di:Roberto Pecchioli
Il neo borghese progressista, libertario
e, si perdoni l’ossimoro, moderatamente radicale, vive a una sola
dimensione, l’eterno presente di cui parlava un curioso filosofo
marxista di origine russa che operò per decenni al servizio riservato
della Francia, Aléxandre Kojéve. Il paradosso che intuì fu la
progressiva animalizzazione dell’uomo, contrappunto della
globalizzazione e dell’affermazione della democrazia capitalistica.
Secondo Kojéve, si stava verificando la fine dell’agire storico
dell’uomo europeo e occidentale nella direzione di uno Stato universale
omogeneo, di cui le classi alte sono banditrici.
Strumento privilegiato è il sistema di
informazione, un meccanismo in cui secondo il francese Nicolas Bonnal
“si stampano i biglietti come le commedie o le notizie, e ci si
risveglia al mattino con le guerre e i pregiudizi del borghese liberale
occidentale”. L’eterno presente
è narcotico e pervasivo, animato dalla credenza ingenua ma infrangibile
della bontà del progresso. Ne era consapevole un pensatore singolare
come Henry David Thoreau, l’autore di Walden o la vita nei boschi e
Disobbedienza civile. “Gli uomini credono essenziale che la nazione
abbia un commercio, esporti vetro, comunichi attraverso il telegrafo e
percorra trenta miglia l’ora, senza un solo dubbio.
“Oggi siamo
disponibili ad accettare dispositivi terribili di sorveglianza e
controllo, financo l’impianto sottocutaneo di chip, persuasi, in primis
le classi elevate, che quello è il progresso. Le magnifiche sorti e
progressive di cui si burlava amaramente Giacomo Leopardi nella sua
lirica estrema, La Ginestra.
La smania per le informazioni, le ultime
novità è un fenomeno di massa. Thoreau poteva già scrivere nel XIX
secolo: “A malapena un uomo fa un sonnellino di mezz’ora dopo pranzo,
che al risveglio drizza la testa e domanda: che notizie? come se il
resto dell’umanità fosse rimasto di guardia accanto a lui (…) Dopo una
notte di sonno le notizie gli sono indispensabili come la colazione.” Il
sistema di informazione/ intrattenimento ci sommerge di notizie allo
scopo di nascondere ciò che davvero importa. Bombardati da immagini e
parole, non distinguiamo più tra un gol di Ronaldo e la guerra in Siria.
Entrambe sono commentate distrattamente, per noia, in attesa della
successiva “ultima ora”. In gran parte, pettegolezzo a misura di radical
chic mentre sorseggia il suo drink. Thoreau fu profetico
osservando che “certi manifestano per le notizie un tale appetito che
sono in grado di restare eternamente in piedi senza muoversi, come se
inalassero l ‘etere che produce torpore e insensibilità alla
sofferenza.”
Il sovraccarico di notizie serve a
produrre narcosi, indifferenza e insieme dipendenza. Nel Coccodrillo,
Dostoevskij mostra l’abbrutimento del protagonista rinchiuso nel corpo
del coccodrillo, desideroso che gli siano portate senza posa le notizie
dall’Europa. Nei Demoni celebra un processo alla modernità presente e
futura. Già all’epoca sua era in azione una sovversione mondiale con
epicentro negli Stati Uniti. E’ il liberalismo più che il comunismo, suo
figlio spurio. Oggi tutti sono liberali, il termine è divenuto talmente
equivoco da non potere essere più definito. L’Europa contemporanea è
già tratteggiata nel brano seguente, in cui uno dei giovani nichilisti
spiega la sua visione del mondo: “i nostri non sono soltanto quelli che
sgozzano, incendiano, o fanno dei colpi classici. Quelli non sono che un
ingombro. Io sono un furfante, non un socialista, ah, ah. Il precettore
che si fa beffe con i bambini del loro Dio e della loro nascita è dei
nostri. L’avvocato che difende un assassino di buoni studi provando che
era più istruito delle sue vittime e che, per procurarsi denaro, non
poteva fare altro che uccidere, è dei nostri. Gli studenti che, per
provare una sensazione, ammazzano un passante, sono dei nostri. I
giurati che assolvono sistematicamente tutti i criminali sono dei
nostri. Il procuratore che in tribunale trema per il timore di non
mostrarsi abbastanza liberale, è dei nostri. “
Lascia senza fiato il quadro di un mondo
rovesciato diventato legge e potere un secolo dopo. Ce n’è anche per il
diritto: “Quando lasciai la Russia, la tesi di laurea che assimilava il
crimine a una follia faceva furore; torno, e già il crimine non è più
una follia, ma è il buon senso stesso, quasi un dovere, o almeno una
nobile protesta. “.
