di: Roberto Pecchioli
Nel futuro, chi vorrà descrivere le
caratteristiche del nostro presente avrà l’imbarazzo della scelta. Tempo
della tecnologia, del superamento dell’umano, dell’illimitato, della
privatizzazione del potere, dell’informatica. Ma anche dell’istante,
della rapidità, del cosiddetto “tempo reale”. E’ la dromocrazia, il
potere della velocità che rimpicciolisce lo spazio e illude di estendere
il tempo.
Dromocrazia è un termine introdotto da Paul Virilio,
singolare figura di autodidatta, architetto, urbanista e filosofo
francese, scomparso a 86 anni nel 2018. Figlio di un comunista italiano e
di una devota bretone, scelse a 18 anni il cattolicesimo, cui restò
fedele per tutta la vita. La dromologia da lui fondata è la scienza e la
logica della velocità, studiata in relazione al potere e con
riferimenti all’arte, all’architettura, ai trasporti, all’urbanistica,
alla guerra. Un brano del suo primo libro, Bunker Archeologie è
illuminate: “chi controlla il territorio lo possiede. [Esso] non
riguarda le leggi o i contratti, ma principalmente la gestione del
movimento e della circolazione.
“Indagò i rischi delle nuove tecnologie,
che la tecnocrazia dominante tende a nascondere. La velocità si è
impadronita dell’uomo occidentale dal XIX secolo. Che cos’è un romanzo
come Il Giro del Mondo in 80 giorni, se non un inno alla rapidità delle
nuove tecnologie di trasporto, i piroscafi a vapore, le ferrovie in
grado di tagliare in due interi continenti? Nel XX secolo il futurismo
nacque e visse sotto il segno del dinamismo. Il movimento diventa per
Marinetti essenza dell’epoca; la convinzione di vivere “nel promontorio
estremo dei secoli” acquista carattere metafisico e inaugura un nuovo
modello estetico “ Noi affermiamo che la bellezza del mondo si è
arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un
automobile ruggente (all’epoca si scriveva al maschile N.d.R.) è
più bello della Vittoria di Samotracia.” Nella seconda metà del
Novecento, gli Usa, sviluppatisi psicologicamente nel XIX secolo come
nazione in corsa verso nuove frontiere, (“vai all’Ovest, giovanotto”)
hanno conosciuto la generazione “on the road”, sulla strada, di Kerouac, Bukowsky, Ferlinghetti.
La novità contemporanea è l’informatica
che cancella le distanze, proietta fuori dello spazio, nella virtualità
di una nuova dimensione che annienta i territori, trasferisce in una
realtà aumentata dove vince l’attimo, una corsa il cui fine sembra
raggiungere e superare se stessa. Immobile resta il potere, esercitato
“da coloro che regnano sulla velocità, controllano quella degli altri e
squalificano socialmente coloro che restano fermi, i localizzati.
“Interessante definizione, localizzati, per gli uomini normali, legati
al territorio, alla comunità, lontani dalla frenesia della mobilità
obbligatoria. Evidente è la dimensione biopolitica della velocità.
Bisogna correre, competere, battere primati senza voltarsi mai. I
mercati finanziari vivono della celerità con cui gli algoritmi degli
apparati informatici reagiscono ad ogni variazione dei titoli e delle
condizioni, determinando fortune rapidissime e altrettanto fulminee
cadute, come quella di Lehman Brothers nel 2008, il cui simbolo restano
le meste figure degli impiegati che abbandonano rapidamente gli uffici
con gli scatoloni degli effetti personali. Per usare il lessico di un
appartato studioso francese, Jacques Camatte, marxista antimoderno, la
velocità penetra nell’ontosi, nel divenire della specie umana per
effetto della società, delle costrizioni, dell’educazione. Il destino
delle ultime generazioni è quello di essere trasportati alla massima
velocità possibile, già a pochi mesi di vita, dalla casa dei genitori al
nido. La prima corsa della vita strappa al ritmo naturale, costringe la
madre al gesto simbolico dell’abbandono e la consegna subito dopo a una
nuova prestazione: correre verso il posto di lavoro, in automobile o su
mezzi di trasporto scomodi e affollati, prigioniera degli orari,
schiava dell’orologio, viandante dei nonluoghi, intenta a calcolare il
tempo per “gestirlo”, ovvero comprimerlo.
