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venerdì 4 ottobre 2019

I nemici della nazione



 

di: Enrico Marino

La nazione, come oggi la intendiamo, ha origini abbastanza recenti. Generalmente la sua nascita è collocata a ridosso della Rivoluzione francese perchè i costituenti francesi hanno assegnato al concetto di nazione quella centralità politica che sarà compiutamente teorizzata nell’Ottocento e posta a fondamento delle guerre di indipendenza e di unità nazionale.


Il popolo che riconosce la propria individualità rispetto a quella degli altri popoli, si proclama nazione e, in quanto tale, pretende di essere governato in modo conforme alla sua specificità, nell’ambito dei confini territoriali che gli appartengono. La nazione nasce per un atto di coscienza e di volontà: la coscienza di una individualità geografica, linguistica e culturale e la volontà di tradurre questa individualità in un soggetto politico autonomo e indipendente.

A questa individualità il pensiero tedesco, nel solco tracciato da Schiller e da Herder, dette un fondamento profondo e ancestrale individuando nel sangue e nel suolo la ragione viva della sua identità nazionale. Quegli elementi furono riguardati come elementi costitutivi della nazione e della identità etnica dei suoi appartenenti.

Se questo modello di nazione si affermò, come autocoscienza di un popolo della sua individualità, desideroso di vivere governato da libere istituzioni in relazioni pacifiche con le altre nazioni, ciò avvenne anche perché meglio di ogni altro si prestava alla costruzione di un’ideologia in grado di assecondare le nuove esigenze che la rivoluzione industriale andava creando.
La nascita delle industrie nazionali aveva bisogno, per crescere e svilupparsi, di protezione dalla concorrenza dei prodotti stranieri e di espansione verso mercati sempre più vasti. Protezione ed espansione che potevano essere assicurate solo da uno Stato fortemente coeso, in grado di permettere lo sviluppo indisturbato della produzione interna e di aprirle uno sbocco verso mercati esteri.
Schiller affermò, a proposito della Guerra dei Trent’anni, che le motivazioni religiose avevano persuaso i popoli a sopportare sacrifici che non sarebbero stati disposti ad affrontare per i loro príncipi. Qualcosa di simile fece l’idea di nazione: poco alla volta, l’orgoglio di assegnare alla propria nazione il primato sulle altre fu la leva poderosa che dette origine alle politiche di potenza e al nazionalismo.

Il socialista Giovanni Pascoli salutò la guerra di Libia con gli stessi argomenti del nazionalista Enrico Corradini e Giovanni Bovio, mazziniano e repubblicano, esaltò il valore liberale, civile e progressista del colonialismo. Peraltro, va riaffermato contro certa retorica pacifista che le guerre non sono frutto solo di interessi economici o di ben orchestrata propaganda. Anche gli ideali vi giocano un ruolo importante. Nel caso del primo conflitto mondiale, ad esempio, la considerazione del destino delle terre irredente prevalse sugli interessi economici, che avrebbero voluto l’Italia schierata con la Triplice Alleanza e, inoltre, molti intellettuali e politici dell’epoca videro in quella guerra un’affermazione dei valori della libertà contro le resistenze imposte dagli ultimi sovrani europei. Lo scoppio della grande guerra provocò lo scioglimento della Seconda Internazionale e molti socialisti andarono in soccorso della Patria proprio come i preti benedivano le bandiere dei reggimenti, mettendo da parte l’universalismo cristiano. La risposta popolare al richiamo della Patria fu un ammonimento e una lezione che convinsero anche Mussolini a rielaborare le proprie convinzioni e, qualche tempo dopo, a dare vita a un movimento radicalmente nazionale come il fascismo.


28 ottobre 1922, la marcia su Roma

L’evoluzione del concetto di nazione raggiunse così il suo culmine in Europa negli anni ’30 in Italia e Germania, con il consolidarsi al potere del fascismo e del nazionalsocialismo, ma l’esito sfortunato dello scontro epocale del sangue contro l’oro dette l’avvio al declino del modello politico dello Stato-nazione.

