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lunedì 7 ottobre 2013

PAOLO DI TARSO, il vero creatore del cristianesimo,un ebraismo nel cuore dell'europa



Se vi è un solo fatto da cui non può fare a meno di essere colpito chi studia seriamente la storia del cristianesimo, è la quasi totale assenza di documenti riguardanti l’uomo il cui nome questa grande religione internazionale abbraccia – Gesù Cristo. Sappiamo di lui solo ciò che ci viene detto nei Vangeli del Nuovo Testamento, cioè, praticamente nulla; perché questi libri, anche se prolissi nelle loro descrizioni di fatti miracolosi che lo riguardano, non danno alcuna informazione sulla sua persona e, in particolare, sulle sue origini. Oh, noi abbiamo, in uno dei quattro vangeli canonici, una lunga genealogia che traccia la sua ascendenza da Giuseppe, il marito della madre di Gesù, fino ad Adamo! Ma mi sono sempre chiesta quale possibile interesse potrebbe avere per noi, dato che é stato espressamente detto altrove che Giuseppe non aveva niente a che fare con la nascita del Bambino. Uno dei tanti vangeli apocrifi – respinto dalla Chiesa – attribuisce la paternità di Gesù a un soldato romano1, che si distingue per il suo coraggio e di conseguenza é soprannominato “la Pantera“.


Questo vangelo è citato da Heckel in uno dei suoi studi sul cristianesimo primitivo. Ma accettare tale prova non risolve del tutto la questione molto importante delle origini di Cristo, perché non ci viene detto chi era sua madre Maria. Uno dei Vangeli canonici2 ci dice che lei era la figlia di Gioacchino e Anna, anche se Anna aveva superato l’età della maternità, in altre parole, anche lei deve essere nata miracolosamente, o forse potrebbe essere stata semplicemente una bambina adottata da Anne e Gioacchino nella loro vecchiaia, il che chiarisce davvero poco.Ma c’è qualcosa di molto più sconcertante. Gli annali di un importante monastero della setta degli Esseni, che si trova a circa venti miglia da Gerusalemme, sono stati recentemente scoperti. Essi riguardano annali con un periodo che va dagli inizi del primo secolo prima di Gesù Cristo, alla seconda metà del primo secolo dopo di lui, e si riferiscono, settanta anni prima della sua nascita, ad un grande Iniziato o Maestro spirituale – un “Maestro di Giustizia” – il cui eventuale ritorno è previsto. Della straordinaria carriera di Gesù, delle sue innumerevoli guarigioni miracolose, del suo insegnamento nel corso di tre anni interi in mezzo al popolo di Palestina, del suo ingresso trionfale a Gerusalemme, così brillantemente descritto nei vangeli canonici, del suo processo e la sua crocifissione (accompagnata, secondo i vangeli canonici, da tali eventi sorprendenti, come un terremoto, l’oscurarsi del cielo, per tre ore, e la lacerazione del velo del Tempio in due) – di tutto questo, non una sola parola è detta nei rotoli di questi asceti, uomini eminentemente religiosi che avrebbero sicuramente avuto un interesse per tali eventi. Sembrerebbe, in base a questi “Rotoli del Mar Morto” – consiglio, a chiunque sia interessato, lo studio di John Allegro in inglese – che Gesù non abbia fatto alcuna impressione nelle menti religiose del suo tempo, per quanto avidi di saggezza e ben informati sembrino essere stati gli asceti del monastero in questione, altrimenti … che, molto semplicemente, non sia mai esistito! Per quanto inquietante sia questa conclusione, deve essere sottoposta al pubblico in generale e, in particolare, al pubblico cristiano, alla luce delle recenti scoperte.


