Il colpo decisivo del
cosmopolitismo finanziario e del mondialismo per l’annientamento etnico,
culturale e sociale dei popoli europei.
“La «società» mondialistica è la «società» della massa mondiale nel mercato globale, massa amministrata e mercato regolato da una comunanza oligarchica dell’Alta finanza. C’è da chiedersi quale senso ancora abbia l’uso del termine «società» – il cui senso proprio segnala una coesione di affinità tra esseri che divengono, appunto, «soci», in quanto di fronte a loro stanno i diversi, i difformi, gli ostili –, impiegato ormai solo per rappresentare un agglomerato di uniformi frammenti umani. C’è da chiedersi, inoltre, quale senso ancora mantenga l’umano mutilato dall’etnico.”
(Franco Giorgio Freda)
Il precipitare vertiginoso del mondo
moderno ha prodotto, nel corso della sua caduta, deformazioni
pseudo-culturali, politiche ed economiche di terribile entità e
contrassegnate anche da una sbalorditiva velocità.
Due sono le principali deformanti
manifestazioni che si sono rivelate determinanti per le trasformazioni
in corso d’opera: l’alluvione migratoria degli allogeni nelle terre
europee e la globalizzazione capitalistica e cosmopolita, ovvero
l’espansione a livello planetario del pensiero unico
liberale/libertario/liberista e di un modello unico di rapina economica
funzionale agli interessi delle Oligarchie plutocratiche.
Questi fenomeni hanno purtroppo
acquisito sempre di più una forte incidenza in tutti gli aspetti della
vita dei popoli, tanto da destare una crescente insofferenza e una
legittima e sempre più diffusa inquietudine.
La globalizzazione cosmopolita è
l’apoteosi del travolgimento di tutte le barriere che intralciavano la
formazione di un unico mercato mondiale e così facendo spalanca
volutamente le porte all’invasione immigratoria delle genti straniere,
una manifestazione che è strettamente correlata e funzionale.
Nel 2001, il prof. Stefano Zamagni, vicino ad ambienti ecclesiastici, scrisse a tal proposito: “è
un fatto, ormai ampiamente riconosciuto, che nell’epoca della
globalizzazione il fenomeno migratorio è destinato ad acquistare sempre
più i caratteri della normalità, à perdere cioè i caratteri dell’evento
eccezionale o transitorio.”
Questo,
in linea di massima, è quindi il drammatico contesto generale che ci
troviamo ad affrontare. Che tutti i popoli europei dovranno affrontare
con spengleriana decisione per salvare se stessi e la loro preziosa
specificità: l’intima sostanza delle generazioni, passate – presenti –
future. Perché il sangue non è acqua …
Jean Raspail |
Nella prefazione alla terza edizione de Il Campo dei Santi,
apparsa nel 1985 – presente nella traduzione italiana dell’opera curata
dalle Edizioni di Ar – l’autore, Jean Raspail, volendo fare una
previsione riferita ai trent’anni successivi, scrisse: “Sette
miliardi di uomini circonderanno settecento milioni di bianchi. Solo un
terzo di questi risiederà, ormai invecchiato, nella nostra piccola
Europa; di fronte all’Europa, sulla sponda africana del Mediterraneo, vi
saranno quasi quattrocento milioni di maghrebini e musulmani – metà dei
quali avrà meno di vent’anni: avanguardie del resto del mondo! Chi può
pensare per un solo istante, se non ficcando la testa sotto la sabbia
come uno struzzo, che questo squilibrio possa durare a lungo?”
Jean Raspail aveva prefigurato il vero. Infatti, questo fragile squilibrio non è durato.
Si tratta ormai di un fatto assodato,
l’immigrazione straniera sta letteralmente sfondando sempre più le
deboli frontiere dell’Europa con ondate continue di intensità sempre
maggiore e, infatti, i più recenti rapporti redatti dalla Caritas —
l’ultimo è il XXIII° Rapporto Immigrazione 2013, redatto da
Caritas e Migrantes, le strutture mondialiste della Chiesa Cattolica —
hanno già registrato la consistenza della penetrazione immigratoria in
oltre 70 milioni di extracomunitari stanziati sul territorio dell’Unione
Europea: “Le stime di medio periodo dicono che, nell’arco di 25
anni, il numero di migranti dovrebbe quasi raddoppiare, raggiungendo
quota 400 milioni nel 2040. L’Europa e l’Asia –con oltre 70 milioni di migranti ciascuno – sono i continenti che ospitano ilmaggior numero di migranti, pari a circa i due terzi del totale mondiale entrambi.
In Europa le nazioni maggiormente attrattive sono la Germania e la
Francia; negli ultimi anni, però, hanno visto accrescere la presenza di
migranti paesi come la Spagna e l’Italia che si attestano, ciascuna, su
oltre 4 milioni di presenze.”
