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lunedì 4 novembre 2019

LA MARCIA SU ROMA: LA RIVOLUZIONE CHE CAMBIO' LA STORIA DEL MONDO


E’ una stupidaggine ridurre la Marcia su Roma a una commedia (…) fu un moto ben organizzato che indusse il re a concludere che lo scontro cruento andava evitato (…). (…) il sovrano non aveva capito la forza del suo interlocutore, la lucidità del suo disegno e l’ampiezza della base sociale che gli stava dietro”.

(Luciano Canfora – Intervista sul potere, Laterza, 2013)

Il 28 ottobre 1922 segna l’epilogo del periodo insurrezionale iniziato dalle Camicie nere nell’agosto di quell’anno e rappresenta la soluzione della crisi politica italiana, che ripeteva le sue origini dalle stesse cause che già avevano fatto insorgere gli interventisti e guidato d’Annunzio a Fiume. Le giornate fasciste di Ferrara, Bologna e Ravenna del maggio, giugno, luglio 1922 hanno luminosamente dimo­strato che il DUCE può contare in ogni momento e per qualsiasi evento su una numerosa milizia armata, pronta a tutto, inquadrata con ferrea disciplina; che la Rivolu­zione ha ai suoi ordini masse enormi di autentico popolo. 


Ma il governo si ostina, con tragica incomprensione, a credere di poter liquidare il Fascismo con un’azione di polizia, dimostrandosi sempre più incapace e impotente dinanzi ai gravi problemi dell’ora, mentre gli avversari ancora non riescono a capire che la partita si giuoca fuori del parlamento: nelle campagne, negli opifici, nelle università, sulle piazze e per le vie. Il fronte antifascista si perde in « mozioni » e in « combinazioni », senza rendersi conto che l’Italia non ha bisogno di un ministero, ma di un governo, senza comprendere che nulla si può contro il Fascismo, il quale si è presentato alla soglia della storia italiana, non tanto come un partito quanto come « un fenomeno religioso », come « un prodotto della razza ». 
 

I socialcomunisti non aderiranno mai a nuove elezioni generali; e infatti soltanto il parlare « a scopo di polemica » di un appello al paese dà ad essi « un leggero brivido lungo il filo della schiena ». I ministeri si succedono ai ministeri, senza programmi, con funzioni « inesorabilmente transitorie », sino a quando la coalizione antinazionale non tenta di dare ad un uomo come Facta la « fiducia », a condizione che sia assicurato « il ripristino della legge e della libertà », il che significa chiaramente: « governo di violenta reazione antifascista ». Ma il prospettarsi di una simile eventualità trova nelle incisive parole di MUSSOLINI (19 luglio 1922) un’eloquente risposta « affidata alla meditazione e alla coscienza degli avversari »: « …Noi reagiremo con la massima energia e con la massima inflessibilità. Noi alla reazione risponderemo insorgendo » (Scritti e discorsi, ed. definitiva, II, p. 304).


La guerriglia tra fascisti e socialcomunisti riprende in modo violento: il tentativo di conciliazione dell’anno prima si dimostra inutile. I sovversivi continuano nelle imboscate e nelle uccisioni a tradimento, ma ogni azione criminosa dei rossi trova la sua risposta immediata nelle violente ed inesorabili azioni di rappresaglia dei fascisti, nelle cavalleresche e chirurgiche spedizioni puni­tive degli squadristi. Alla recrudescenza della delinquenza antinazionale si oppone alfine una azione coordinata, intelligente, generale e risolutiva, diretta contro i centri vitali degli avversari per annientare i focolai di infezione dell’antifascismo. Il 31 luglio 1922, come sfida al Fascismo, il Comitato « sedicente segreto » dell’Alleanza generale del lavoro ordina uno sciopero generale, « sciopero legalitario », esteso a tutti i servizi pubblici. 

È uno sciopero morto prima di nascere, che nella intenzione di chi lo ha preor­dinato deve significare l’opposizione dei lavoratori al Fascismo e deve indurre il governo ad assumere un aperto atteggiamento antifascista. Il Partito nazionale fascista non si lascia cogliere alla sprovvista e risponde il 10 agosto, mobilitando tutti i suoi iscritti con il seguente proclama: « Fascisti! Italiani! I partiti antinazionali, che si rac­colgono ibridamente nell’Alleanza del lavoro, hanno lanciato un guanto di sfida al Fascismo e alla nazione. Lo sciopero generale che dovrebbe cominciare alla mez­zanotte di oggi è miserabile e vile, perché deve servire, non a riscattare la massa operaia dal Fascismo, il che è impossibile e assurdo, perché gran parte dei lavoratori è schierata sotto i nostri gagliardetti, ma a varare il cosiddetto Ministero di sinistra. Ora il Fascismo raccoglie immediatamente il guanto di sfida. Da questo momento sino a nuovo ordine tutti i fascisti italiani, dalle Alpi alla Sicilia, sono mobilitati e vincolati, costi quel che costi, alla nostra ferrea disciplina e agli ordini dei poteri fascisti responsabili, decisi a rintuzzare questo tentativo estremo della demagogia rossa. Operai italiani! Rifiutatevi a questa turpe mistificazione di politicanti abietti che giocano sulla vostra pelle le loro fortune parlamentari, Ferrovieri e postelegrafonici fascisti! Restate al vostro posto a compiere con tranquilla coscienza il dovere. 