Per quanto riguarda la Chiesa cristiana, tuttavia, e il cristianesimo come un fenomeno storico, e il ruolo che ha svolto in Occidente e nel mondo, la questione è molto meno importante di quanto possa apparire a prima vista. Infatti, anche se Gesù ha vissuto e predicato, non era il vero fondatore del cristianesimo come si presenta in tutto il mondo. Se fosse veramente vissuto, Gesù era un uomo “sopra il tempo”, il cui regno – come egli stesso, secondo Vangeli, disse a Pilato – “non era di questo mondo“, un uomo di cui ogni attività e ogni insegnamento era volto a rivelare, a coloro che questo mondo non poteva soddisfare, un cammino spirituale con cui si poteva sfuggire da esso e trovare, nel loro paradiso interiore, in questo “Regno di Dio” che è in noi, Dio “in spirito e verità“, che essi cercavano senza saperlo. Se fosse realmente vissuto, Gesù non ha mai sognato di fondare una organizzazione temporale – e soprattutto non una organizzazione politica e finanziaria – come la Chiesa cristiana è diventata rapidamente. La politica non lo interessava. Ed era così determinato nemico di qualsiasi interferenza di denaro negli affari spirituali che alcuni cristiani, a torto o a ragione hanno visto nel suo odio per la ricchezza un argomento che dimostra, contrariamente a quanto l’insegnamento di tutte le Chiese cristiane (ad eccezione, naturalmente, di quelli che, come i monofisiti, negano la sua natura umana in assoluto), che non era di sangue ebraico. Il vero fondatore del cristianesimo storico, del cristianesimo come lo conosciamo in pratica, come ha svolto e svolge ancora un ruolo nella storia dell’Occidente e del mondo, non è stato Gesù, di cui non sappiamo nulla, né il suo discepolo Pietro , di cui sappiamo che era un Galileo e un semplice pescatore per vocazione, ma Paolo di Tarso, che era Ebreo di sangue, per formazione e per temperamento, e, per di più, era un letterato, dotto ebreo e un “cittadino romano”, allo stesso modo in cui tanti intellettuali ebrei di oggi sono cittadini francesi, tedeschi, russi, o americani.

Il cristianesimo storico – che non è affatto un lavoro “sopra il tempo“, ma un lavoro bene e veramente “nel tempo” – è stato il lavoro di Saulo chiamato Paolo, che è il lavoro di un Ebreo, come il marxismo lo sarebbe stato duemila anni dopo. Cerchiamo quindi di esaminare la carriera di Paolo di Tarso.


l'ebreo PAOLO DI TARSO
Saulo, chiamato Paolo, era un Ebreo e, inoltre, un Ebreo ortodosso e istruito, un Ebreo imbevuto di una coscienza della sua razza e del ruolo che il “popolo eletto” deve, secondo la promessa di Geova, svolgere nel mondo. É stato allievo di Gamaliele, uno dei teologi ebrei più famosi del suo tempo, un teologo dei Farisei, proprio quella scuola che, secondo i Vangeli, il Profeta Gesù, che la Chiesa cristiana avrebbe poi elevato al rango di Dio, per la maggior parte combatté violentemente a causa della loro arroganza, la loro ipocrisia, la loro pratica di teologi alla lettera e il mettere la lettera della legge ebraica di sopra del suo spirito – sopra, almeno, quello che credeva essere il suo spirito, su questi punti si può supporre che Saulo era un tipico fariseo. Inoltre – e questo è fondamentale – Saulo era un Ebreo colto e consapevole nato e cresciuto al di fuori della Palestina in una di quelle città romane dell’Asia Minore che avevano seguito le cittá ellenistiche dell’Asia Minore, pur mantenendo tutte le sue caratteristiche essenziali: Tarso, dove il greco era per tutti lingua franca, dove il latino stava diventando sempre più familiare, e dove si poteva incontrare i rappresentanti di tutti i popoli del Vicino Oriente. In altre parole, era già un Ebreo del “ghetto” che aveva, oltre a una profonda conoscenza della tradizione israelitica, una comprensione del mondo dei goyim – dei non ebrei – che si sarebbe poi rivelata preziosa per lui. Senza dubbio pensava, come ogni buon Ebreo, che il goy esiste solo per essere dominato e sfruttato dal “popolo eletto“, ma ha capito il mondo non ebraico infinitamente meglio di quanto avessero fatto la maggior parte degli Ebrei in Palestina, l’ambiente sociale che ha prodotto tutti i primi credenti nella nuova setta religiosa che era destinata trasformarsi nel Cristianesimo come lo conosciamo oggi.