Il dato, ovviamente, andrebbe
decisamente corretto al rialzo, se venissero conteggiati quanti, negli
ultimi decenni, hanno potuto acquisire più o meno legittimamente il
diritto alla cittadinanza nelle singole nazioni.
L’incidenza numerica delle popolazioni immigrate in Europa ammonterebbe già adesso a cifre più che preoccupanti.
L’Italia, purtroppo, si trova oramai
nella drammatica situazione di un avviato superamento della fatale
statistica soglia di allarme. Difatti, già al gennaio del 2013 la
presenza accertata dalle autorità competenti ci riportava la cifra di
oltre 4 milioni di stranieri installatisi sul territorio nazionale,
quindi di un bel 7% rispetto all’insieme della popolazione italiana.
Sono 4.387.721 — dei quali oltre due
milioni sarebbero femmine — per la precisione, gli immigrati stranieri
stanziati in Italia secondo i rapporti dell’ISTAT consegnati alle
autorità governative e di questi i minori ammonterebbero alla
considerevole cifra di oltre 930.000 unità (di cui il 22% nati nella
nostra nazione), tanto da confermarsi — sempre secondo i dati ufficiali
diffusi, e con gran gioia dei mondialisti cosmopoliti — decisivi per il
contenimento del calo demografico in Italia.
Senza gli immigrati, ci informano le fonti governative, l’Italia sarebbe quindi demograficamente più povera.
A fronte di un calo numerico di 75 mila
italiani (nel rapporto proporzionale esistente tra le nascite e i
decessi), la popolazione residente complessiva è aumentata nel solo 2009
di circa 295 mila persone e guarda caso solo per l’apporto degli
immigrati stranieri.
Parliamo appunto di presenze accertate
che, ovviamente, non tengono conto dei tanti irregolari presenti
illegalmente. Quindi complessivamente la cifra supererebbe
abbondantemente le 5 milioni di unità e anche la percentuale in
proporzione tenderebbe a salire in maniera preoccupante, con una
massiccia concentrazione degli stranieri nei quartieri delle città più
importanti, solo a Roma gli immigrati rappresenterebbero ben oltre il
8,7% della popolazione cittadina, mentre a Milano la consistenza
numerica salirebbe al livello del 8,2% e a Firenze ben più del 7%.
Sempre secondo i rapporti statistici diffusi dalla Caritas: “La distribuzione regionale conferma
un dato ormai storico, che vede il 61,8% degli immigrati nel Nord, il
24,2% nel Centro e il 14% nel Sud e nelle Isole. La Lombardia si
conferma la regione con il maggior numero di presenze (23,4%), seguita
dal Veneto (11,1%), dall’Emilia Romagna (11,1%) e dal Lazio (10,9%). La provincia
con il numero maggiore è, invece, quella di Roma che con l’8,7% supera
quella di Milano (8,2%) e di Torino (4,5%). Il 35,8% del totale della
popolazione straniera residente si concentra nei capoluoghi di
provincia, soprattutto al Centro dove la percentuale sale al 43,9%. Con
il 14,7%, la provincia di Prato ha la percentuale di incidenza più
elevata sul totale della popolazione, immigrata e italiana.”
Pertanto, nel complesso, sono dati più che superiori della media nazionale.
Possiamo, purtroppo, già parlare
sensatamente di una più che preoccupante variabile del fenomeno
immigratorio, ovvero di una evidente e drammatica “immigrazione di
popolamento”, che non potrà che avere pesanti ricadute interne alzando
ancor di più e in maniera sempre più preoccupante la già elevata soglia
di allarme su i temi specifici della sicurezza sul territorio,
dell’occupazione — sempre più precarizzata dall’adozione delle politiche
liberiste — del crescente disagio sociale dei nostri connazionali,
condannati ad un’emarginazione esponenziale, compromettendo in maniera
irreversibile il nostro paesaggio culturale, identitario e spirituale
che, a maggior ragione, si troverà costretto a misurarsi con l’invadenza
prepotente di una presenza estranea alla vera natura della nostra
Nazione e con l’aggiunta di tutti i perniciosi ricatti di una
pseudo-cultura, curiosa e sradicata che vorrebbe disegnare, per le
generazioni future, tragici scenari cosmopoliti e multirazziali
pretendendo di relegare in termini definitivi nell’immondezzaio della
Storia l’autentica fisionomia culturale e spirituale che da tempo
immemore ha sempre contrassegnato ed identificato l’insieme del nostro
popolo e della nostra Nazione.
Anche l’istituzione scolastica nel suo
complesso, purtroppo, si sta velocemente adeguando alla nuova
situazione, sia nei suoi programmi educativi, sia nell’organizzazione
interna, per non parlare poi delle specifiche direttive emanate e
relative all’obbligatorio adeguamento delle mense scolastiche alle
diverse “culture” gastronomiche, e quelle riferite al cosiddetto
“rispetto” delle diverse credenze religiose.