La nazione ve ne sarà grata. Il Fascismo vi proteggerà. Diamo 48 ore di tempo allo stato perché dia prova della sua autorità in confronto di tutti i suoi dipendenti e di coloro che attentano alla esistenza stessa della nazione. Trascorso questo termine il Fascismo rivendicherà piena libertà di azione e si sostituirà allo stato che avrà ancora una volta dimostrata la sua impotenza. Fascisti di tutta Italia: A noi! Viva l’Italia! Viva il Fascismo!» Le Camicie nere, sempre pronte a schierarsi in difesa dello stato per impedire l’intima disgregazione dei fondamenti essenziali alla solidarietà nazionale, al solo profilarsi della eventualità di uno stato socialcomunista o, peggio, di un antistato, cominciano a sostituirsi ai poteri respon­sabili. Il formidabile numero dei componenti il Partito, l’aristocrazia del pensiero e dell’azione che lo dirige, la dura volontà degli squadristi, il sacrificio glorioso dei martiri, impongono da tempo al Fascismo un dovere che è un diritto: la conquista del potere, il governo d’Italia. Il dilemma era soltanto nella scelta del metodo: legalità o insurrezione? Ma questo più che dalla volontà degli uomini doveva essere risolto dal volgere delle circo­stanze. Intanto, i Fasci di combattimento partono al contrattacco normalizzando la situazione; le roccaforti sovversive vengono sistematicamente attaccate e distrutte; leghe, cooperative, circoli e municipi rossi sono invasi e presidiati dagli squadristi; così attraverso mille illega­lità il rispetto alla legalità viene imposto. 




Il dualismo tra il governo legale che nessun provvedimento aveva saputo o voluto prendere per difendere lo stato, e l’illegale governo fascista che lo stato aveva difeso e difendeva, raggiunge quasi il limite della tensione. Intanto il quadro geografico dello sciopero, tutt’altro che generale, si riassume come segue: «Liguria, Piemonte, Lombardia: sciopero parzialissimo, ma Veneto quasi niente. Altrettanto dicasi dell’Emilia, della Toscana, del l’Umbria. Nelle Marche si è scioperato, ma negli Abruzzi e Molise nessuno si è accorto che uno sciopero generale fosse stato proclamato. Nelle Puglie soltanto a Bari si è scioperato, ma la Campania con Napoli alla testa è rimasta tranquillamente al lavoro. Così dicasi della Basilicata, delle Calabrie, della Sicilia e della Sar­degna. A Roma si è scarsamente sentito lo sciopero ma nel Lazio si è dovunque lavorato» (B. MUSSOLINI, Beffa atroce, nel Popolo d’Italia, 4 agosto 1922). 

Tutte le città sono imbandierate, anche quelle che hanno aderito all’appello antinazionale ; in alcune i servizi pubblici sono assicurati dai componenti delle squadre d’azione che hanno stroncato in pieno i movimenti dell’avversario. Il Popolo d’Italia pubblica quotidianamente una lunga « cronaca rapida del fallimento », bollettino giornaliero della avvilente disfatta rossa: « lo sciopero superlativamente idiota» viene così registrato come un « fenomeno di pura follia e di estrema abiezione ». MUSSOLINI scrive sul suo glorioso giornale: « lo sciopero è finito quasi dovunque ed è stato generale solo nell’insuccesso. Ora bisogna parlarci chiaro. Chiarissimo. Se lo sciopero è stato un miserabile aborto non lo si deve alle misure del governo. Se i treni, se le poste, hanno funzionato non lo si deve alle misure preventive prese dal governo, ma al concorso spontaneo, disinteressato, entusiasta, degli elementi nazionali. Quegli elementi che il governo tratta alla stessa stregua degli altri… antinazionali. Ancora una volta lo stato italiano ha rivelato la sua spaventevole defi­cienza tecnica. Se la nazione non è rimasta al buio, asso­lutamente priva di notizie, il merito non spetta al governo ma ad alcuni coraggiosi giornali ed agli operai tipografi che si sono rifiutati all’ukase mostruoso della loro fede­razione. Lo stato italiano non ha ancora capito che prov­vedersi dei mezzi necessari per informare il popolo è altrettanto necessario come piazzare le mitragliatrici davanti gli edifici pubblici. 