Con l’affermazione delle superpotenze americana e sovietica, i vincitori decretarono una condanna senza appello non solo verso il Terzo Reich, che era stato propriamente il loro nemico, ma nei confronti dell’intero popolo tedesco e della sua secolare cultura, giudicata responsabile di tutte le azioni del regime hitleriano. Essi non si limitarono a creare le condizioni politiche perché una nazione tedesca non si potesse più ricostituire, ma misero in atto un’offensiva ideologica diretta alla “rieducazione” dei tedeschi e alla cancellazione della memoria storica della loro identità culturale, imponendo loro la costruzione di una collettività democratica aderente al modello offerto dai vincitori, senza alcuna connessione con l’identità nazionale.
Qualcosa di simile accadde anche in Italia, dove i partiti antifascisti pensarono bene di liquidare i conti con il passato regime sostenendone la continuità con lo Stato unitario, così sancendo polemicamente il distacco dell’Italia repubblicana dalle sue radici risorgimentali.
Per quasi 70 anni il concetto di nazione, sottoposto alla condanna democratico marxista, è stato demonizzato e visto come elemento caratteristico di un presunto revanscismo fascista sempre in agguato. E questo proprio mentre la propaganda comunista e radical promuoveva in Africa, in Asia e in Sud America le così dette guerre di liberazione facendo appello al concetto tipicamente nazionalista del diritto di “autodeterminazione” dei popoli.
Solo con la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda è venuta meno la morsa che per oltre 40 anni aveva stritolato i popoli europei e, soprattutto al di là di quella che fu la “cortina di ferro”, sono sorti una miriadi di piccoli stati nazionali mostrando la pervasiva vitalità del sentimento identitario e nazionale.

In certi casi, le risorte comunità non hanno esitato a proteggere la loro ritrovata indipendenza anche con drammatiche operazioni belliche.
Pur nella loro crudezza, però, queste vicende sono di ammonimento per quel che riguarda le difficoltà di convivenza e di integrazione che incontrano comunità etniche differenti, anche quelle abituate per secoli a una forzata vicinanza e alla condivisione di un determinato territorio. Come esempio, dopo la disintegrazione della Jugoslavia tra le popolazioni serba, croata e kosovara, sebbene apparentemente omogenee s’è scatenato un feroce conflitto e, più recentemente, un’aspra guerra è scoppiata in Ucraina tra le componenti filo russe e le altre. Le identità riemerse dopo il crollo dei regimi comunisti hanno confermato che le profonde differenze etniche, culturali e religiose, che erano state compresse per anni solo con la brutalità della dittatura, avevano mantenuto inalterato il loro potenziale aggregante e distintivo della varie comunità. Questo insegna che le radici profonde dell’essere umano non possono essere eliminate, ma che il loro forzato contenimento e la loro negazione possono essere operate solo con la violenza della repressione e della tirannia.


 


La cultura del meticciato forzato è imposta tramite la propaganda del regime usuraio,
chi non accetta tutto questo viene tacciato di razzismo, come se chi si difende davanti ad una palese aggressione debba poi essere accusato di violenza.


Oggi una nuova minaccia mortale incombe sui popoli ed è quella sferrata dal nuovo sistema di relazioni economiche.

Lo Stato-nazione che per oltre cento anni si è rivelato uno strumento politico idoneo a governare le diverse fasi della rivoluzione industriale, secondo alcuni risulta inadeguato a gestire la globalizzazione. O meglio, si rivela come un ostacolo alle mire delle élite transnazionali che mirano a massimizzare i profitti e allo sfruttamento del pianeta, considerando uomini e merci, beni economici e forza lavoro, su un identico piano.
Per questo c’è chi vuole l’abbattimento delle frontiere, la dissoluzione degli Stati nazionali e la scomparsa delle tutele sociali che questi garantiscono.