A grandi balzi, la velocità fa sì che il
tempo divori lo spazio, per essere annientato a sua volta nell’universo
virtuale. L’alienazione conseguente è il risultato della pervasiva
onnipresenza della tecnologia. Ivan Illich dimostrò facilmente la
controproduttività della velocità generalizzata, destinata a
trasformarsi in immobilità per sovraccarico, cui opponeva la tranquilla
lentezza della bicicletta: eterogenesi dei fini dromocratica! Avverte
Virilio: “a lato dell’inquinamento delle sostanze, c’è quello delle
distanze: il progresso riduce a niente l’estensione del mondo. E’ una
perdita insopportabile, più rapida dell’inquinamento ambientale, ed avrà
conseguenze ben più drastiche di quelle indicate da Foucault a seguito
della grande reclusione, la realizzazione della prigione totale,
l’incarcerazione del mondo, in un mondo ridotto dall’accelerazione dei
trasporti e della trasmissione [dei dati, delle notizie]. “ Lo scenario
diventerà insostenibile per le prossime generazioni, incarcerate in
spazi ridotti a nulla. La tecnologia fa balenare un rimedio, la
conquista di nuovi pianeti, la terra promessa oltre la Terra. Sarà una
vita in esilio, ai limiti dell’estremo, annunciata dai segni patologici
dell’esodo. René Guénon scrisse pagine memorabili sulle capacità
allucinatorie del mondo moderno. Pensiamo ai giovani – e meno giovani –
sul metrò o in treno, ristretti in pochissimi metri quadrati, intenti a
trascorrere lo spazio/ tempo (per non “perderlo”!) con gli occhi fissi
sui centimetri degli schermi dello smartphone. Peggio ancora, a
bambini di pochi anni già ipnotizzati e alienati da una tecno
dipendenza che li renderà obesi, asessuati, sradicati, invertebrati
umanamente e politicamente schiavi, nell’esultanza del sistema. Per
Virilio, si tratta della nuova colonizzazione. Il virtuale surclassa il
reale, il cyber spazio è il sesto continente, la colonia destinata a
sostituire i cinque della geografia. “La globalizzazione è un fenomeno
di endo colonizzazione. Il colonizzatore è la velocità, generata dal
progresso della tecnica (trasporti, informatica ecc.).”
Chi osa riflettere, è pervaso da un
sentimento di occupazione; la mondializzazione ci colonizza e
imprigiona, ma l’esito più diffuso è la rimozione del disagio, anzi, con
il linguaggio di Jacques Lacan, la forclusione, la cancellazione dalla
memoria psichica. La velocità è spesso un’illusione fatta di code, sale
d’attesa, reclusione in spazi minimi su auto, aerei, treni. Il giudizio
di Virilio si fa tagliente: “chi sono i sedentari? Coloro che non
lasciano mai il loro seggiolino sull’aereo, sull’automobile, quelli che
sono dappertutto a casa loro, grazie al telefono portatile.” La risposta
di Virilio è utopistica. Immagina una teologia della povertà
contrapposta alla teologia della velocità, un ritorno dell’umiltà,
sinonimo di verità per Santa Teresina di Lisieux. Quella della mistica
normanna, paradossalmente, è una frase da affidare agli scienziati e
agli esperti, superbi ciarlatani postmoderni (Debord) che non vogliono
comprenderla.
Alla dromocrazia non si sfugge se non attraverso l’esodo
nel virtuale, debole consolazione di prigionieri. Con la velocità del
tempo reale, il sistema incute meraviglia, timore, ma fa di più:
dissuade. La mondializzazione impone una dissuasione civile su scala
globale, in cui i divieti di agire, pensare, si moltiplicano e ci
rendono, appunto, dei “dissuasi”. La prigione senza sbarre di cui
parlava Aldous Huxley non è più in costruzione, ma in via di
completamento. Siamo dissuasi dall’agire, perché c’è la prigione; dal
parlare, per timore di ammende, risarcimenti e cause civili; dal pensare
perché è inutile, un esercizio di autismo ai limiti della patologia. E
oggi, persino dal vivere, poiché la nostra presenza inquina.