Sembra l’enunciazione ante litteram
della finestra di Overton, il modello delle possibilità di cambiamento
indotte nell’opinione pubblica. Molte idee, totalmente respinte al loro
apparire, sono dapprima accettate, poi diventano legge, se chi controlla
l’informazione e l’educazione lo vuole. Secondo Joseph P. Overton,
qualsiasi idea, anche la più assurda, per potersi sviluppare nella
società ha una finestra di opportunità. L’apparire dell’idea sui mezzi
di comunicazione più diffusi, magari con la presenza di personaggi noti
come “testimonial”, permette il passaggio graduale dallo
statuto di impensabile all’ ingresso nella coscienza di massa e
l’inserimento nella legge, sino a un’ultima fase, che sfuggì al suo
teorizzatore: la proibizione dell’opinione opposta, quella che fino a
poco tempo prima era accolta da tutti. Non si tratta di lavaggio del
cervello, ma di tecniche sottili, efficaci e coerenti, veicolate
attraverso i più ricettivi, cioè la borghesia radical chic.
Sradicati anche rispetto ai principi
etici, sradicano il resto della popolazione senza rendersi conto di
essere lo strumento dei piani alti del potere, i decisori che agiscono
per scopi di dominio. Il marxismo è internazionalista e prende atto
dell’esistenza della comunità (Gemeinwesen, nel lessico di
Marx), il liberalismo è cosmopolita, atomistico. Fu Margaret Thatcher ad
affermare senza infingimenti di non riconoscere altro che individui e
nessun corpo intermedio. Dunque il liberale vero, il radical chic,
lavora alla distruzione delle identità e della sua patria, che
disconosce, disprezza e deride.
Dostoevskij nel Coccodrillo riconobbe
altresì il carattere illimitato di un’idea per cui non si è mai
abbastanza liberali: “Ma, ahimè! Il liberale del 1840 non era più nel
movimento. Invano, per compiacere la giovane generazione, riconobbe che
la religione era un male e l’idea di patria un’assurdità ridicola,
queste concessioni non lo misero al riparo da un fiasco lamentevole.
Allo sfortunato conferenziere che ebbe l’audacia di dichiarare che
preferiva di gran lunga Puskin a un paio di stivali, non ci volle molto
per scatenargli contro una tempesta di fischi e di urla ingiuriose. Per
farla breve, lo abbiamo insultato come il più vile dei retrogradi “.
Erano i primi passi del politicamente corretto, a cui è tanto
affezionato il neo borghese liberal.
Abbiamo già indicato l’adorazione
dell’America come caratteristica di ogni radical chic che si rispetti.
Eppure, affascinato dal cinema di Hollywood, fornitore di tutte le idee e
chiavi di interpretazione della realtà, dovrebbe sapere che il sogno
americano è spesso un incubo, se ha visto I cancelli del cielo di
Michael Cimino. Ma forse no, da gregario privo di giudizio proprio, si
scomoda solo per i film di cassetta, dopo averne letto le recensioni
positive. Se la pellicola ha intenti politici o, come direbbe lui,
civili, la vede se riceve il bollino verde, il via libera degli
intellettuali di riferimento, quelli che scrivono su certi giornali e
pontificano da determinate tribune televisive.