Che, però, guarda caso vanno sempre a
penalizzare prima e a sopprimere poi le tante tradizioni popolari
presenti nei nostri borghi scolastici, specialmente in occasione di
certe festività come quella del Natale.
Non bisogna offendere la sensibilità degli “ospiti” stranieri … Così si giustificano i direttori scolastici e i presidi.
La scuola multietnica si affaccerà
sempre più come una triste realtà con la quale doversi confrontare,
soprattutto alla luce di centinaia di migliaia di nuove iscrizioni di
studenti stranieri previste per i prossimi anni scolastici.
Il Sistema mondialista, nella sua
propaggine italiana, sta forse lavorando alla programmazione in serie
dei “nuovi italiani” del futuro?
Purtroppo i numerosi segnali politici e le giustificazioni pseudo-culturali provenienti quotidianamente dall’establishment governativo ci convincono sempre più di questo tragico scenario.
Non a caso, costoro, verrebbero già qualificati come i portatori di una presunta “doppia identità”.
Quindi di nessuna identità! Le Identità –
quelle reali – da sempre rispondono a parametri storici e culturali ben
precisi, radicati nel tempo e nel carattere innato dei popoli, e mai
potranno essere sostituite da artificiose alchimie di laboratorio.
Il contrasto culturale e politico
all’invasione immigratoria e la promozione del risveglio sociale e
identitario dei popoli europei rappresentano, sempre più urgentemente, i
temi fondamentali per una battaglia culturale e politica
indiscutibilmente decisiva per gli assetti futuri.
Una battaglia che sembra avere anche
incominciato a sollecitare la preoccupazione e l’attenzione di
personaggi che, per formazione e cultura, erano da sempre storicamente
estranei alle tematiche identitarie, come l’ex-dirigente della Bundesbank ed
in passato anche esponente della SPD Thilo Sarrazin, che nel 2010 era
riuscito a scandalizzare l’intero mondo politico e finanziario tedesco
denunciando pubblicamente il rischio di estinzione politica e culturale
della popolazione tedesca a causa delle invasive politiche favorenti
l’immigrazione: “Non desidero che il paese dei miei nipoti e
pronipoti diventi in gran parte musulmano, nel quale si parli
prevalentemente turco e arabo, dove le donne portano il velo ed il ritmo
della giornata è scandito dai muezzin. Se voglio questo, posso
prenotare una vacanza in Oriente.” E rincarando la dose, sempre Thilo Sarrazin, giungeva inoltre a precisare: “Ogni
società ha il diritto di decidere chi vuole accogliere ed ogni paese ha
il diritto di salvaguardare la propria cultura e le sue tradizioni.
Queste riflessioni sono legittime anche in Germania ed in Europa. Non
vorrei che noi diventassimo stranieri in patria.”
Quindi riflessioni e giustificate
preoccupazioni, sempre più largamente condivise dalle singole
popolazioni europee, che vanno a focalizzare l’attenzione sui nodi
centrali della questione immigrazione, ovvero quelli relativi alla
probabile deformazione strutturale dell’originaria fisionomia delle
singole nazioni e di conseguenza dell’intera Europa.
A tal proposito si dovrebbero anche rileggere le pregnanti pagine dell’inquietante romanzo
profetico Il Campo dei Santi pubblicato in
Francia nel 1973 dallo scrittore ed esploratore francese Jean Raspail,
dove l’autore volle mettere in guardia la Francia e l’Europa dalle
fatali conseguenze derivanti da una incontrollata deriva multirazziale,
terzomondista e immigratoria che alla lunga avrebbe inevitabilmente
portato alla traumatica e violenta disintegrazione di ciò che ancora,
nonostante tutto, sopravviveva della nostra millenaria Civiltà europea.
Un terribile presagio che venne
annunciato, dal Raspail, attraverso l’utilizzo di una libera citazione
biblica tratta dall’Apocalisse di S.Giovanni: “Il tempo dei mille
anni giunge alla fine. Ecco, escono le nazioni che sono ai quattro
angoli della terra, il cui numero eguaglia la sabbia del mare. Esse
partiranno in spedizione sulla faccia della terra, assalteranno il campo
dei Santi e la Città diletta.”
Se allora, nel 1973, quanto
coraggiosamente narrato da Jean Raspail poteva apparire ai lettori
alquanto inverosimile e addirittura non plausibile ai meno accorti,
possiamo oggi, con quanto drammaticamente è accaduto — e continua ancora
ad accadere, anche se celato da una voluta e imbarazzante omertà
politica — in termini di feroci rivolte da parte di immigrati e
naturalizzati in numerose città francesi, il cui contagio emulativo
potrebbe volersi espandersi nel resto dell’Europa come è accaduto nel
maggio 2013 in Svezia, rimanere indifferenti e perseverare nello
scetticismo?
