel 2015 e 2017 ha detto di volere un sistema internazionale più equo, ma non vuole distruggere l’ordine internazionale. . Lo scenario trionfante del Congresso non deve trarre in inganno: Xi resta guidato dalla paura che il governo comunista possa collassare in Cina così come è accaduto in Unione Sovietica, a meno che il partito non riesca a mantenere un saldo controllo su una società sempre più ricca e più diversa, che ora comprende più di un terzo dei miliardari del mondo. Per fare questo, Xi ha stretto il controllo sui possibili centri alternativi di potere, compresi quelli dei miliardari e dei loro affari, Internet, le forze armate, e le altre articolazioni del potere statale e gli altri 89 milioni di iscritti al partito.


    Xi è uno dei Taizi, i cosiddetti “principini” perché figli o nipoti degli eroi della “Lunga Marcia” e della lotta rivoluzionaria contro il Giappone e il Kuomintang: questo gruppo è scarsamente coeso ma viene in genere visto in posizione intermedia tra il il gruppo dei Tuanpai (molti ex membri della “lega dei giovani comunisti”) e la “cricca di Shanghai” (Shanghai bang), che invece hanno chiare coloriture politiche (statalista il primo e liberista il secondo). Sotto questo aspetto, nel confronto con i due gruppi, Xi sembra particolarmente attento a dosare “caso per caso” elementi del confucianesimo ideazionistico o rivoluzionario di Mao (che a sua volta si rifà al pensiero di Wang Yangmin, un filosofo neo-confuciano del XVI secolo, molto caro anche ai “restaurazionisti” giapponesi che nel 1868 posero fine al secolare governo samuraico degli shogun)
    con elementi del confucianesimo conservatore di Deng, che perpetua invece la corrente di Zhu Xi, largamente dominante negli ultimi nove secoli. Questa posizione mediana tra fazioni politiche e tradizioni di pensiero è ben espressa dalla definizione che è stata data delle politiche della Quinta generazione: economicamente liberali e politicamente statalista. Il politologo LI Chen individua nel “gioco delle fazioni” all’interno del PCC il fattore dinamico del sistema politico della Cina, proprio come avviene in Giappone. Li, in un noto saggio del 2008 individuava due “coalizioni” all’interno del PCC, entrambe potenti. Da una parte, la coalizione degli “elitisti”, comprendente oltre ai Taizi un gruppo di politici originari della ricca Cina costiera e in particolare di Shanghai, che da tempo è un vero e proprio laboratorio politico: questo gruppo è particolarmente interessato alla crescita economica e alla funzionalità del mercato. In posizione opposta vi sono i “populisti”, il cui nucleo è costituito dal gruppo dei Tuanpai, che sono invece attenti alle disuguaglianze sociali e più in generale all’armonia sociale. La Quarta Generazione, rappresentata dal Presidente Hu Jintao, era espressione di questa fazione politica.



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  8. Dal punto di vista strettamente politico, l’obiettivo di Xi è quello di rinsaldare il sistema politico centrato sul Partito Comunista evitando “l’affondamento di tipo sovietico”, già rischiato ante-litteram ai tempi della protesta di Tiananmen nella primavera del 1989 (peraltro mentre era in visita ufficiale a Pechino Gorbacev). In altre parole, evitare che la Cina faccia la fine della Russia di Boris Yeltsin, il quale, aiutato sottobanco dagli americani (accecati dalla possibilità di creare un mondo “unipolare”), per accelerare la transizione verso l'economia di mercato e un sistema democratico di tipo occidentale abbandonò la traiettoria “prudente” ma efficace intrapresa coraggiosamente da Gorbacev (proprio sul modello di Deng), portando alla distruzione del Partito e alla dissoluzione della stessa Unione Sovietica e allo “scellerato” ultimo decennio del XX secolo con l’ascesa degli “oligarchi”.