Il carisma americano vive sulla facilità
e la velocità. E’ tutto facile laggiù, il denaro, la liberazione,
persino il contatto con Dio attraverso miriadi di sette, la pseudo
spiritualità a tariffa d’ingresso in sala. La velocità è l’altra arma
vincente americana. Tutto corre e scorre, Panta Rei senza Eraclito, ogni
cosa scivola via per lasciare spazio al fotogramma successivo. Paul
Virilio la chiamò dromocrazia, il potere della velocità, il regime in
cui i potenti sono coloro che regnano sulla velocità, controllano quella
degli altri e squalificano socialmente coloro che restano immobili, i
localizzati. Nessuna sanzione colpisce più profondamente il radical chic
che l’accusa di essere fermo, non al passo con i tempi, stabile, cioè
vecchio, arretrato. Egli è liquido, mobile, non ha identità, si trova a
suo agio nei nonluoghi, aeroporti, autostrade, centri commerciali,
uguali a Roma e Shanghai e in cui si sta per breve tempo, in transito,
diretti verso un altrove continuamente spostato in avanti, come
l’orizzonte di chi cammina.
Nell’Ottocento, fu Edgar Allan Poe,
americano educato in Inghilterra, il critico più feroce dello spirito
del suo paese. Dice il Conte, protagonista del Colloquio tra Monos e
Una. “Eravamo discesi nei peggiori giorni dei nostri cattivi giorni. Il
grande movimento- era quello il linguaggio del tempo – era in marcia.
Perturbazione morbida, morale e fisica. Prematuramente introdotta dalle
orge della scienza, si avvicinava la decrepitezza del mondo, ciò che non
vedeva la massa dell’umanità, o che, vivendo avidamente, per quanto
senza felicità, fingeva di non vedere. Ma gli annali della terra mi
avevano insegnato ad aspettarmi la rovina più completa come prezzo della
più alta civilizzazione “.
La credenza superstiziosa, sciamanica,
nella verità della scienza, la sua avanzata come unico segno di civiltà è
un punto fermo dell’ideario radical chic calato nell’immaginazione
popolare. Ma la scienza non è verità, né è un fine. Le si può chiedere
esattezza, la si può utilizzare come strumento, ma non affidarle il
destino comune. Le forze meccaniche quantitative che chiamiamo progresso
e tanto attraggono le menti liberali erano detestate da Poe. Il Conte
che parla per lui osserva: “il progresso, in una certa epoca, fu una
vera calamità, e non progredì mai”. Un’altra analogia con il presente,
affollato di progressisti ma orfano di progresso, tra inquinamento,
scempio della natura, traffico, baccano, eccessi, obesità e anoressia,
lauree e ignoranza, calo certificato del quoziente intellettivo e
eclissi della cultura.
Poe non salva il grande totem della
modernità, la democrazia. “La cosa finì così, i Tredici Stati, insieme
con quindici o venti altri, si consolidarono come il più odioso e il più
insopportabile dispotismo di cui si fosse sentito parlare sulla faccia
del globo. Domandai chi fosse il tiranno usurpatore. Per quanto
ricordasse il conte, il tiranno si chiamava plebaglia. “Ovvero, la
tirannia dell’opinione pubblica eterodiretta, di cui non il popolo, ma i
ceti elevati, affluenti, i riflessivi sono gli interpreti privilegiati.
Il protagonista del Patriota, film interpretato da Mel Gibson,
preferiva avere un solo tiranno che centinaia, senato, congresso, la
burocrazia, in attesa del mostruoso apparato di controllo odierno, Cia,
Nsa, Fbi, satelliti, Google Earth, eccetera. La critica di Poe ha
qualcosa in comune con Tocqueville, una cui constatazione è che “la
natura del potere assoluto, nei secoli democratici, non è crudele né
selvaggia, ma minuziosa e molesta.”
Lo sperimentiamo con divieti di ogni
genere, per il nostro bene, chiaro, la medicalizzazione della vita, i
mille regolamenti, i vaccini obbligatori, le circolari che pretendono di
standardizzare, omogeneizzare, prevedere tutto. Un mondo asettico
igienizzato, a misura di radical chic, che Ernest Renan descrisse come
una grande marcia verso l’americanismo introiettato nelle menti, che
“ferisce le idee raffinate, un mondo dove la distinzione personale ha
poco significato, dove spirito e talento non hanno alcun valore
ufficiale , l’alta funzione non nobilita, la politica diventa l’impiego
degli spiantati e delle persone di terz’ordine, dove le ricompense della
vita vanno di preferenza all’intrigo, alla volgarità, alla
ciarlataneria che coltiva l’arte della propaganda, all’astuzia che gira
abilmente attorno al codice penale”.