Sono quanti parlano di società multietnica e ripropongono lo ius soli perché vogliono farci colonizzare dagli africani e dalle loro culture tribali, con le mafie nigeriane o con l’islamismo della sharia, per ridurci in condizioni estreme di degrado e di scontro sociale.
Sarebbe la creazione ideale di una società concentrazionaria, in cui i poteri forti e gli interessi di ristretti circoli elitari avrebbero ancor più mano libera a danno dei popoli europei ormai meticciati, infiacchiti e dispersi.

Per questo appaiono ancora più urticanti certe prese di posizione e certe dichiarazioni di un presidente della Repubblica, che dovrebbe rappresentare la Nazione e la sua unità, la sua storia e la sua identità, allorché si esprime contro i “confini” cioè contro l’integrità del Paese. 

Mattarella non perde occasione per pronunciarsi contro quei limiti che racchiudono lo spazio vitale di una comunità, quell’ambiente nel quale s’è fondata ed è cresciuta nei secoli. I confini delimitano la casa comune, il territorio e la natura che lo anima, sono il perimetro entro cui la nostra civiltà e la nostra cultura si sono sviluppate, sono gli argini entro i quali fluisce la storia di un popolo e il limes che lo protegge, per erigere il quale in tanti hanno dato la loro vita. 


 I vari gregari della usurocrazia attuano i piani stabiliti dagli oligarchi della finanza sulle spalle dei popoli

I confini segnano l’ambito in cui lo Stato esercita la propria sovranità, senza la quale non esistono né Stato né Nazione. Certe dichiarazioni irresponsabili, perciò, segnano drammaticamente la distanza esistente tra il Paese reale e i vertici istituzionali e danno la misura della livida pervicacia con cui quest’ultimi perseguono i loro inconfessabili fini.
Ma ancora più ripugnante appare la posizione del Papa che recentemente ha rilasciato al quotidiano La Repubblica una dichiarazione scellerata: “Si vuole bloccare quel processo così importante che dà vita ai popoli e che è il meticciato. Mescolare ti fa crescere, ti dà nuova vita. Sviluppa incroci, mutazioni e conferisce originalità“. Papa Francesco, insiste sull’importanza dell’immigrazione che porta al meticciato appunto: “Il meticciato è quello che abbiamo sperimentato, ad esempio, in America Latina. Da noi c’è tutto: lo spagnolo e l’indio, il missionario e il conquistatore, la stirpe spagnola e il meticciato”.

E’ un’intrusione inaccettabile nella vita di una nazione da parte di chi dovrebbe occuparsi di suggestioni metafisiche e, invece, si permette di tentare di influenzare e orientare i destini di un popolo.



Sono parole gravi perché prospettano una realtà assolutamente falsa e distopica, ma anche perché omettono volutamente di menzionare le conseguenze umane e sociali di un’operazione di sostituzione etnica studiata, evidentemente, a tavolino e imposta con la logica degli sbarchi forzati, dell’accoglienza obbligatoria e di un umanitarismo ipocrita a un Paese che non ha mai avuto rapporti e flussi allogeni, che non ne è ha alcuna necessità ma ne trae solo svantaggi e che ha manifestato chiaramente di non volerli.
Chi si oppone a questa realtà fingendo di ignorarla è un nemico del popolo italiano.
E i nemici vanno combattuti sempre e ovunque, anche se indossano le insegne del più alto Ordine della Repubblica o si nascondono sotto un abito talare.


3 commenti:

  1. White Wolf, potresti fare delle preghiere o riti al dio Enki,in modo da proteggermi dalle entità negative.Grazie

    Admin moon

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  2. Ma quale Dio Enki. E cosa centri tu con la cultura e fede ancestrale dei sumeri??????!!! Dio cercalo dentro di te e non nelle culture straniere.

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  3. E ricordati che oltre alla cultura giudaica (al primo posto), i poteri forti ovvero la massoneria, si rifanno alka cultura sumera ed egiziana.

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