Possiamo continuare ad appellarci alla
casualità e alla fortuita coincidenza dei fenomeni? Oppure dovremmo
parlare di un disastro annunciato? In tal caso dove affonderebbero le
radici di questo malessere diffuso?
Anche il caso svedese dovrebbe fare
riflettere, la rivolta violenta degli immigrati si estese dal quartiere
Husby di Stoccolma al resto della capitale. Così le vicende vennero
commentate da un’importante agenzia di informazioni europea: “L’obiettivo
di mescolare ed integrare i diversi gruppi etnici non può invece dirsi
raggiunto. Husby ne è l’esempio: si tratta infatti un quartiere di
12.000 residenti di cui più del 80% è nato fuori dai confini svedesi o
da genitori immigrati, nel quale il tasso di disoccupazione giovanile
più alto della media nazionale si combina con un considerevole numero di
persone assistite dallo Stato sociale. Come molte periferie delle più
grandi città della Svezia, Husby è diventato negli anni luogo di
profondo disagio sociale, nel quale non meno di 114 diverse nazionalità
convivono accumunate da un clima sempre più palpabile di esclusione.
Quello che a prima vista è più sconcertante è che simili eventi si siano
verificati in Svezia, uno dei Paesi europei che più si è speso per
attuare politiche d’integrazione, oltre che da sempre considerato uno
dei più accoglienti.”
Tutto ciò è davvero sconcertante e conferma le nostre chiavi di lettura.
I roghi che nel 2005 avevano sinistramente illuminato le banlieues
della regione di Parigi, di Tolosa, di Lione, di Marsiglia, di Nizza,
Rennes, ecc…, non si sono limitati a consumare tra le fiamme automobili,
pullman di linea, empori, veicoli dei Vigili del Fuoco, autoambulanze e
automezzi della Gendarmeria.
Nelle periferie devastate dai casseurs
africani e maghrebini di nazionalità francese (ma tra di loro vi erano
anche numerosi immigrati regolarizzati e non) si è invece disintegrato
un intero e fragile tessuto sociale, nei numerosi roghi si sono
consumate le altrettanto numerose promesse, fatte e mai mantenute, dalle
“anime belle” dell’universalismo cosmopolita e dell’assimilazionismo
forzato.
La collera degli esclusi, così la volle
definire con una punta di amarezza il politologo Bernardo Valli, sulle
pagine del quotidiano mondialista La Repubblica nel novembre
2005, vedendo naufragare le sue illusioni assimilazioniste nello sfogo
di una violenza anarchica e indiscriminata: “Si chiamano
così, Beurs, nel gergo dei sobborghi diventato linguaggio comune, i
figli o i nipoti degli immigrati. I quali non sono più autentici
magrebini, perché sono nati in Francia e hanno studiato nelle scuole
laiche della République; ma che non si sentono neppure autentici
francesi, pur avendone spesso la nazionalità, perché sanno di non essere
accettati come veri cittadini. Non basta un passaporto per essere tali,
per usufruire di tutti i diritti enumerati ed esaltati dalla retorica
ufficiale repubblicana imparata sui banchi di scuola, il più delle volte
disertati, per rifiuto o disaffezione.”
Sono così definitivamente bruciate le
sempre più deboli certezze proprie delle decadenti, sclerotizzate ed
egoiste democrazie capitaliste dell’Occidente liberale e libertario.
Non ci sono più alibi per nessuno.
Soprattutto si è disintegrata
quell’astrazione intellettualistica, tipicamente mondialista, costituita
dalla tanto decantata “religione laica” degli inviolabili diritti
individuali — le assurde pretese individualistiche erette a modello
esistenziale —, la quarta “religione” monoteista e modernista che è
andata ad affiancarsi all’Ebraismo, al Cristianesimo e all’Islam e
manifestatasi altrettanto, se non di più, esclusivista e intollerante
quanto le altre.
Espressione, quindi, di un “mondo
virtuale” destinato necessariamente ad implodere. E non crediamo affatto
di esagerare affermando che le trascorse vicende francesi lo abbiano
ben dimostrato.
Il tono prepotente e “fieramente”
anti-francese — oppure anti-svedese, come nel caso di Stoccolma — (e
quindi nel complesso sostanzialmente anti-europeo) che ha alimentato
l’anarchica violenza e lo zelo vendicativo dei rivoltosi ci ha anche
fornito il senso e la chiave di lettura di una violenta sollevazione di
natura etnica che ha preannunciato al mondo intero, con gli atti di
vandalismo e le violente dichiarazioni, la terribile possibilità di
volere prestare il fianco ad un inasprimento dello scontro in una
paventata versione di conflitto razziale.