Il matrimonio tra tecnica e velocità ha
creato un’instabilità sconosciuta in passato, tale da divorare spazio e
tempo e lasciare in balia dell’incompiutezza. Per Virilio gli adoratori
del Progresso sono “una pericolosa banda di nani afflitti da
gigantismo”, la cui concezione scientifica sfocia in nichilismo
mascherato. Nel 1993 anticipò in Lo schermo e l’oblio il mito
dell’eterna connessione, che “porterà all’implosione del mondo visibile e
renderà l’informazione il solo rilievo della realtà”, capace di rendere
l’uomo “un bersaglio continuamente sovreccitato la cui unica salvezza
risiede nella fuga dalla realtà”. L’interattività diventa un’ideologia
deformante, mentre la velocità si risolve in febbre. La critica alla
tecnocrazia è per Virilio il riconoscimento dell’insuperabilità del
limite, deriso dal tronfio ottimismo progressista. La tecnologia non può
esistere senza l’incidente, la possibilità del fallimento. “Quando si è
inventato il battello, è nato anche il naufragio, quando si è inventato
il treno, tecnologia per spostarsi più velocemente, è nata la
catastrofe ferroviaria.” Un salutare monito alla convinzione di avere
tutto sotto controllo, di prevedere ogni evento, possedere una soluzione
“tecnica”.
Oggi non si può più essere viaggiatori,
semplicemente ci si sposta alla massima velocità possibile con lo spazio
come ostacolo. Uno degli ultimi esploratori letterari del viaggio,
Bruce Chatwin, fu lettore appassionato di Paul Virilio, il lucido
descrittore della progressiva restrizione del mondo, simboleggiata dal
passaggio dal viaggio allo spostamento. Ne La velocità di liberazione,
la Francia è rappresentata fuoriuscendo dalla geografia; il suo
territorio non è che un quadrato di un’ora e trenta di lato, con
allusione ai tempi di percorrenza degli aerei. Dalla scoperta
dell’automobile, o forse da quella del motore a scoppio, è stata
ingaggiata una lotta mortale tra il tempo e lo spazio.
Il primo è
comprimibile, come dimostrano le tecnologie informatiche, il secondo è
meno facilmente colonizzabile. Possiamo recuperare tempo, ma non
occupare contemporaneamente spazi differenti. Virilio fu un urbanista
sostenitore dell’architettura obliqua, deciso a rompere l’egemonia
dell’angolo retto di matrice razionalista, per reintrodurre il movimento
e moltiplicare le possibilità d’uso dello spazio. Una sua tesi è che la
modernità ha sostituito l’urbanizzazione dello spazio con quella del
tempo, in cui l’uomo e il suo corpo degradano nel cittadino terminale
munito di protesi interattive, il cui modello patologico è
l’handicappato motorio equipaggiato per controllare il suo ambiente
domestico senza spostarsi fisicamente. Una figura catastrofica che ha
perduto, con la motricità naturale, le sue facoltà di intervento
immediato, e si abbandona, in mancanza di meglio, alle capacità dei
sensori, dei recettori e degli altri segnalatori di distanza. E’
smascherata l’essenza disumanizzante della domotica, la scienza che
studia le tecnologie da utilizzare negli ambienti antropizzati.
Il titolo La velocità di liberazione
allude agli 11,2 km al secondo, obiettivo inconscio della dromocrazia,
oltre i quali ci si libera dalla camicia di forza della gravità, il
punto limite superato il quale alto e basso non hanno più senso.
Interessante è la riflessione relativa all’ estetica della sparizione.
Fu il cinema a sconvolgere le forme della percezione umana, introducendo
forme di allucinazione collettiva e di accelerazione impossibili in
anteriori forme artistiche. La sostituzione della conoscenza tattile con
quella visiva, anticipata da movimenti come la pittura
impressionistica, iniziava il cammino, concluso con il computer e lo smartphone.
Sulle piste di Walter Benjamin, Virilio prende atto che le tecnologie
postmoderne producono la sparizione dei corpi per smaterializzazione,
svalutando l’esperienza. Viviamo in un’epoca di voyeurismo permanente,
spettatori del mondo e di noi stessi attraverso lo sguardo mediato di
macchine- fotografie, TV, computer, telefono- protesi visive divenute
insostituibili, parti integranti della nostra personalità. Le tecnologie
di prossima generazione arriveranno a sostituire le dita con l’occhio:
uno sguardo, un battito di ciglia, dirigeranno gli apparati artificiali.