Dopo la deficienza avremo il solito spettacolo di viltà? Signor Facta, voi avete l’obbligo preciso di licenziare immediatamente tutti i postelegrafo­nici ed i ferrovieri che hanno abbandonato il lavoro! Signor Facta, voi avete l’obbligo preciso di applicare la legge anche se i colpiti fossero per avventura la maggioranza. Bisogna tagliarlo questo bubbone! Licenziare tutti i fer­rovieri scioperanti significa risanare un poco il catastrofico bilancio delle ferrovie. Nessuno protesterà contro questa misura. I socialisti meno degli altri poiché essi appunto più di tutti hanno in questi ultimi tempi reclamato la applicazione severa della legge. Signor Facta, basta con la viltà! Ed anche un monito severo va lanciato alla bor­ghesia. La passività con cui gran parte della cosiddetta borghesia si rassegna agli scioperi generali va altamente deplorata. C’è una tremebonda viltà borghese che si appaia alla viltà del governo e dà dei punti alla viltà dei capoccioni proletari. Tutto ciò deve finire. Ancora una volta la nazione ha visto su chi può contare. Può contare sul Fascismo. Quanto ai ciarlatani del pus (Partito Unitario Socialista) e del superpus essi a quest’ora si saranno melanconicamente convinti che non c’è niente da fare. La prova è stata solenne e decisiva. I fascisti faranno duramente scontare ai pussisti il sangue dei fascisti colpiti qua e là a tradi­mento. Ma il Fascismo esce da questa battaglia fermis­simo, intatto, vittorioso ed invincibile. Onore ai fascisti di tutta Italia» (art. Basta con la viltà, nel Popolo d’Italia, 3 agosto 1922). Sembra giunto il momento della insurrezione generale. Voci allarmanti circolano in proposito. I direttori dei Fasci rassegnano le dimissioni trasferendo i poteri a spe­ciali comitati segreti incaricati « di esplicare l’azione offensiva indicata dalla direzione del Partito» (Il Popolo d’Italia, 3 agosto 1922): Ma i tempi non sono ancora maturi. Il giorno 3 l’Alleanza generale del lavoro riconosce il proprio fallimento e la vittoria fascista, ordinando la ripresa del lavoro con il seguente laconico comunicato: « Il Comitato nazionale dell’Alleanza del lavoro, soddi­sfatto dello sviluppo e dello svolgimento dello sciopero generale, avendo la dimostrazione del proletariato ita­liano raggiunto il suo obiettivo con la messa in evidenza della forza e della volontà della classe lavoratrice, dichiara chiuso lo sciopero e invita le organizzazioni alleate a disporre per la ripresa del lavoro ».





La miseria di questa menzogna desta l’umorismo fascista, sgomenta e sommersa dalla sconfitta tremenda e dalla realtà feconda delle cento e cento sezioni di Fasci di combattimento che fioriscono allora per ogni dove nella penisola. Al Fascismo cominciano ad affluire le simpatie dei cosiddetti elementi d’ordine, per quanto anche questi sino a qualche mese prima non ne abbiano afferrato la reale portata storica: lo sciopero idiota dà i suoi frutti. Al laconico comunicato dell’Alleanza del lavoro fa degno riscontro il proclama del Partito nazionale fascista lanciato nella stessa giornata del 3 agosto: « Fascisti! Italiani! Lo sciopero nazionale è clamorosamente e miseramente fallito. Siamo davanti non ad un insuccesso ma ad una catastrofe di proporzioni gigantesche. La conclamata vittoria di riscossa contro l’irresistibile movi­mento fascista si è ridotta ad una parziale e svogliata astensione dal lavoro, limitata a poche provincie d’Italia. Intere categorie di autentici lavoratori si sono rifiutate di subire la sordida speculazione politica dei nostri nemici. Ferrovieri e postelegrafonici, operai delle Corporazioni nazionali, Camicie nere e triari, tutti i capi e i gregari del Fascismo sono stati all’altezza della situazione. Le cento città d’Italia sono imbandierate, le saltuarie imboscate dei socialcomunisti sono state inesorabilmente punite. Su molte Camere del lavoro e dai balconi di molti muni­cipi sventola il tricolore issato dai fascisti. 

Il tentativo nefando non è riuscito, ma non deve essere dimenticato e non devono essere dimenticate le responsabilità dei capi, specialmente di quelli della destra socialista, più gesuiti e più canaglie degli altri. Di fronte ad una situazione così mortificante per i falsi pastori del proletariato, l’Alleanza si è decisa a proclamare la cessazione di uno sciopero generale che non c’è stato o che era già dovunque finito dopo breve e ingloriosa agonia. Non ci illudiamo che i ciarlatani del sovversivismo italiano riconoscano la loro tremenda disfatta. Sono in malafede e vivono di menzogne. Ma milioni e milioni di cittadini; l’intera nazione possono testimoniare che il supremo tentativo antifascista si è risolto in una grandiosa vittoria politica e morale del Fascismo italiano. « Fascisti! Italiani! Alla sconfitta, che osiamo chiamare definitiva, della accozzaglia rossa fa degno riscontro l’insufficienza dello stato italiano. Senza il Fascismo la crisi della vita nazionale sarebbe stata infinitamente più grave, poiché il governo non ha saputo prevenire, non ha saputo provvedere e non ha saputo duramente punire i suoi dipendenti disertori. 

Ancora una volta la pusillanimità dello stato liberale è apparsa a chiara luce di sole e i fascisti hanno dovuto sostituirsi tecnicamente e politicamente a questo stato eternamente impreparato, oscillante, privo di volontà. Fascisti! Stroncando col vostro coraggio e col vostro spirito di sacrificio questo ultimo criminoso grot­tesco attentato all’integrità e alla fortuna della patria, voi avete ancora una volta altamente meritato dalla nazione. Viva l’Italia ! Viva il Fascismo! » (Il Popolo d’Italia, 4 agosto 1922). 