Sappiamo dagli “Atti degli Apostoli” che Saulo era inizialmente un fiero persecutore della nuova setta. Dopo tutto, i suoi aderenti non disprezzavano la legge ebraica, nel senso stretto della parola? L’uomo che hanno riconosciuto come loro leader e che hanno detto che era risorto dai morti, questo Gesù, che Saul non aveva mai visto, non era un esempio di non-osservanza del sabato, della negligenza dei giorni di digiuno, e di altri trasgressioni altamente censurabili, delle norme di vita da cui un Ebreo non deve mai discostarsi? Era stato anche detto che un mistero, che potrebbe presagire nulla di buono, circondasse la sua nascita, forse non era interamente di origine ebraica – chi lo sa? Come non perseguitare tale  setta, se sei un Ebreo ortodosso, allievo del grande Gamaliele? Era necessario per preservare gli osservatori della Legge dallo scandalo. Saulo, che aveva già dato prova del suo zelo per essere presente alla lapidazione di Stefano, uno dei primi predicatori di questa setta pericolosa, ha continuato a difendere la legge e la tradizione ebraica contro coloro che considerava eretici, fino a che non riconosce, infine, che ci fosse qualcosa di meglio – molto meglio – da farne, proprio da un punto di vista ebraico. Questo lo riconobbe sulla via di Damasco.
La storia, come la Chiesa cristiana si dice, vorrebbe farci credere che è stato lì che ha improvvisamente avuto una visione di Gesù – che non aveva mai, ripeto, visto in carne e ossa – e che udì la voce di quest’ultimo che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” , una voce a cui non ha potuto resistere. Fu, inoltre, presumibilmente accecato da una luce abbagliante e gettato a terra. Preso a Damasco – secondo la stessa fonte negli Atti – incontró uno dei fedeli della setta che era venuto a combattere, un uomo che, dopo aver ripristinato la vista, lo battezzò e lo accolse nella comunità cristiana.


É superfluo dire che questo racconto miracoloso può essere accettato solo, così com’è, da coloro che condividono la fede cristiana. Come tutti i racconti di questo tipo, non ha alcun valore storico. Chiunque, senza idee preconcette, cerchi una spiegazione plausibile – convincente, naturale – di come gli eventi realmente si svolsero, non può essere soddisfatto. E la spiegazione, per essere plausibile, deve tener conto non solo della trasformazione di Saulo in Paolo – del difensore feroce del Giudaismo nel fondatore della Chiesa cristiana come la conosciamo – ma anche della natura, del contenuto e la direzione della sua attività dopo la sua conversione, della logica interna della sua carriera, in altre parole, del legame psicologico, più o meno consapevole, tra il suo passato anti-cristiano e la sua grande impresa cristiana. Ogni conversione implica un legame tra il passato del convertito e il resto della sua vita, una ragione profonda, cioè, un’aspirazione permanente all’interno del convertito, che l’atto di conversione soddisfa, una volontà, una direzione permanente di vita e di azione, di cui il atto di conversione è l’espressione e lo strumento.
Ora, dato tutto ciò che sappiamo di lui, e soprattutto ciò che sappiamo del resto della sua carriera, c’è solo una volontà profonda e fondamentale, inseparabile dalla personalità di Paolo di Tarso in tutte le fasi della sua vita, in grado di fornire una spiegazione della sua conversione Damascena, e quella volontà è il desiderio di servire l’ideale ebraico di dominazione spirituale, in sé il complemento e coronamento dell’ideale di dominazione economica. Saulo, un Ebreo ortodosso, un Ebreo razzialmente consapevole, che aveva combattuto contro la nuova setta sul presupposto che rappresentava un pericolo per l’ortodossia ebraica, avrebbe potuto rinunciare alla sua ortodossia e diventare l’anima e il braccio di una setta così pericolosa solo esattamente dopo aver riconosciuto che, rivista da lui, trasformata, adattata alle esigenze del mondo più ampio dei Goyim – i “Gentili” dei Vangeli – e interpretata, se fosse necessario, in modo da dare, come Nietzsche avrebbe detto più tardi , “un nuovo significato ai misteri antichi“, di diventare, nel corso dei secoli successivi e forse anche per sempre, il più potente strumento di dominio spirituale di Israele, i mezzi che avrebbero realizzato, più sicura e più definitiva, l’auto- professata “missione” del popolo ebraico per regnare su altri popoli e sottometterli moralmente, mentre li si sfrutta economicamente. E più sarebbe stato completo il plagio, va da sé, tanto più lo sfruttamento economico sarebbe potuto fiorire. Solo per questo premio è valsa la pena dolorosa di ripudiare la rigidità della legge antica e venerabile. O, per parlare in un linguaggio più banale, la conversione improvvisa di Saulo sulla via di Damasco può essere naturalmente spiegata solo se si ammette che egli deve aver avuto un breve assaggio sulle possibilità che il cristianesimo nascente gli offriva per il profitto e l’influenza morale del suo popolo, e che egli avrebbe pensato – in un colpo di genio, va detto -: “Ero miope nel perseguitare questa setta, invece di fare uso di essa, costi quel che costi! Io ero stupido nell’attenermi a forme – semplici dettagli – invece di vedere l’essenziale problema: gli interessi del popolo d’Israele, del popolo eletto, della nostra gente, di noi Ebrei


