di: Stefano Moggio
La
democrazia non può che essere la forma di Governo dell’età ultima,
difatti è il “dèmos” [δῆμος], la folla errante e pettegola, indemoniata –
come indica l’etimo della parola stessa – e quindi divisa, a
contendersi il potere, la reggenza della Nazione (che oggi più non è,
essendo sostituita dallo Stato, con tutto ciò che tale cambiamento
implica e su cui non ci soffermeremo in questa sede); è il popolo (dal
latino “poples”, ovvero “ginocchio”), colui che arranca sulle ginocchia,
piegato, a decidere quale autorità dovrà tenere la frusta, mentre nella
forma più alta di Governo, nell’idea di Stato che trascende se stesso
portando seco ogni suo membro, non può ravvisarsi che l’Impero: qui, il
vero Popolo, unito, non disperso in tante fazioni contrastanti – specchi
per le allodole della diabolica democrazia –, agisce come un unico
organismo, unito e armonico, al medesimo tempo coeso seppur nella
divisione di differenti ruoli all’interno del macro-organismo imperiale
(ruoli assegnati per vocazione, secondo la tradizione dei mestieri
antichi).