 
Guardie Rosse durante lo sciopero generale e l'occupazione delle fabbriche

Ma i Fasci di combattimento non smobilitano e conti­nuano nel contrattacco per portare al fronte antinazionale un colpo tremendo, dal quale non si riavrà più. Il giorno 5 dal Partito è diramato un comunicato che dice: « Soprav­venute circostanze impongono che tutti i fascisti d’Italia restino mobilitati. Laddove fosse stata per caso effettuata la smobilitazione si proceda ad una nuova mobilitazione. Sia cura dei capi provvedere all’ordine più severo, alla più rigida disciplina dei loro uomini e a non intraprendere nuove azioni che non siano rese necessarie da eventuali attacchi degli avversari» (IlPopolo d’Italia, 5 agosto 1922). La violenta azione fascista è totalitaria e risolutiva. I centri d’azione e di resistenza del fronte nemico sono travolti: il momento favorevole viene opportunamente sfruttato. I socialcomunisti scontano amaramente il sangue dei fascisti uccisi e pagano in proprio i quattrocento milioni che era costata allo stato italiano la loro follia. 

L’occupazione di Palazzo Marino e l’incendio dell’Avanti! a Milano sono gli episodi più salienti e più significativi dell’insurrezione, mentre i deputati del pus (Partito Unitario Socialista) offrono un ributtante spettacolo nelle soffici e comode trincee di Montecitorio da dove implorano protezione contro la violenza fascista, dopo aver sobillato all’odio e incitato alla guerra civile. È così che l’eventualità che il Fascismo « arrivi a parte­cipare alla vita dello stato attraverso una saturazione legale» viene definitivamente scartata. È fatale che lo stato forte, « necessario per la vita e la grandezza d’una nazione, come la nostra », non possa sorgere « da una serie di confluenze e di riconoscimenti teorici e pratici» ma debba ineluttabilmente sorgere « da una battaglia campale ».




L’antifascismo è battuto in pieno, sconfitto su tutta la linea, definitivamente: il socialismo esce « da questa battaglia con le ossa completamente stritolate ». Ma gli avversari, irriducibili, non vogliono disarmare e giocano ancora una carta propalando notizie tendenziose su un prossimo colpo di mano da parte dei Fasci e cercando di pescare nel torbido. Le voci allarmiste e tendenziose vengono smentite il giorno 7 dal seguente comunicato del Partito: « qualche giornale diffonde voci allarmistiche prive di ogni e qualsiasi consistenza. Notizie pervenute alla Direzione fascista recano che, avendo i fascisti rag­giunto dovunque gli obiettivi, la calma va ristabilendosi. Se, come si prevede, nuove circostanze non si verifiche­ranno, l’ordine di smobilitazione ai fascisti non tarderà ad essere emanato. La voce messa in circolazione che i fascisti puntino su Roma per tentare un colpo di stato è destituita di fondamento» (Il Popolo d’Italia, 8 agosto 1922). Il pietoso fallimento dell’insurrezione socialista è accom­pagnato dal fecondo sviluppo delle associazioni sinda­cali fasciste che si impongono con i trionfi politici di Genova, Livorno, Ancona. La vittoria è completa e defi­nitiva. Il giorno 9 viene divulgato il manifesto della smo­bilitazione fascista: « Fascisti! La grande battaglia è vinta su tutto il fronte. 

Il bluff del sovversivismo, che fino a ieri ricattò lo stato, che fino a ieri minacciò la tran­quillità della nazione, è stato duramente, inesorabilmente punito. Crediamo che di scioperi generali non si parlerà più per un bel pezzo. L’Italia può oggi, mercé il sacrificio dei nostri indimenticabili morti, mercé l’opera santa di tutti voi, o fascisti italiani, l’Italia può oggi iniziare senza tema di essere pugnalata alle spalle la sua ricostru­zione morale ed economica. Italiani! Italiani di tutte le fedi non estranee al sentimento della patria, Italiani di tutti i partiti non stranieri in terra italiana, il Partito nazionale fascista saluta la conquistata vittoria col duplice grido che è poi un grido solo di: Viva l’Italia! Viva il Fascismo! Così come lo salutarono, esalando l’ultimo respiro, i nostri squadristi, rinnovanti la leggenda garibal­dina. Viva l’Italia! Viva il Fascismo! Lavoratori! Il Fascismo non è contro di voi. 

Il Fascismo sa che non vi è possibilità di grandezza per una nazione se gli uomini del lavoro non abbiano tutelato i loro legittimi interessi. Ogni diritto è preceduto dal dovere e la legittimità di esso incomincia quando il dovere è già compiuto. Il vostro primo dovere è di ricacciare lontano da voi chiunque tenti di adoperarvi contro la patria. Il Partito nazionale fascista, spezzando le catene che vi mantenevano schiavi di malvagi pastori, che dopo avervi spinto all’inconsulto sciopero si sono, nel momento dell’azione, vigliaccamente eclissati, ha ridonato a tutti voi, o lavoratori italiani, la libertà. Sappiatene sag­giamente usufruire! Fascisti! riguadagnate le vostre sedi fieri del dovere compiuto. Sia cura dei capi procedere alla smobilitazione, lasciando i necessari presidi solo in quelle località dove la situazione lo richiede. Le squadre, prima di partire, rendano gli onori all’esercito. Esse attendano, sotto la guida dei loro capi, ad intensificare la propaganda, consolidare le posizioni conquistate e prepararsi assidua­mente alla più grande battaglia futura. Essa coronerà degnamente l’opera vostra. Viva l’Italia! Viva il Fascismo!» (Il Popolo d’Italia, 9 agosto 1922). «Il duello in tre» che si andava « paradossalmente com­battendo da oramai quattro anni », eliminato il contendente più pericoloso per la nazione, ritorna « il duello quale viene dalla stessa parola significato : stato socialista da una parte, anti—stato fascista dall’altro» (B. MUSSOLINI, Stato, Anti-Stato e Fascismo, in Gerarchia del 25 giugno 1922 ripubblicato in Scritti e discorsi, II, p. 291). 