L’insieme della successiva carriera di Paolo è un esempio – una prova, nella misura in cui si può pensare di “provare” i fatti di questa natura – di questa inversione brillante, della vittoria di un Ebreo intelligente, un uomo pratico, un diplomatico (e chi dice “diplomatico” in connessione con questioni religiose dice in realtá ingannatore) sull’Ebreo ortodosso, colto, che guardava soprattutto ai problemi di purezza rituale. Dopo la sua conversione Paolo infatti ha dato se stesso allo “Spirito” e se ne andò dove lo “Spirito” gli suggeriva, o meglio gli ordinava di andare, e pronunciò le parole che lo “Spirito” gli ispirava. Ora, dove “ordina” di andare lo Spirito Santo? Era in Palestina, tra gli Ebrei che ancora condividevano gli “errori” che aveva appena abiurato pubblicamente e che sembrano i primi ad avere il diritto alla sua nuova rivelazione? Mai! Questa è l’unica cosa che non va! É invece in Macedonia, così come in Grecia e tra i Greci dell’Asia Minore, tra i Galati, e più tardi presso i Romani – nei paesi Ariani, o comunque in paesi non-ebrei – che il neofita predica il dogma teologico del peccato originale e della salvezza eterna attraverso Gesù crocifisso, e il dogma morale di uguaglianza di tutti gli uomini e tutti i popoli, è ad Atene che egli proclama che Dio ha creato “tutte le nazioni, tutti i popoli di un solo e stesso sangue “(Atti 17,26).


In questa negazione delle differenze naturali tra le razze, gli Ebrei non avevano naturalmente alcun interesse, ma era molto utile dal loro punto di vista predicarlo, imporlo sui Goyim, al fine di distruggere in loro quei valori nazionali che avevano, fino a quel momento, formato la loro forza (o meglio semplicemente per accelerare la loro distruzione, perché, fin dal IV secolo prima di Cristo, erano già in declino sotto l’influenza degli Ebrei “ellenizzati” di Alessandria). Non c’è dubbio che Paolo predicò anche «nelle sinagoghe», cioè, ad altri ebrei, ai quali ha presentato la nuova dottrina come il risultato delle profezie e delle aspettative messianiche; senza dubbio, ha detto ai figli del suo popolo, come pure ai “timorati del Signore” – ai metà ebrei, come Timoteo, e ai quartieri ebraici che abbondavano nei porti del Mar Egeo (come a Roma) – che Cristo fu crocifisso e risorse, il quale ha annunciato, che non era altri che il Messia della promessa. Ha dato un nuovo significato alla profezie ebraiche così come ha dato un nuovo significato ai misteri immemorabili della Grecia, dell’Egitto, della Siria e dell’Asia Minore: un significato che attribuiva al popolo ebraico un ruolo unico nel suo genere, un luogo unico nel suo genere e una importanza unica nelle religioni non ebree. Per lui era semplicemente il mezzo per assicurare al suo popolo la dominazione spirituale in futuro. Il suo genio – non religioso, ma politico – consiste nell’aver capito questo.