    Come fece Deng ai tempi di Tiananmen, per evitare un eventuale “affondamento”, ora Xi sta usando la mano pesante, facendo ricorso soprattutto a tre strumenti: 1) un rafforzamento del controllo politico sul Partito, sulle università, sui think-tank, sui social-media. 2) una vasta e dura campagna anti-corruzione, usata anche come strumento politico di regolamento di conti. 3) il consolidamento ideologico con l’attento dosaggio delle due tradizioni confuciane. Oggi la vulnerabilità geopolitica cinese è profondamente mutata: la minaccia viene dal mare - un tempo considerato una barriera sicura, insuperabile - ed è rappresentata dalla massiccia presenza della marina militare statunitense che, con i suoi alleati (in primo luogo il Giappone), è in grado di bloccare i porti e gli stretti. e quindi soffocare economicamente la Cina. La risposta di Xi a questa minaccia è duplice. La prima è un mutamento della geopolitica cinese, che da continentalistica oggi è chiaramente navalista. La seconda è un tentativo di dare una veste “sino-centrica” ad un ordine euroasiatico. Di questo tentativo il progetto della Nuova Via della Seta è una manifestazione fin troppo evidente.


    È fin troppo ovvio che questa iniziativa va al di là di connessioni fisiche, anche se fino ad oggi è la costruzione di infrastrutture quella privilegiata. In realtà, alla base di questo progetto c’è una nuova nozione geografica solo recentemente teorizzatata dal un noto politologo indiano, Parag Khanna, con l’ultimo volume della sua celebre trilogia (Connectography, le mappe de futuro ordine mondiale, Fazi, 2016), con cui si proietta il sofisticato “mondo della connettività” in graduale sostituzione del vecchio “mondo del limes”. Quel che va sottolineato è che il progetto OBOR/BRI è stato lanciato ufficialmente nel 2013, quindi ben tre anni prima della teorizzazione fattane dal politologo indiano.

    Xi ha un “sogno” che è una sofisticata combinazione di mito e di utopia. Vale a dire, da una parte l’immagine del grande passato dell’Impero del Centro, segnatamente dell’Ordine Internazionale Sinocetrico, definita da Luciano Peteck (uno dei grandi orientalisti europei del secolo scorso) una delle più straordinarie invenzioni istituzionali della Cina insieme alla “burocrazia celeste”. L’ordine sinocentrico per secoli – finché non fu spazzato via dal sistema westfaliano imposto dalle potenze imperialistiche europee - ha rappresentato nell’Asia Orientale e in parte dell’Asia Meridionale l’intelaiatura del commercio regionale: una vera e propria “zona commerciale” avente l’argento come valuta e i prezzi fissati con riferimento a quelli praticati in Cina. Recenti studi tendono a vedere questo sistema internazionale di relazioni internazionali,

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  9. centrato sulla Cina e basato sull’istituto del “tributo al Figlio del Cielo” (l’Imperatore cinese), come una sorta di antenato dell’Unione Europea. Ovviamente con le dovute differenze, in particolare con una struttura acefala e aperta (inclusiva) in quanto il “tributo”, di fatto, era essenzialmente un atto formale. Ma il sogno di Xi ha anche un forte elemento utopico: l’immagine del futuro, che di per sé è inconoscibile ma, come affermava il filosofo francese Maurice Blondel, si può cercare di costruirlo per evitare di essere passivi spettatori o rimanerne vittime. A questo fine è utile creare prospettive e non basarsi sulle semplici proiezioni.
    Al contrario delle proiezioni , le prospettive mettono in evidenza le sfide quando si è ancora in tempo di intervenire; e ciò è vitale in un periodo come quello in cui viviamo, segnato da mutamenti che stanno drammaticamente accorciando il tempo, rimpicciolendo lo spazio e digitalizzando la nostra esistenza.

    Più in generale, possiamo dire che la prospettiva geopolitica di Xi, di cui OBOR/BRI è la maggiore manifestazione fattuale, mira alla costruzione di un nuovo ordine in cui le antiche Grandi Muraglie, i confini e nuovi muri (retaggio quest’ultimi del sistema westfaliano) vanno gradualmente rimpiazzati con “connessioni materiali e immateriali tra i popoli”, come ferrovie, porti e aeroporti, gasdotti e hubs, supply chain e reti informatiche.