Necessità di ordine, di lavoro, di disciplina, intimamente sentite da tutta la nazione, « ragioni nazionali e ragioni umane », avreb­bero fatto preferire a MUSSOLINI una normalizzazione dei rapporti tra i partiti e della vita politica in genere, ma il fatto che gli avversari, i quali in un primo tempo avevano cercato inutilmente di ignorare il Fascismo, avevano poi tentato e ancora speravano di poterlo distruggere con le mitragliatrici del governo, impone l’insurrezione armata. Questa si palesa ormai come una necessità inde­rogabile per la quale non si attende più che il momento opportuno: la sostituzione della classe politica gover­nante la quale aveva sempre condotto « una politica di abdicazione di fronte a quel partito gonfio di vento che era il socialpussismo italiano » deve essere radicale. È questa l’unica soluzione che possa permettere al Fascismo di superare il dilemma che lo tormenta « tra il volere l’autorità dello stato e compiere spesso delle azioni che certamente non aumentano la forza di questa autorità ». 





Il potenziale del Fascismo intanto aumenta e si affina, la preparazione armata delle squadre d’azione si completa, la tecnica di combattimento degli squadristi si migliora si perfeziona, mentre in tutta la nazione, financo negli avversari, si determina e si estende uno stato d’animo come di disagio e di irrequietezza. La situazione è inso­stenibile senza uno stato forte ed autoritario, senza un governo che sia veramente tale: gli sguardi di tutti si appuntano al Fascismo. Già nel novembre 1921 il Fascismo aveva avuto a Roma il suo congresso e la scelta della sede non fu occa­sionale: esprimeva un profondo significato ideale. Roma e Italia sono sempre stati per MUSSOLINI « due termini inscindibili» e nel pensiero del DUCE Roma non è stata mai intesa come « contemplazione nostalgica del passato, ma dura preparazione per l’avvenire ». È naturale quindi che l’obiettivo della Rivoluzione, che concreta il suo programma nella dura e ferma volontà di costruire una Italia romana ed imperiale, si identifichi sotto l’impulso di un profondo sentimento ideale, con la conquista del potere quale risultato di una marcia militare sulla capitale. Nel frattempo un’abile propaganda sovversiva appunta l’indice contro la « inesorabile violenza fascista » mirando a far apparire le squadre d’azione come bande armate di sicari. Ma l’arma è inopportunamente impugnata, l’azione sortisce un effetto contrario e si ritorce contro chi l’effettua. I fatti sono troppo chiari e la realtà non può più essere falsata. L’opinione pubblica si orienta decisamente anche nelle categorie più elevate a favore della Rivoluzione, la cui verità è testimoniata dall’eroico sacrificio di cento e cento martiri, gloriose vittime della barbarie rossa. I discorsi che il DUCE intanto pronuncia a Levanto e ad Udine, a Cremona e alla « Sciesa » di Milano (Scritti e discorsi, II, pp. 307, 323, 327), sono altret­tanti colpi di maglio, la cui risonanza si estende per tutta la penisola. Le sue parole sono chiarissime e pongono il problema nei suoi termini crudi e netti, fis­sando senza sottintesi gli obiettivi e gli atteggiamenti del Fascismo.

Il DUCE parla non più al suo Partito, ma alla nazione intera e il popolo italiano ascolta la voce del figlio suo migliore: « L’Italia che è venuta dalle trincee è un’Italia forte, un’Italia piena di impulsi, di vita. È una Italia che vuole iniziare un nuovo periodo di storia. Il contrasto è quindi plastico, drammatico, fra l’Italia di ieri e la nostra Italia. L’urto appare inevitabile ». « Ormai lo stato liberale è una maschera dietro la quale non c’è nessuna faccia. È una impalcatura; ma dietro non c’è nessun edificio. Ci sono delle forze, ma dietro di esse non c’è più lo spirito ». « Non abbiamo grandi ostacoli da superare, perché la nazione attende, la nazione spera in noi. La nazione si sente rappresentata da noi… ». « I cittadini si domandano: quale stato finirà per dettare la sua legge agli Italiani? Noi non abbiamo nessuna paura a rispondere: lo stato fascista». 

«Noi vogliamo che l’Italia diventi fascista, perché siamo stanchi di vederla all’interno governata con principi e con uomini che oscillano continuamente tra la negligenza e la viltà; e siamo soprattutto stanchi di vederla considerata all’estero come una entità trascurabile ». « La marcia non può fermarsi sino a quando non abbia raggiunta la meta suprema: Roma! e non ci saranno ostacoli, né di uomini né di cose che potranno  fermarci». « Il nostro programma è semplice: vogliamo governare l’Italia… ». 

Siamo alla fine di settembre, primi di ottobre. Gli avversari giocano sulla « famosa tendenzialità repubblicana del Fascismo» ma l’istituto monarchico è voluto dal DUCE al di fuori e al disopra della lotta. MUSSOLINI ha presente l’importanza incalcolabile del compito della monarchia, avendo identificato con essa « la continuità storica della nazione» e inoltre i fascisti sanno che « le forme politiche non possono essere approvate o disappro­vate sotto la specie dell’eternità ma debbono essere esaminate sotto la specie del rapporto diretto fra di loro, della mentalità, dello stato di economia, delle forze spirituali di un determinato popolo » (Scritti e discorsi, II, p. 318).
 