Ma non è solo nel campo della dottrina che egli può dimostrare tali flessibilità sconcertanti: “un Greco con i Greci, e un Ebreo con gli Ebrei“, come dice lui stesso. Ha uno spiccato senso di necessità pratiche, così come impossibilitá. Egli stesso è, anche se inizialmente in modo ortodosso, il primo ad opporsi a qualsiasi imposizione della legge ebraica ai convertiti al cristianesimo di razza non-ebrea. Egli insiste – contro Pietro e il gruppo meno conciliante dei primi cristiani a Gerusalemme – che un cristiano di origine non ebraica non ha bisogno della circoncisione, né di regole alimentari ebraiche. Nelle sue lettere scrive ai suoi nuovi fedeli – mezzi ebrei, mezzi greci, Romani di origine dubbia, Levantini di tutti i porti del Mediterraneo: a tutti quelli senza razza, a tutti coloro era in procinto di formare come un legame tra la sua gente e le sue tradizioni immutabili, e il vasto mondo da conquistare – che non esiste, per loro, alcuna distinzione tra ciò che è “puro” e ciò che è “impuro“, che é loro consentito mangiare tutto quello che vogliono (“tutto ciò che è venduto sul mercato“). Sapeva che, senza queste concessioni, il Cristianesimo non poteva sperare di conquistare l’Occidente, né poteva Israele sperare di conquistare il mondo, tramite l’Occidente convertito.
Pietro, che non era affatto un Ebreo del “ghetto” ed era quindi ancora familiare con le condizioni del mondo non ebraico, non vedere le cose dalla stessa prospettiva – non ancora, in ogni caso. É per questo motivo che dobbiamo vedere in Paolo il vero fondatore del Cristianesimo storico: l’uomo che ha costituito, dalla dottrina puramente spirituale del profeta Gesù, la base di un’organizzazione militante “nel tempo“, il cui obiettivo era, nella profonda coscienza dell’Apostolo, niente di meno che il dominio del suo popolo in un mondo moralmente evirato e fisicamente imbastardito, un mondo in cui l’amore incompreso per l’”uomo” porta direttamente al miscuglio indiscriminato delle razze e la soppressone di tutto l’orgoglio nazionale – - in una parola, alla degenerazione umana.
É tempo che le nazioni non ebraiche finalmente aprano gli occhi a questa realtà di duemila anni, in modo da percepire tutta la sua attualità struggente, e che reagiscano di conseguenza.
Scritto a Meadi (vicino al Cairo) il 18 giugno 1957.


Pubblicato la prima volta come Paul de Tarse, ou Christianisme et juiverie (Calcutta: Savitri Devi Mukherji, 1958). Trans. Irmin. Il testo originale francese è inoltre disponibile. Savitri, quasi certamente scrivendo a memoria, fa due piccoli errori di fatto nel precedente saggio: (1) la voce secondo cui il padre di Gesù era un legionario romano soprannominato Panthera è stata riportata dal filosofo pagano Celso  nel suo Polemica anticristiana. Non appare in nessuno dei vangeli apocrifi, come Savitri suggerisce erroneamente. Variazioni sulla storia possono essere trovate nel Talmud ebraico. (2) il racconto dei genitori di Maria a cui lei fa riferimento appare nel Vangelo apocrifo di Giacomo, non nel Nuovo Testamento.


fonte: http://resistenzabianca.wordpress.com

1 commento:

  1. Interessante articolo soprattutto questa parte:
    "Ed era così determinato nemico di qualsiasi interferenza di denaro negli affari spirituali che alcuni cristiani, a torto o a ragione hanno visto nel suo odio per la ricchezza un argomento che dimostra, contrariamente a quanto l’insegnamento di tutte le Chiese cristiane (ad eccezione, naturalmente, di quelli che, come i monofisiti, negano la sua natura umana in assoluto), CHE NON ERA DI SANGUE EBRAICO."
    Che Gesù Cristo sia esistito è sicuro, altrimenti non si spiegherebbe tutto l'odio che gli ebrei hanno per Lui nel Talmud. Lo odiavano (e lo odiano ancora) per il semplice fatto che andava contro le loro regole ed i loro scopi, e se Cristo non era di sangue ebraico allora questo sarebbe un pezzo interessante che va all'aggiungersi al motivo del perché non l'abbiano accettato come Messia.
    Mi sono resa conto che anche la Bibbia, comunque, è stata manipolata e si tratta solamente di una copia dell'Ebraismo, esattamente come l'Islam, e non a caso sono le tre religioni che hanno portato morte, terrore e distruzione nel mondo.
    A questo punto mi chiedo: le nostre vere radici sono rappresentate dal Paganesimo?


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