    Il sogno del Presidente Xi è un mondo globalizzato ma regolamentato e possibilmente "sinocentrico", che tende a organizzarsi non più su una logica territoriale (westfaliana, basata sulla sovranità degli Stati), ma su reti mondiali che implicano il graduale superamento del principio westfaliano della Domestic Jurisdiction, ovvero della non ingerenza negli affari interni di un altro stato, principio di cui la Cina finora è stata uno strenuo difensore


    '' Nel marzo 2019 il presidente cinese Xi Jinping effettuava la sua prima visita ufficiale in Italia. In quell’occasione Roma si impegnò a firmare il Memorandum d’Intesa sulla Nuova Via della Seta. Non solo: in quei giorni concitati veniva abbozzato un accordo sanitario con la Cina in seguito perfezionato e bollinato nel novembre 2019, poco prima del viaggio oltre Muraglia del premier Giuseppe Conte.

    Di che cosa si trattava? Niente meno che di una sorta di patto in merito alla cooperazione sulle pandemie. Il quotidiano La Verità, oltre a sottolineare il curioso accordo, fa luce sulla tempistica dell’avvenimento. Lo scorso novembre non era un mese qualunque. Stiamo parlando di un periodo delicatissimo, ovvero poche settimane prima dell’esplosione dell’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia di Covid. Non solo: in quello stesso mese, secondo alcune fonti, a Wuhan, capoluogo della provincia cinese dello Hubei, nonché primo epicentro globale dell’epidemia, sarebbero già stati intercettati i primi pazienti infetti.


    Se diamo uno sguardo al contenuto del documento citato, notiamo come Italia e Cina avessero stabilito una stretta collaborazione in materia di prevenzione, diagnosi e perfino trattamento delle malattie infettive. In più, si faceva espressamente riferimento a risposte inerenti a “emergenze di salute pubblica”. Tutto questo, ricordiamolo, a poche settimane dallo scoppio della pandemia.


    Nel patto si parla anche degli interventi che dovrebbero essere adottati in caso di pandemia. Ovvero: quali atteggiamenti individuali adottare, quali comportamenti prediligere e come gestire la popolazione. Ricordiamo che nei giorni in cui fu firmato l’accordo, il nuovo coronavirus doveva ancora uscire dall’ombra, e che nessuno si sarebbe mai aspettato un disastro sanitario simile. Insomma, una coincidenza alquanto sinistra.

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  10. In ogni caso il Ministero della Salute ha confermato l’esistenza dell’accordo, spiegando, sempre a La Verità, che quel patto “interessava soprattutto ai cinesi” e che “erano loro a insistere”. Il Piano d’azione 2019-2021 in ambito sanitario, questo il nome dell’intesa, ha preso definitivamente vita l’8 novembre 2019. Diamo ancora uno sguardo al calendario: il primo paziente cinese sarebbe stato ricoverato il 17 novembre.

    Tornando alla cooperazione sanitaria tra Roma e Pechino, stiamo parlando di un qualcosa di inedito visto che fino a quel momento era la Francia a fare la voce grossa. È infatti Parigi che fin lì aveva sempre addestrato i ricercatori cinesi nei laboratori ad alto rischio, tanto per fare un esempio. Perché il Dragone ha scelto di coinvolgere l’Italia? Il dubbio resta, anche se forse la curiosa tempistica potrebbe essere soltanto una coincidenza


    La collaborazione sanitaria tra Italia e Cina è triennale e riguarda cinque aree: oncologia, malattie cardiovascolari, cure primarie, medicina generale e risorse umane. Sono previsti scambi di esperienze e informazioni, ma anche studi e seminari vari. Vale la pena soffermarsi su un’area particolare, quella relativa alle malattie infettive. Gli obiettivi prefissati dai due Paesi, tra le altre cose, puntano a “sviluppare e sostenere strategie di prevenzione, politiche e azioni per contrastare l’esposizione agli agenti eziologici, i comportamenti e atteggiamenti individuali e della popolazione generale relativi alla trasmissione delle infezioni”.