Viene sollecitato anche l’esercito, ma gli ufficiali ita­liani non possono essere contro chi ha combattuto al loro fianco, contro chi li ha difesi da quanti li sputacchiavano inneggiando al disertore dalla triplice amnistia. Lo stato intanto è tenuto al rimorchio dal Fascismo che con la tempestività dei soccorsi portati a San Terenzio di Spezia, con l’occupazione di Bolzano e il concentra­mento delle forze fasciste a Trento, conferma la sostitu­zione in atto dello stato demoliberale con lo stato fascista. Ed è infatti con l’azione dello stato fascista che l’Italia « entra » una volta per sempre a Bolzano dove tre giorni di squadrismo bastano a cancellare l’opera nefasta di quattro anni di viltà governativa. E non si tratta di una questione politica che riguardi ragioni di partito, è una questione nazionale che il Fascismo affronta a Bolzano come a Trento determinando la fine immediata della più umiliante ed avvilente delle parentesi politiche. 

Mentre si svolgono queste imprese di carattere statale (veri e propri atti di governo) viene completato l’inqua­dramento militare degli iscritti al Partito nelle legioni della Milizia fascista e si comincia ad operare nelle file dei gregari una epurazione di quegli elementi turbatori e profittatori che nei momenti difficili si erano dovuti accettare senza il consueto vaglio dell’onestà dei senti­menti e degli intendimenti. Ma i tempi sono oramai maturi e l’azione precipita: « il moto degli eventi diventa sempre più veloce. È inutile attendere una soluzione parlamentare la quale contrasterebbe con lo spirito del Fascismo ». Nel momento, « i tentativi di combinazione dell’ultim’ora falliscono, anzi non sono presi sul serio che per guadagnare il tempo necessario ad una prepa­razione di armi meno rudimentali », mentre si palesa la necessità di un’azione a fondo su Parma, roccaforte sovversiva, la cui occupazione è richiesta dalla prossima Marcia su Roma. Le colonne che punteranno sulla capitale devono avere le spalle sicure. Ma alla vigilia, le operazioni sono rinviate a data da destinarsi per ordine di Mussolini: « non è possibile limitare l’azione su Parma: bisogna pre­pararla in grande stile e con più vasti obiettivi. Parma se mai non potrebbe essere che un pretesto» (R. Farinacci, Squadrismo. Dal mio diario della vigilia, Roma XI, p. 165).




L’ora decisiva è suonata. Prima che gli intrighi dei parlamentari si facciano più serrati, prima che manovre elettorali impegnino i Fasci, prima che « la cerimonia del 4 novembre giovi a prolungare l’agonia del regime, ormai condannato» gli indugi dovranno essere troncati agendo di sorpresa. Il 16 ottobre a Milano MUSSOLINI fissa « personalmente » le linee generali dell’azione: l’insurrezione armata è decisa e si attendono soltanto il giorno l’ora propizia. Quando avrà inizio la mobilitazione il comando militare, composto da tre comandanti generali: Italo Balbo, Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi, dal Segretario generale del Partito nazionale fascista, Michele Bianchi, assumerà i pieni poteri del movimento. Le Camicie nere concentrate su tre colonne a Santa Marinella, Monterotondo, Tivoli, punteranno simultaneamente su Roma. Le legioni dell’Italia meridionale avranno il compito di difendere l’azione da eventuali sorprese, mentre forze di riserva saranno tenute pronte a Foligno. Il comando generale avrà sede a Perugia, punto di notevole importanza strategica e dal quale sarà meno difficile mantenere i collegamenti con le colonne operanti, con la capitale, con Milano, da dove il DUCE dirigerà il movimento. In tutte le città gli squadristi avranno come obiettivi immediati le stazioni ferroviarie, le stazioni radio, le sedi delle questure e delle prefetture, uffici postali, telefonici e telegrafici, le tipografie dei giornali sovversivi, i municipi, tutte le sedi dei partiti avversi in genere. 

Dopo essersi impadroniti dei « gangli vitali della nazione » gli squadristi vi lasceranno dei presidi e proseguiranno con la massima celerità e nel tempo fissato verso i luoghi di concentramento. Al governo che « nutre fiducia » nell’imbelle bonomia dei suoi componenti, si getterà la polvere agli occhi con una grande adunata di rappre­sentanze dei Fasci di combattimento di tutta Italia che avrà luogo a Napoli il 24 ottobre in occasione del Consiglio nazionale del Partito. Si rende noto anche l’ordine del giorno dei lavori che si svolgeranno nella famosa sala Maddaloni dopo lo sfilamento e la rivista di reparti di squadristi convenuti per il comizio pubblico in Piazza del Plebiscito. Le finalità di questa adunata sono note solo ai più diretti collaboratori di MUSSOLINI.