Tutto nei prossimi anni verrà soppesato
sul piatto della bilancia dei rapporti di forza, che, comunque, ci
appaiono pendenti a favore dell’invasione straniera e dei loro complici
politici.
I rivoltosi hanno avuto comunque – e
continuano ad averne almeno per ora – buon gioco nell’assestare colpi
tremendi ad una identità europea sempre più fiacca e moribonda, al fine
di rivendicare il ruolo di principali artefici della pretesa
edificazione di una innovativa Europa del futuro, coniata
artificiosamente a loro immagine e somiglianza.
La strategia mondialista emerge
prepotentemente e con tutta la sua forza con l’allarmante fenomeno
dell’esodo “biblico” delle genti extraeuropee verso il nostro
Continente.
Un’impressionante ondata migratoria
terzo-mondista la cui definizione ormai semplicistica di ‘”immigrazione”
ci suona patetica e ipocrita alla luce della constatabile dimensione
degli spostamenti continui di popolazione proveniente dal Nord Africa,
dall’Africa nera e dal Medio ed Estremo Oriente: è una autentica
alluvione migratoria.
Inoltre, soffermandoci esclusivamente
sulla valutazione quantitativa e strettamente numerica che
caratterizzerebbe l’ampiezza e la portata del fenomeno, risulterebbe
puntuale, logico e maggiormente calzante esprimersi con il termine crudo
di INVASIONE.
Una gigantesca invasione multietnica!
D’altronde, lo stesso concetto di
«invasione», come era già stato fatto notare in precedenza da numerosi
studiosi e analisti del fenomeno, non vuole significare altro che
l’ingresso di uno o più popoli nel territorio di un’altra nazione, senza
che quest’ultima possa minimamente opporsi ad un tale spostamento.
Pertanto questa immigrazione cospicua,
inarrestabile e incontrollata, che l’intera Europa sta subendo, cosa
altro può essere se non una autentica invasione delle nostre terre,
visto che si presenta in maniera così vasta, metodica e capillare?
Una «invasione» ben particolare visto che ha potuto, purtroppo, vantare numerosi sponsors
tra coloro che, all’insegna di una non ben chiara, ma certamente
deleteria, “cultura della solidarietà e dell’accoglienza” richiedono a
gran voce esclusivamente maggiori garanzie e tutele a beneficio degli
extracomunitari, per non parlare poi di chi apertamente si è fatto
portabandiera di allarmanti proposte che ci parlano di una auspicabile
assimilazione totale e indiscriminata degli stranieri, circostanza che
spalancherebbe la porta al fenomeno ancor più drammatico di una
«immigrazione di popolamento», ovvero di una graduale sostituzione
etnica della popolazione.
Una costante e irreversibile
sostituzione etnica. Che potrebbe giungere addirittura ad una
progressiva africanizzazione dell’Italia.
Gli stessi interessati inviti per una
rapida riforma del riconoscimento della cittadinanza mediante l’adozione
del principio dello Ius Soli, al posto del più giusto e corretto Ius Sanguinis, sarebbero propedeutici per una mutazione volta in tal senso.
Sarebbe forse pensabile una Europa senza
europei, un’Italia senza italiani? Non lo crediamo e non lo vogliamo,
ma a questa deriva stanno lavorando gli sradicati fautori della
globalizzazione multirazziale con la precisa intenzione di annientare le
nostre specificità nel calderone di una massa magmatica mondializzata.
Quando nell’ultimo decennio dello scorso
secolo cominciavano ad emergere le prime più che giustificate
preoccupazioni sulla presenza degli immigrati stranieri, nelle
principali città delle nazioni varie “agenzie propagandistiche”
politico-culturali, degenerati e falsi uomini di “cultura” ed enti
politici ricevettero cospicue commesse governative — oltre che da
caritatevoli Holdings finanziarie — per avviare tutta una serie
di iniziative pubblicitarie, al fine di convincere e di abituare la
popolazione alla presenza, e pertanto alla prossima forzata
coabitazione, con gli stranieri ed accettare quindi come storicamente
inevitabile l’avvento di una, a detta loro, inevitabile e auspicabile
società globale e multirazziale.
Si trattava di una esplicita e concreta
minaccia rivolta – in nome di presunte ed ineluttabili trasformazioni
previste dalla Storia – a tutti coloro che avrebbero preteso di
affermare il legittimo e doveroso diritto dei popoli e delle nazioni a
preservare sé stessi e la propria secolare identità etnica e culturale.