Fu forse Baudelaire, il grande poeta
dell’Albatros e dei Fiori del male, traduttore e prefatore in Francia di
Edgar Allan Poe, ad affondare più di ogni altro il coltello nella piaga
dell’americanismo liberal tanto amato dalle nostre classi
dirigenti. “Gli Stati Uniti furono per Poe una vasta prigione che
percorreva con l’agitazione febbrile di un essere fatto per respirare in
un mondo di fragranze, non in una grande barbarie illuminata a gas.
“Immagine straordinaria, la sintesi di ciò che siamo diventati: una
barbarie illuminata a gas, tanto cara a chi dirige nostro destino verso
il basso.
Assolutamente contemporanea è
l’invettiva contro la tirannia implacabile dell’opinione maggioritaria,
dalla quale non ci si può attendere “né carità, né indulgenza, né
elasticità qualsiasi nell’applicazione delle sue leggi ai casi
molteplici e complessi della vita morale. Si direbbe che dall’amore
empio della libertà sia nata una tirannia nuova, la tirannia delle
bestie, una zoocrazia. “La morale transitata dagli Usa fino a noi
attraverso i ceti alti è quella mercantile e strumentale di un Benjamin
Franklin, definito da Baudelaire eroe di un secolo votato alla materia,
l’inventore di una morale da banco di vendita.
Il poeta dell’ennui ha orrore
del suprematismo americano, della violenza, dell’ipersessualità,
dell’aborto (“la guarigione dalle malattie di nove mesi”), della libertà
astratta, tutto ciò che il radical chic trasmette al popolo per conto
dei suoi superiori. Da poeta e visionario, Baudelaire vede il rischio di
accogliere l’americanismo in Europa, farsene irretire, colonizzare.
“Gli Stati Uniti sono un paese gigantesco e bambino, naturalmente geloso
del vecchio continente. Fiero del suo sviluppo materiale, anormale e
quasi mostruoso, questo nuovo venuto nella storia ha una fede ingenua
nell’onnipotenza dell’industria; è convinto come alcuni sventurati tra
noi, che essa finirà per mangiare il Diavolo. “
Espulso il Diavolo, al pari di Dio,
dall’orizzonte dell’uomo contemporaneo, ipotesi non più considerate,
come disse Lamarck a Napoleone presentandogli la sua opera
sull’evoluzione naturale, non resta che il regno della quantità
annunciato da Guénon. E della tecnica, attraverso la quale si può
comandare “da remoto”, perfino bombardare una popolazione pigiando
pulsanti a migliaia di chilometri di distanza, come in un videogioco,
esultando davanti allo schermo per avere centrato il bersaglio non in
una sfida virtuale, ma nella realtà. Tutto per esportare la democrazia,
la libertà, il progresso, la liberazione dai tabù, la democrazia
rappresentativa, ossia il mercato: ciò che illumina d’immenso i bravi
libertari tanto razionali, tolleranti, istruiti, educati e benpensanti.
Un cancro che viene da lontano, ma non
andrà più tanto lontano. Cresce il deserto, la macchina sta per
rovesciarsi, la catastrofe di una civiltà è nell’aria. Un paio di
generazioni dopo il saccheggio di una Roma estenuata da parte del
barbaro Alarico, Romolo Augustolo, imperatore fantasma, ragazzino già
dedito agli stravizi, chiuse con l’Impero Romano. La notte
dell’occidente ha molti padri e alcuni figli legittimi: le sue stanche
élite narcisiste, deboli, svirilizzate, debosciate, materialiste, la
borghesia liberale radical chic. Siamo a fine corsa. Chi verrà dopo scriverà con disprezzo la loro storia.
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