E l’adunata di Napoli ha luogo. Sono quarantamila squadristi e ventimila operai che sfilano per le vie della città salutati da cinquecentomila cittadini plaudenti. È un esperimento di mobilitazione in grande stile, una prova generale che d’altro canto conferma lo spirito profon­damente unitario del movimento fascista, serve a saggiare le forze del Mezzogiorno, non esattamente valutabili, e a misurarne la preparazione per stabilire il grado di affidamento che su di esse si può fare. Oramai si è « al punto in cui la freccia si parte dall’arco o la corda troppo tesa si spezza ». Mussolini in un formidabile discorso fissa « con la massima precisione i termini del problema perché siano altrettanto netta­mente chiarite le singole responsabilità », mette in parti­colare evidenza « la paralisi completa dello stato italiano e l’efficienza non meno completa dello stato fascista »; chiarisce ancora una volta la posizione del Fascismo nei riguardi della monarchia e dell’esercito. Oramai il con­trasto di idee e di interessi che si era venuto formando in Italia non può essere risolto che dalla forza. 

Il Fascismo non andrà mai al potere « per la porta di servizio» e non rinuncerà mai alla sua « formidabile primogenitura ideale per un piatto miserevole di lenticchie ministeriali ». L’azione dovrà essere risolutiva, la sosti­tuzione della classe politica governante dovrà essere generale e radicale (B. MUSSOLINI, Il discorso di Napoli, nel Popolo d’Italia, 25 ottobre 1922, ripubblicato in Scritti e discorsi, II, p. 339). Le parole del DUCE sollevano un entusiasmo irrefre­nabile. Quarantamila squadristi scandiscono duramente le due sillabe fatali che vibrano nell’aria come note squil­lanti di un inno di battaglia e di vittoria: Ro—ma, Ro—ma. Mussolini precisa ai suoi uomini esultanti: « Io vi dico con tutta la solennità che il momento impone, che si tratta ormai di giorni e forse di ore: o ci danno il governo o lo prendiamo, calando su Roma. È necessario per l’azione che dovrà essere simultanea, e che dovrà, in ogni parte d’Italia, prendere per la gola la miserabile classe politica dominante, che voi riguadagniate sollecitamente le vostre sedi. Io vi dico e vi assicuro e vi giuro che gli ordini, se sarà necessario, verranno ». 




La sera stessa del 24 MUSSOLINI dispone che le gerarchie politiche del Partito passino i poteri al comando militare alla mezzanotte tra giovedì 26 e venerdì 27 ottobre. Il 26 a Napoli e a Firenze i comandanti di zona e di colonna ricevono istruzioni precise. Tutto si svolge secondo quanto era stato predisposto. Il 27 il Quadrumvirato lancia il seguente proclama redatto dal DUCE sin dai primi di ottobre: « Fascisti di tutta Italia! L’ora della battaglia decisiva è suonata. Quattro anni fa, l’esercito nazionale scatenò di questi giorni la suprema offensiva che lo condusse alla vittoria: oggi, l’esercito delle Camicie nere riafferma la vittoria mutilata e, puntando disperatamente su Roma, la riconduce alla gloria del Campidoglio. Da oggi, principi e triari sono mobilitati. La legge marziale del Fascismo entra in pieno vigore. Dietro ordine del DUCE i poteri militari, politici ed amministrativi della Direzione del Partito vengono riassunti da un Quadrumvirato segreto d’azione, con mandato dittatoriale. L’esercito, riserva e salvaguardia suprema della nazione, non deve partecipare alla lotta. Il Fascismo rinnova la sua altissima ammirazione all’esercito di Vittorio Veneto. 

Né contro gli agenti della forza pubblica marcia il Fascismo, ma contro una classe politica di imbelli e di deficienti che, da quattro anni non ha saputo dare un governo alla nazione. Le classi che compongono la borghesia produttrice sappiano che il Fascismo vuole imporre una disciplina sola alla nazione e aiutare tutte le forze che ne aumentino l’espansione economica ed il benessere. Le genti del lavoro, quelle dei campi e delle officine, quelle dei trasporti e dell’impiego nulla hanno da temere dal potere fascista. I loro giusti diritti saranno sinceramente tutelati. Saremo generosi con gli avversari inermi; saremo inesorabili con gli altri. Il Fascismo snuda la sua spada lucente per tagliare i troppi nodi di Gordio che irretiscono e intristiscono la vita politica italiana. Chiamiamo Iddio sommo e lo spi­rito dei nostri cinquecentomila morti a testimoni, che un solo impulso ci spinge, una sola volontà ci accoglie, una passione sola c’infiamma: contribuire alla salvezza ed alla grandezza della Patria. Fascisti di tutta Italia! Ten­dete romanamente gli spiriti e le forze. Bisogna vincere. Vinceremo! Viva l’Italia! Viva il Fascismo!» (Proclama di mobilitazione nel Popolo d’Italia del 27 ottobre 1922, ripubblicato in Scritti e discorsi, IL pp. 349-350). La mobilitazione è immediata e simultanea, come audace è la conquista degli obiettivi locali. Decine di morti consacrano con il loro sangue l’inizio della marcia vittoriosa. Laddove è ritenuto necessario si lasciano dei presidi alle sedi governative ed agli uffici pubblici conqui­stati mentre il grosso delle forze prosegue per i luoghi di radunata. I ministri in carica di fronte alla mobilitazione fascista riconsegnano i portafogli al presidente del consiglio per lasciargli… piena libertà d’azione. Sua Maestà il Re rientra immediatamente nella capitale. Tutto il paese è insorto. 