Pertanto per assecondare il progetto
mondialista e cosmopolita negli ultimi venti anni si sono mobilitate
ibride schiere di parolai, di perniciosi intellettuali, di sindacalisti,
di eminenti politici e altrettanto eminenti gerarchie ecclesiastiche,
per non parlare dello stesso pontefice romano, tutti votati a favorire
con ogni mezzo l’avverarsi del progetto di una società dell’accoglienza
protesa verso una futura Europa cosmopolita e multirazziale.
Proprio nello stesso periodo
cominciavano anche a levarsi le prime voci contrarie, tra queste la più
significativa e pregnante nei contenuti e nelle analisi fu quella di
Franco Giorgio Freda, il fondatore delle Edizioni di Ar, che nel corso
del suo itinerario politico-pedagogico di denuncia della globalizzazione
mondialista pose l’accento sulla possibilità operativa di poter
invertire la deriva della decadenza etnico-razziale delle stirpi
europee, una decadenza voluta e promossa dai potentati oligarchici
dell’Alta finanza internazionale: “Uno dei presupposti falsi del
mondialismo è l’aspirazione (o la convinzione o la rassegnazione) degli
esseri umani al meticciato etnico e culturale, meglio: all’ibridazione
generale delle nature e alla confusione completa delle culture. Questo
meticciato costituirebbe l’alvo biologico e ideologico di quella
uniformazione del mondo e della vita, attraverso la pace generale, che
una unica Amministrazione mondiale garantirebbe. E per propagandare il
suo progetto di indistinzione planetaria, il mondialismo ripete
ossessivamente il tema della necessità, della ineluttabilità, dunque(?)
della «dignità» del fenomeno. Ci troviamo di fronte alla propaganda
maligna di una fede ideologica, che diffonde un virus letale per
l’integrità di tutte le comunità etniche.”
La sua coerente valutazione, la sua
indubbia capacità di previsione, verranno però riconosciute come
«pericolose» dal braccio secolare del Sistema e ripagate con la
repressione, la condanna e la carcerazione, la messa al bando del suo
sodalizio.
La valorizzazione dell’etnicità e delle
specificità identitarie della Comunità nazionale era ufficialmente un
grave reato da perseguire e da reprimere.
Parole d’ordine come Cosmopolitismo,
ibridazione culturale e snaturamento delle identità, grazie a
martellanti campagne propagandistiche stanno diventando pericolose
fascinazioni diffuse a livello di massa, allucinanti e meschine falsità,
le stesse che vennero lapidariamente smentite, circa un secolo fa, da
Oswald Spengler: “Cosmopolitismo è una espressione infelice,
meschina. Noi siamo uomini di un determinato secolo, di una determinata
Nazione, di un certo ambiente, di un certo tipo. Queste sono le
condizioni necessarie, rispettando le quali possiamo conferire senso e
profondità alla vita ”.
Un fronte compatto di mistificatori che,
facendo ricorso ad una presunta fatalità storica e ad altrettanti
presunti sensi di colpa, infondevano nelle coscienze degli italiani e
degli europei una cupa rassegnazione riguardo all’incremento dei flussi
migratori al fine di predisporre gli animi all’immediata e forzata
accoglienza degli immigrati extracomunitari.
Predicando incessantemente le parole
d’ordine del pensiero mondialista sulla libertà di emigrazione e di
immigrazione, ovvero il procedere verso l’apertura indiscriminata delle
frontiere al fine di snaturare completamente un popolo e renderlo
qualcosa di “altro”, un insieme di individui amorfi orfani di una
qualsiasi identità e appartenenza senza più alcuna coesione culturale e
storica e pronti, quindi, a perdere anche il concetto stesso di città,
regione, Nazione e Patria.
Bipedi mondializzati, apolidi votati al
sincretismo pseudo-religioso e pseudo-culturale e totalmente passivi e
indifferenti ai mutamenti, anche drammatici, che li circondano e li
coinvolgono.
Nonostante i continui disordini che
continuano a investire il terzo e quarto mondo, dove imperversano guerre
civili e di “religione”, alimentate dalle fobie destabilizzanti degli
“esportatori di democrazia” che abbattono regimi consolidati per
favorire gli interessi delle multinazionali, e l’ingresso continuo nei
nostri territori europei di masse ingenti di stranieri, il meccanismo
mondialista degli affari sembra continuare allegramente a prosperare
senza limiti, sempre più agevolato da una crescita robusta e sostenuta
del meccanismo speculativo capitalistico-finanziario.
Una crescita così falsa, orrendamente
speculativa e anarchica da causare le pesanti crisi economiche che hanno
investito le nazioni europee negli ultimi anni.
Altresì, si deve mettere in evidenza
anche lo scandalo di come le risorse agricole e alimentari delle
popolazioni del terzo/quarto mondo vengano costantemente manipolate e
sottoposte alla perversa logica dell’esasperato profitto capitalista, il
tutto ad opera di una raffinata e potente consorteria di Oligarchie
affaristiche transnazionali che le controllano a livello globale.