    Si parla inoltre di misure di prevenzione e vulnerabilità del sistema di risposta alle emergenze infettive. Ma, insomma, perché è nata questa cooperazione sanitaria con la Cina? Il Ministero della Salute ha spiegato che in quel periodo, pre Covid, il governo cinese stava per avviare la riforma del proprio sistema sanitario e considerava il nostro come un modello. In merito a questo c’è addirittura chi ritiene che i medici inviati da Pechino in piena pandemia potessero essere esponenti collegati ai servizi di intelligence. La loro missione? Secondo alcuni, carpire i segreti del sistema sanitario italiano, compresi i punti deboli. Altro particolare: nel maggio 2019, poco dopo la visita di Conte in Cina, il cadavere di un agente dell’Aisi è stato ritrovato a Parigi. Uno 007 morto ufficialmente per infarto. ''



    https://m.tio.ch/dal-mondo/cronaca/1367849/parigi-trovato-morto-un-agente-dei-servizi-segreti-italiani


    https://it.insideover.com/politica/il-mistero-del-patto-sanitario-firmato-da-italia-e-cina-prima-della-pandemia.html



    '' La battaglia intorno al famoso 5G di Huawei, rappresenta solo la punta dell’iceberg di un progetto ancora più ampio. Negli ultimi sette anni i fondi investiti da Pechino in questo settore sono andati aumentando per una spesa complessiva di 17 miliardi. Sette sono stati erogati sotto forma di prestiti o investimenti diretti nel settore della fibra ottica, 10 per accordi legati al settore dell’e-commerce e dei pagamenti mobile. Altri centinaia di milioni sono invece stati spesi per progetti legati a smart cites, data center e centri di ricerca.

    Gli obiettivi cinesi, in questo senso, sono almeno tre: fare della Repubblica popolare il nuovo tecno-leader globale; spingere le propine compagnie tecnologiche per farle diventare player planetari; rendere la Cina un riferimento in materia di standard tecnologici e cyber giurisprudenza.

    Sono tutti obiettivi più concreti di quanto sembri. Le grosse banche di investimento a trazione statale stanno pompando soldi nelle aziende garantendo grosse linee di credito. Gli studi su intelligenza artificiale, big data e città intelligenti si accompagnano a un controllo sempre più stringente degli aspetti della vita quotidiana, ad esempio aSingapore il gigante dell’e-commerce Alibaba ha acquisito per 4 miliardi di dollari il gruppo locale Lazada.

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  11. I numeri che arrivano dalla penetrazione in Africa dovrebbero destare particolare preoccupazione. Della costruzione di infrastrutture si è giù scritto molto, ma meno si è detto del comparto tecnologico. Tra il 2015 e 2017 i finanziamenti cinesi per il settore delle telecomunicazioni nel continente hanno raggiunto il miliardo di dollari (all’anno) superando quello di tutti i Paesi occidentali, di agenzie internazionali e degli stessi Paesi africani.

    Ci sono però almeno altri due aspetti sinistri. Tra i primi effetti della via della Seta cinese c’è quello di un aumento di interesse da parte di molti governi, soprattutto autoritari, ai sistemi di controllo che la tecnologica cinese permette. Un allargamento che cozza soprattutto contro la concezione aperta della rete che esiste in Europa e Nord America. Il cavallo di troia per ribaltare questo sistema potrebbe passare dai grandi organismi internazionali.

    All’ombra della polemica intorno al potere cinese in seno all’Oms sulla gestione della pandemia da coronavirus, la Cina si è mossa anche in un’altra direzione, cercando i diffondere le sue “cyber norme” a livello globale. Nel corso del 2019, ha scritto il think tank tedesco Merics, la Cina si mossa all’interno di due gruppi di lavoro dentro le Nazioni Unite creati per lavorare sul tema della sicurezza tecnologica il Group of Governmental Experts e il Open-Ended Working Group.

    (...) Ma gli ultimi anni hanno fornito indicazioni utili per capire cosa può succedere lungo le linee rosse volute da Pechino. In particolare il protagonismo politico.

    Le prove di “Via della Seta sanitaria” dopo lo scoppio della pandemia sono state un chiaro segnale di come si può muovere il soft-power cinese. Non a caso dal 2008 ad oggi, il Dragone ha giocato la carta del mediatore sempre più volte. È intervenuto con aiuti mirati in Africa e Medio Oriente e sta cercando di dimostrarsi credibile in vista della grande ricostruzione siriana. Se uniamo i punti degli interventi diplomatici vediamo molto facilmente come ruotino intorno alla Bri.



    https://it.insideover.com/economia/le-difficolta-della-nuova-via-della-seta-e-il-nuovo-indirizzo-digitale.html

    '' Con la BRI la Cina vuole raggiungere obiettivi strategici più che ambiziosi; il più importante per le società straniere è il desiderio cinese di costruire società a livello mondiale come estensione della politica “Go Global” degli anni ’90. Il governo cinese si aspetta anche che la BRI supporti la ristrutturazione industriale al momento in cui le sue aziende avranno imparato a competere su scala globale adottando standard internazionali e acquisendo tecnologie su scala mondiale e spazio sui mercati esteri.