L’alba del 28 trova le Camicie nere nei luoghi di concen­tramento, pronte a tutto. Il governo, preso alla sprovvista e nel più completo disorientamento dalla paura, cede alle pressioni del sovversivismo e inscena la commedia dello stato d’assedio promulgando un decreto che il re non aveva ancora firmato. Ma i fascisti sono padroni assoluti del campo. Tutti i tentativi di « combinazione » abortiscono: MUSSOLINI non transige. Il 29 il Popolo d’Italia reca il seguente articolo che fotografa il momento politico: « La situazione è questa: gran parte dell’Italia Settentrionale è in pieno potere dei fascisti. L’Italia centrale, Toscana, Umbria, Marche, Alto Lazio è tutta occupata dalle Camicie nere. Dove non sono state prese d’assalto le questure e le prefetture, i fascisti hanno occupato sta­zioni e poste, cioè i grandi centri nervosi della vita della nazione… Ma la vittoria non può essere mutilata da combi­nazioni dell’ultima ora. 

Per arrivare ad una transazione Salandra, non valeva la pena di mobilitare. Il governo dev’essere nettamente fascista. Il Fascismo non abuserà della sua vittoria, ma intende che non venga diminuita. Ciò sia ben chiaro a tutti. Niente deve turbare la bellezza e la foga del nostro gesto. I fascisti sono stati e sono meravigliosi. Il loro sacrificio è grande e dev’essere coro­nato da una pura vittoria. Ogni altra soluzione è da respin­gersi. Comprendano gli uomini di Roma che è ora di finirla coi vieti formalismi mille volte, e in occasione meno gravi, calpestati. Comprendano che sino a questo momento la soluzione della crisi può ottenersi rimanendo ancora nell’ambito della più ortodossa costituzionalità, ma che domani sarà forse troppo tardi. L’incoscienza di certi politici di Roma oscilla tra il grottesco e la fatalità. Si decidano! Il Fascismo vuole il potere e lo avrà!» (ripubblicato in Scritti e discorsi, II, p. 351). Ma la stolta promulgazione del decreto di stato d’assedio sembra che debba determinare lo scontro, sino allora miracolosamente scongiurato, con le forze del governo. La situazione è inquietante. Ma il re si rifiuta di firmarlo e il decreto non ha corso. La monarchia italiana che non si oppose al popolo « quando concesse lo statuto» che « non si oppose quando il popolo italiano chiese e volle la guerra » non può opporsi « per le sue origini, per gli sviluppi della sua storia a quelle che sono le tendenze della nuova forza nazionale ». 



Il 31 ottobre Mussolini è chiamato dalla fiducia del re alla presidenza del consiglio. Le Camicie nere entrano trionfalmente a Roma percorrendo le vie consolari. L’Italia non aveva un ministero, aveva un governo. Nello stesso giorno le Camicie nere smobilitano e il Quadrumvirato pubblica il seguente proclama redatto dal DUCE: « Fascisti di tutta Italia! Il nostro movimento è stato coronato dalla vittoria. Il DUCE del nostro esercito ha assunto i poteri politici dello Stato per l’interno e per gli esteri. Il nuovo governo, mentre consacra il nostro trionfo nel nome di coloro che ne furono gli artefici per terra e per mare, raccoglie, a scopo di pacificazione nazio­nale, uomini anche di altre parti, perché devoti alla causa della nazione. Il Fascismo italiano è troppo intelligente per desiderare di stravincere. Fascisti! Il Quadrumvirato supremo d’azione, rimettendo i suoi poteri alla Direzione del Partito, vi ringrazia per la magnifica prova di disci­plina e vi saluta. Voi avete bene meritato dell’avvenire della patria. 

Smobilitate con lo stesso ordine perfetto con il quale vi siete raccolti per il grande cimento, desti­nato, lo crediamo certamente, ad aprire una nuova epoca nella storia italiana. Tornate alle consuete opere poiché l’Italia ha bisogno ora di lavorare tranquillamente per attingere le sue maggiori fortune. Nulla venga a turbare l’ordine potente della vittoria che abbiamo riportato in queste giornate di superba passione e di sovrana gran­dezza! Viva l’Italia! Viva il Fascismo! » (Proclama di smobilitazione nel Popolo d’Italiadel 31 ottobre 1922, ripubblicato in Scritti e discorsi, II, p. 353). Cominciava l’Anno I dell’Era fascista.




BIBLIOGRAFIA: Il Popolo d’Italia, I e II semestre 1922, Milano; B. MUSSOLINI, Scritti e discorsi, ed. definitiva, Milano; id., Agosto-ottobre 1922, in Gioventù fascista del 25 ottobre IX; I. Balbo, Da Perugia a Roma, in Gioventù fascista del 25 ottobre IX; E. De Bono, Diario di campagna, in Gioventù fascista del 25 otto­bre IX; C. Delcroix, Un uomo e un popolo, Firenze 1928; I. Balbo, Diario 1922, Milano 1932; R. Farinacci, Storia della Rivoluzione fascista, vol. 2., L’insurre­zione rossa e la vittoria dei fasci, Cremona 1937; id., Squadrismo. Dal mio diario della vigilia, Roma XI; G. Volpe, Storia del movimento fascista, Varese-Milano 1939; F. Ercole, Storia del fascismo, Padova XV; Pini-Bresadola-Giacchero, Storia del fascismo. Guerra, Rivoluzione, Impero, Roma. XVII.

(Tratto dal DIZIONARIO DI POLITICA a cura del Partito Nazionale Fascista, Roma, 1940, voce Marcia su Roma) QUI la nostra antologia!





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