Non si può dimenticare, al proposito,
Ernst Juenger e la sua “motorizzazione della vista “sperimentata nella
mobilitazione totale bellica, in cui si congiungono il “genio della
guerra” e il “genio del progresso”. Le tecnologie comunicative
modificano gli stessi Stati–nazione, il cui tramonto funzionale,
tecnico, è parallelo alla perdita di influenza politica. Il futuro è
all’insegna del nomadismo esistenziale di esseri privati dei legami
sociali e territoriali, tendente a sopprimere la libertà di masse
anonime incontrollabili, se non attraverso mezzi coercitivi “tecnici”.
Una generazione svuotata di tutto, cultura, radici, patria, confini, razza, etnia, senza nessun legame con il passato, pronta a lavorare per pochi spiccioli in belgio, come in Olanda o in America, e tutto questo senza diritti, senza necessita umane, e sopratutto incosapevole di averli.
La
vera essenza del mondo accelerato è per Virilio l’incidente, la
successione di catastrofi, di cui l’informazione fornisce ogni giorno la
cronaca, tanto che se non vediamo immagini di eventi disastrosi ci
convinciamo che non sia accaduto nulla. All’interno dell’accelerazione
continua, ci muoviamo non verso il futuro, ma di incidente in incidente,
la modalità attraverso cui si mostrano le relazioni tra i fenomeni. Il
grande architetto Le Corbusier, di fronte al panorama di New York, città
simbolo della velocità, esclamò: sembra una catastrofe al rallentatore.
La corsa si è convertita in obbligo, con tanto di primati da abbattere.
Sono trascorsi venticinque secoli dal gesto fisico, ma innanzitutto
patriottico e morale del soldato Fidippide in corsa da Maratona ad Atene
per annunciare la vittoria sui Persiani, morto stremato dopo aver
pronunciato la parola nike, vittoria. Pochi giorni fa, un
atleta keniano, Eliud Kipchoge ha percorso la canonica distanza di oltre
quarantadue chilometri in meno di due ore, una soglia ritenuta
invalicabile. Un altro successo della dromocrazia, un passo importante
per scoprire i limiti fisici dell’essere umano, in attesa di
trascenderlo, superarlo, renderlo definitivamente antiquato per mezzo di
supporti tecnologici. Se fosse ancora in vita, Paul Virilio
pronuncerebbe un’ulteriore requisitoria contro il progresso
tecnoscientifico senza limiti che sta trasformando la realtà in
virtualità televisiva e la democrazia in farsa per un’umanità
teleguidata, regredita allo stadio infantile.
Ci fidiamo ciecamente dei
cosiddetti scienziati, i maghi del progresso, ma rifiutiamo di ascoltare
le voci che chiamano al rispetto dell’etica, dei limiti, dell’uomo e
del creato. Di corsa, avanziamo verso un futuro senza avvenire, da
osservare in mondovisione tra un incidente in diretta e una scoperta per
procedere più veloci, ma privi di una meta, atleti del nulla. Meglio le
ali spiegate della Vittoria di Samotracia.
Interessante.
RispondiEliminaSono convinto che le nuove tecnologie, le innovazioni, siano importanti, giuste, e soprattutto parte della nostra evoluzione. Un Evoluzione che non esiste solo a livello spirituale ma anche materiale. Crescere nel campo materiale, e meglio ancora in quello spirituale, non è mai un elemento negativo o pericoloso. È lo stesso discorso delle armi. Dipende da come le usi. La tecnologia, includendo Internet, può essere utile o controproducente. Dipende come la usi, a quale scopo e in quale modo.
Allo stesso modo possiamo parlare sulla velocità di compiere un movimento. Può essere positivo o negativo. Purtroppo, come corpo fisico siamo ancora soggetti al tempo, al deterioramento della materia.
L'umanita' se vuole evolversi, deve divenire inossidabilmente razzista animica. Io sono un razzista animico, non biologico, tratto da inferiori o superiori gli avatar fisici chiamati corpi umani solo dalla loro evoluzione/qualita' animiche. E molto spesso sono schifato o trattatato come snob a causa di questo mio insanabile razzismo Animico, non me ne fotte un cazzo se sei un mio simile bianco o un immigrato nero, io cerco di capire se un anima c'e' l'hai o no, e che tipo di indole ha. E cio' porta a isolamento e misantropia, neanche subita, piuttosto voluta e sto benissimo. Razzismo animico gente, l'unico consiglio che do.
RispondiEliminaEx commentatore del blog
Io sono Razzista biologico e spirituale. ... E ME NE VANTO.
Elimina