di: Giovanni Sessa
La decadenza nei
suoi molteplici aspetti, è ben noto agli studiosi del pensiero di
Tradizione, è il risultato dell’oblio dell’origine e del principio. Non
tutto viene per nuocere! Anche all’antitradizione va ascritto, comunque,
un ruolo. Essa ha determinato, per reazione al diffondersi della
desacralizzazione del mondo: «la riscoperta, lo studio […] e (talora) la
fruizione ‘operativa’ dei tesori sapienziali presenti nei ‘vasi
d’argilla’ delle varie tradizioni religiose autentiche». Lo ricorda
Marco Toti nella introduzione (p. 17) ad un volume apparso di recente
nel catalogo delle Edizioni Mediterranee.
Si tratta dello studio di
Arthur Versluis, docente di mitologia e scrittura al College of Arts
& Letters della Michigan State University, Terra sacra. Religione e
natura degli Indiani d’America (per ordini: 06/3235433,
ordinipv@edizionimediterranee.net, euro 12,90, pp. 194). Ha ragione
Toti: il solidificarsi della vita ha acuito la sensibilità spirituale di
una minoranza accorta di studiosi che si è occupata anche delle meno
note tradizioni spirituali del mondo.
La grandezza e significatività della
civiltà Pellerossa sono state colte da insigni pensatori
tradizionalisti. Innanzitutto, da Frithjof Schuon, che ad essa ha
dedicato una esaustiva monografia, Il Sole piumato. Religioni ed arte
degli Indiani delle praterie, ma anche da Julius Evola che ne, L’arco e
la clava, vide in essa l’affermazione di un’altra America, un’America
dello spirito, ben diversa da quella d’animo utilitarista e
mercantilista, che ben conosciamo. L’interesse accademico per i
Pellerossa data agli anni Quaranta del secolo scorso, quando Brown, in
sintonia teorica con l’esegesi di Guénon, interpretò le religioni
sciamaniche ed i fenomeni ad esse connessi, quali eredità della
Tradizione primordiale. È grazie a tali autori che quei popoli,
presentati quali incorreggibili selvaggi da tanta letteratura e da tanta
cinematografia dozzinale, tesa ad esaltare la «civiltà» dell’uomo
bianco anglofono, riacquistarono la loro dignità spirituale.
Il libro di Versluis prosegue lungo il
sentiero tracciato da tali illustri predecessori, anche se, va
precisato, la formazione dell’autore è stata influenzata dalla teosofia
cristiana, oltre che dal trascendentalismo statunitense, corrente di
pensiero che manifestò un evidente recupero del platonismo, e, pertanto,
alcuni suoi giudizi, rischiamo di sottovalutare le differenze tra il
mondo spirituale Pellerossa ed il cristianesimo. Prospettiva esegetica
sposata anche da Toti nell’Introduzione, valida, comunque, a
contestualizzare la ricerca di Versluis.
In ogni caso, al fine di inquadrare la
contrapposizione tra la concezione della vita dei nativi americani e
quella propria della contemporaneità, l’autore si serve di una citazione
tratta da Schuon, nella quale si sostiene che la modernità ha
instaurato una ‘civilizzazione’ (in senso spengleriano) urbana, in lotta
perenne con il Regno della Natura: «considerato come l’abito solenne,
puro e illimitato dello Spirito Divino» (p. 14). I Pellerossa sono
riusciti a tollerare angherie e soprusi di ogni tipo, compresa la
devastazione spirituale cui sono stati sottoposti dai «soldati blu» e
dai loro eredi, in quanto animati dalla ferma convinzione che la verità
non può essere a lungo sottaciuta e che, pertanto, la Natura divina
sarebbe tornata presto ad avere il sopravvento sulla menzogna del «Regno
della quantità». Terra sacra è un libro rammemorante: la sua lettura
può consentirci di ricordare quel che abbiamo perso, facendoci
comprendere quanto l’idea di progresso sia inane, se non palesemente
falsa. Negli ultimi secoli, abbiamo guadagnato in termini materiali e
quantitativi, ma abbiamo perso moltissimo in termini spirituali e
qualitativi.
La prima edizione inglese del volume
risale al 1992. La versione italiana ha mantenuto il tratto
affabulatorio della prosa dell’autore, per la qualcosa il testo risulta
di gradevole lettura. É organizzato in modo agile attorno a tre parti:
‘fondamenti’, ‘simbolismo spirituale’ e ‘territorio spirituale’.
Chiudono queste pagine, una bibliografia in tema e un’Appendice nella
quale il giudice della Corte Suprema USA, William Brennan, esprime
parere contrario ad una sentenza del 1988, che permetteva di disboscare
un’area sacra dei Nativi. Il tratto tradizionale della civiltà
Pellerossa emerge, in modo particolare, nella descrizione di uno dei
luoghi di culto più noti di questi popoli: la grande capanna,
rappresentazione microcosmica dell’ordine celeste, nonché nel rapporto
empatico-rituale che essi intrattennero con la Natura. É chiarissima,
inoltre, nei loro miti e racconti, la visione tripartita del cosmo,
nella quale l’uomo occupa un posto intermedio.
La dimensione uranico-solare era
simbolizzata, presso di loro, dal cerchio che si manifestava, nel
paesaggio sacro, nell’anello dell’orizzonte contemplato dall’alto di una
roccia. Il regno umano, la Terra, era contrassegnata dalla croce
direzionale, vale a dire dalla figura di un uomo con le braccia distese,
mentre il cubo terrestre indicava la Sostanza Primordiale. In sintesi,
il Pellerossa guardava il mondo con sguardo opposto rispetto all’uomo
senza Tradizione, il loro era uno sguardo visionario, quello della
maggior parte dei nostri contemporanei è, al contrario, meramente
quantitativo. Chiosa Versluis: «Il nostro mondo naturale è
semitrasparente agli occhi del visionario, e il potere dell’esperienza
visionaria si riverbera per tutta la durata della vita, venendo
commemorato e ripresentato nelle cerimonie» (p. 130). Nella Tradizione
Pellerossa, nomadismo di caccia e stanzialità rurale rappresentavano
archetipi esistenziali complementari. I misteri celebrati dai primi
avevano per riferimento il Sole, quelli dei secondi la Luna.
Culti
Maschili e culti Femminili, entrambi centrati sull’Azione compiuta nella
Natura divina o sulla Contemplazione della stessa. Pertanto, poco ci
convince il rimando al cristianesimo. La Natura dei Pellerossa è cosmo
sacro, non riducibile al creato dei cristiani, pensato come radicalmente
altro dal Creatore.
Fu il cristianesimo a desacralizzare la
realtà e, in nome di un Dio santo, rese emendabile, attraverso la
Tecnica e la Rivoluzione, il mondo e la natura. Non basta riferirsi alla
centralità del culto della Vergine o alla ‘contemplazione della Natura’
della prima Patristica, per riempire quello che ancora Hegel, definì il
Sepolcro vuoto del cristianesimo.
L’esperienza francescana che tentò il
recupero del cosmo, non a caso, fu marginalizzata. È alla cosmo
greco-romano che bisogna guardare, semmai, per individuare consonanze
con la Tradizione Pellerossa. Ne tengano conto gli ecologisti: il
ritorno alla natura esige una lettura spirituale.
Fonte articolo
libri:
Adesso in TV stanno che la Terra cava,scie chimiche,vaccini e 11 settembre SONO TUTTE CAZZATE e li mescolano con la terra piatta, è attaccano pure gli esoteristi
RispondiEliminaI media si dimostrano sempre più servo
Admin moon
Cioè è proprio assurdo
RispondiEliminaAdmin Moon