    La cifra attualmente disponibile per i progetti previsti dalla BRI rappresenta una frazione minima degli investimenti annuali necessari. Si tratta di una situazione complicata dato che la partecipazione di altri attori agli sforzi finanziari richiesti dal progetto dipenderà largamente dalle garanzie che i responsabili del progetto (in primis la Cina) saranno in grado di dare a livello di trasparenza nella gestione sia amministrativa che in quella dei fondi. Formalmente il Silk Road Fund promette di attribuire le risorse finanziarie seguendo “princìpi di mercato”, ma il timore che del progetto possano beneficiare soprattutto le imprese cinesi e che i flussi di denaro possano perdersi in assegnazioni opache è forte.

    La Cina sta inoltre considerando di aprire proprio in Italia, dove le esportazioni sono cresciute l’anno scorso del 25%, un centro logistico europeo per lo smistamento dei prodotti in transito. Il terminal, operativo dal 2019 a Vado Ligure, potrà accogliere navi portacontainer di qualsiasi dimensione, grazie anche al fatto che i magazzini coperti costituiscono un polo logistico integrato unico in Italia per estensione delle superfici coperte e per la dotazione di ampi spazi per lo stoccaggio di merci a temperatura controllata.

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  12. La “Belt”, senza sbocchi sul mare, connette due delle maggiori economie mondiali: la Cina e l’Europa. Questo corridoio dalle immense potenzialità logistiche offre opportunità significative nei settori energetico ed estrattivo.

    Entro il 2025 la BRI si aprirà ad altri settori che potranno allora beneficiare delle nuove infrastrutture. Fra questi la tecnologia, l’industria, la logistica e lo stoccaggio.

    Non tutti potranno trarre uguale vantaggio dall’impatto della BRI. Le piccole economie, così come quelle di medio livello, saranno le prime a sentire l’effetto dei principali progetti rivolti ad un’economia più ampia che porteranno loro sostanziali benefici.

    L’influenza cinese sulla catena di fornitura regionale tenderà a crescere. E’ infatti previsto lo sviluppo di parchi industriali lungo la traiettoria della BRI per intercettare lavoro a costi contenuti, evitare dazi elevati ed incontrare le potenzialità locali.

    Le società cinesi lavoreranno alla monetizzazione di quanto circonda i grandi progetti infrastrutturali come mezzo alternativo al finanziamento dei progetti, e creando opportunità immobiliari.

    Ma la BRI, apparentemente a solo vantaggio delle aziende cinesi, rivolge la maggior parte delle opportunità relative a questo enorme progetto alle società internazionali e sono 10 i mercati che produrranno il 66% del PIL della Belt & Road Initiative, Cina esclusa. Questi mercati (India, Russia, Indonesia, Corea, Turchia, Arabia Saudita, Iran, Tailandia, Taiwan e Polonia) beneficeranno della maggior parte delle opportunità commerciali.




    Il progetto BRI mira a ristrutturare profondamente la produzione industriale, rendendola più automatizzata, tecnologica, di qualità e in grado di dominare alcuni settori strategici dell’economia globale come quello della robotica, delle tecnologie dell’informazione e dell’aeronautica. Alla base di questo progetto c’è la consapevolezza di Pechino che il modello industriale adottato sino a oggi, basato sulla produzione a basso costo e di bassa qualità, non è più in grado di sostenere l’economia interna del Paese. Con la ridefinizione del modello di sviluppo economico cinese, il precedente ruolo del Paese quale officina manifatturiera globale passa ad altre economie, mentre i prodotti e servizi cinesi scalano la catena del valore e competono con i prodotti europei nei settori ad alta intensità di tecnologia. Attraverso questo ambizioso piano di finanziamenti la Cina, se non vuole ritrovarsi presto con un’economia stagnante, dovrà adottare un modello industriale 4.0, che prevede l’applicazione degli strumenti della tecnologia dell’informazione alla produzione.

    Mark

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