di: Riccardo Rosati
Prerogativa dei
veri intellettuali è quella di essere sempre attuali. Una affermazione
di questo tipo può giustamente sembrare banale, ma ciò non ne diminuisce
la autenticità. In questa categoria di menti superiori, rientra a pieno
titolo Julius Evola. Già in passato, leggendo e studiando i suoi
articoli sull’Oriente, ci siamo accorti di quanto a tale filosofo calzi a
pennello l’aggettivo “profetico”. Avvicinandoci ai suoi scritti in
qualità di orientalisti, siamo rimasti colpiti, non solo per la
straordinaria competenza specifica di questo autodidatta, ma
specialmente per la sua capacità di andare oltre il limitante confine
del campo di studio settoriale, che imbriglia ormai da anni una
Accademia insterilita nel pensiero. Ancor più sorprendente si è rivelata
la lettura della sua raccolta di riflessioni sulla società
statunitense: Civiltà americana. Scritti sugli Stati Uniti 1930-1968, la quale è stata, e non è una esagerazione, una specie di folgorazione, quasi un satori, in virtù della visione premonitrice del filosofo.