In questo drammatico scenario, la
produzione e la commercializzazione mondiale degli alimenti, la stessa
organizzazione della vita agricola, appare più che evidente che non
siano più vincolate alla naturale applicazione dei dettami relativi alla
perseguimento del bene comune e alla sopravvivenza dei popoli e delle
nazioni, ma invece alla più cruda logica dell’accumulo di un sempre
maggiore profitto capitalista.
Secondo recenti e più che note statistiche prodotte dall’organismo della FAO, solamente poche grandi Holdings
mondialiste controllano e manipolano la maggior parte della
distribuzione mondiale degli alimenti primari, accentuando in questa
maniera quei feroci processi speculativi che sono tra le principali
cause della fame che si sta estendendo in tutto il pianeta. Insomma
delle autentiche piovre transnazionali dell’alimentazione, che
capeggiano mondialmente la commercializzazione degli alimenti e che,
oltre a controllare la distribuzione e le fonti di produzione dei
prodotti, possiedono anche tutti i diritti, su scala mondiale, sulle
semenze e sulle materie agricole.
Dietro questa favolosa e redditizia
speculazione, attuata con la rapina indiscriminata delle risorse
essenziali per la sopravvivenza alimentare dei popoli, si trovano
inoltre i principali organismi bancari e finanziari di Wall Street, che da sempre svolgono un ruolo determinante nella speculazione nei mercati agricoli.
In questo fronte dell’affarismo
agro-alimentare e finanziario – causa diretta della crisi economica,
della fame e dell’inflazione mondiale – si trovano in prima linea le
tristemente note Goldman Sachs e la Morgan Stanley,
ovvero i “gioielli di famiglia” della più grande speculazione
finanziaria istituzionalizzata del Capitalismo mondialista, con appunto
sede in Wall Street.
Non a caso la maggior parte delle
manifestazioni del Capitalismo finanziario si sono imposte su scala
planetaria proprio in contesti di totale e assoluta deregolamentazione e
liberalizzazione dei mercati, innescando processi di feroce ed
indiscriminata macelleria sociale, che vanno a giustificare, nella
strategia plutocratica, l’ingresso sempre più libero e sostenuto di
masse ingenti di immigrati da innestare pesantemente in un prossimo
mercato schiavistico del lavoro orientato al ribasso e, soprattutto,
lesivo della dignità e dei diritti dei lavoratori europei.
Capitalismo di rapina, politiche
liberiste e libertarie e immigrazione selvaggia vanno di pari passo,
sono compartecipi della medesima strategia mondialista, sono
manifestazioni partorite dallo stesso ventre.
Contrastare allora l’invasione
immigratoria per salvaguardare la sostanza più intima del nostro popolo e
la sua possibilità di trasmissione, altresì combattere senza tregua le
innumerevoli ingiustizie prodotte dal perverso meccanismo
capitalistico-finanziario, la cui insaziabile e ripugnante ingordigia
sostiene coscientemente l’alluvione allogena, sollecitandola a sfondare
le fragili frontiere dell’Europa.
Notiamo anche che, nonostante le recenti
e note difficoltà di natura economica, l’unificazione del pianeta
all’insegna del progresso mondialistico-tecnocratico e dello smisurato
sviluppo economico e finanziario — ovvero i valori fondanti e
costitutivi dell’Occidente mercantilistico e plutocratico — non è mai
stata così avanzata.
Nell’opinione dei suoi fanatici
“apostoli”, l’obbiettivo della progressiva affermazione su scala globale
della società multirazziale dovrà favorire l’omologazione planetaria,
ovvero la diffusione planetaria di modelli di consumo e di sfruttamento
sempre più omogenei che, rappresentando uno dei presupposti principali
per lo sviluppo del libero mercato globale, avvieranno di conseguenza il
processo di creazione di una nuova configurazione sociale fondata sulla
distruzione di ogni senso di appartenenza e sulla disintegrazione del
legame, ancora oggi nonostante tutto esistente, tra popolo e Storia,
cultura e territorio, Nazione e destino.
Infatti, diversamente dalla organica
visione identitaria, la visione “cataclismica” promossa dal
cosmopolitismo multietnico potrà soltanto produrre l’incubo di irreali
megalopoli mondialiste, democraticamente emancipate, dove, solamente in
astratta teoria, tutti gli uomini troverebbero il loro posto e delle
quali ciascuno sarebbe un libero, indifferenziato e apolide cittadino.
Purtroppo, siamo consapevoli che le cose
andrebbero differentemente, le smisurate megalopoli cosmopolite e
mondialiste, espanse a livello planetario, che essi farneticamente
continuano a paventare sarebbero invece terribilmente difformi, poiché
vi regnerebbero incontrastate l’ingiustizia sociale, lo sfruttamento
sistematico delle risorse umane, una violenza diffusa e radicata e
l’odio tra entità etniche differenti e ostili tra loro, costrette però a
dover coabitare e a sopravvivere all’interno dello stesso spazio,
semmai attraverso forme di segregazione razziale.
Quindi, il rischio dell’annientamento puro e semplice dell’umanità sarebbe più forte che mai.
Pertanto, il porsi in termini
conflittuali sul tema drammatico dell’immigrazione e su tutto ciò che ne
conseguirebbe altro non significherebbe che reinserire il nodo centrale
del riconoscimento del diritto-dovere all’appartenenza nazionale,
culturale, spirituale e popolare nel cuore stesso del conflitto politico
riaffermando — attraverso l’adozione decisa e severa di una specifica
Visione politico-spirituale identitaria, nazionalpopolare e comunitaria,
l’unica strada percorribile per uscire dal deserto dell’attuale società
liberale indifferenziata — l’intima forma della nostra preziosa e
speculare identità sociale, popolare e spirituale, opponendosi così al
Cosmopolitismo apolide e oligarchico che vorrebbe piegare i popoli
europei alla fatale logica del melting-pot e delle cosiddette nuove cittadinanze
e restituendo al nostro popolo il senso e il significato di una comune e
speciale Origine radicata in una memoria arcaica e ancestrale.
Solamente una tale e ricca Visione del
mondo e della vita potrà farsi garante e promotrice della salute e
dell’integrità di una Comunità nazionale e popolare definita
esclusivamente sulla base dello Ius Sanguinis, ovvero nel
riconoscimento del criterio di una specifica vicinanza bio-psichica,
fisiologica e spirituale dei suoi appartenenti.
L’unico criterio possibile.
Una Comunità organica di popolo composta
da uomini e donne aventi origini etniche, culturali, tradizioni e
aspirazioni condivise, che sia in grado di dare un superiore significato
al senso di appartenenza e assurgere appieno nel ruolo di promotrice di
processi innovatori capaci di incidere in profondità nel tessuto
sociale e di rivoluzionarne il contesto, rendendosi così di nuovo
protagonista delle grandi trasformazioni collettive e soprattutto fulcro
per la proiezione di un progetto comune capace di mobilitare la
totalità del popolo contro le derive della globalizzazione cosmopolita.
Soprattutto, evitando con tutte le nostre forze di ricadere nel gravissimo peccato di omissione che era stato puntualmente denunciato nel secolo passato dallo scrittore nazionalpopolare Adolf Bartels: “Sulla terra c’è una colpa antichissima e sempre nuova, non restare fedeli al proprio popolo, non restare fedeli a se stessi.”
Se è vero che il criminale processo
globalizzatore vuole tracimare le consistenze identitarie attraverso
l’utilizzo demagogico di richiami a vaghi e indistinti diritti umanitari alla cittadinanza
da attribuire indistintamente e indiscriminatamente a chiunque – cioè,
alla fin fine, a tutti coloro che più o meno lecitamente, ma sempre più
spesso illegalmente, penetrano nella nostra Nazione rivendicando anche
arrogantemente il “diritto” a rimanerci in pianta stabile – risulta
altrettanto evidente che questa parodia, ipocritamente umanitaria,
offende e minaccia seriamente la nostra intelligenza, la nostra stessa
sostanza popolare, la nostra possibilità di progresso sociale in senso
anti-plutocratico, le nostre radici più intime, la nostra stessa forma
identitaria, la nostra specifica forma di vita con tutti i
nessi di ordine superiore che la ordinano; mettendo così a repentaglio
la nostra stessa sopravvivenza culturale, spirituale ed etnica.
La sopravvivenza nel tempo del nostro popolo, della nostra Nazione, della nostra Europa.
Nostra, non loro!
Giungendo a modificare quel “paesaggio”
che per secoli ha visto le nostre genti protagoniste e artefici di un
comune destino, insomma tutti quei caratteri che da sempre ci mantengono
e ci conservano, nonostante tutto quello che sta accadendo, ancora come
un Popolo, dando così forma compiuta e sostanza reale all’identità
culturale, sociale ed etnica della nostra Nazione.
L’affermazione del valore specifico e
fondante di questa radicata Comunità nazionale e popolare dovrà tornare
ad essere la bandiera di mobilitazione per una vittoriosa lotta di
liberazione nazionale, sociale e identitaria dei popoli europei.
Una lotta per la difesa e l’affermazione
del nostro Popolo e della nostra Nazione, un atto di profondo e
generoso amore per la nostra terra, per i nostri antenati, per la nostra
Stirpe e per i fiumi di sangue che nei secoli sono stati versati per
conservarla e per difenderla.
di: Maurizio Rossi
fonte: ereticamente.net
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