di:Emmanuel Raffaele
Lo scorso 7 ottobre, in occasione della presentazione del suo nuovo libro a Milano, Adriano Scianca invitava i lettori della sua ultima opera ad evitare la pregiudiziale “religiosa” nell’interpretazione del suo “messaggio”. Ma, se pure questa richiesta abbia una propria coerenza, l’attacco frontale al monoteismo, come visione religiosa, culturale e «antropologica» di natura esclusiva, rimane una chiave di lettura essenziale de “L’identità sacra”.
Infatti, se il primato nazionale di natura sacrale rivendicato nel suo terzo saggio dal responsabile della cultura di CasaPound Italia
ha un nemico, questo nemico sembra esser proprio l’universalismo
religioso e politico che appiattisce le differenze, rimandando alla
categoria dei monoteismi in senso lato. E, nonostante l’attacco – come
dicevamo – sia mosso sotto un profilo principalmente culturale, mirando
ai monoteismi in quanto «ideologie “mondialiste” ante litteram» (p. 158) o, viceversa, definendo il «fanatismo finanziario, ultimo erede dei vari monoteismi», che «ha ridotto il mondo a un flat word, una superfice liscia e omogenea, senza asperità, confini, barriere o diversità», il riferimento diretto al fattore religioso come elemento concretamente correlato a quello identitario non manca. «La religione pagana», spiega infatti Scianca, «non istigando all’innaturale amore universale, ma postulando una forma di amore scambievole di stirpe nel nome di un Dio etnico, non postula l’odio, più di quanto non si odino i figli altrui amando il proprio».
L’innaturalità dell’amore universale, appannaggio utopistico delle
religioni monoteiste, si presenta immediatamente come un passaggio
fondamentale dell’intero discorso. Ma, a dimostrarne la centralità, sono
molti altri passaggi delle 272 pagine mandate in stampa da “Aga Editrice”: «Fuori dal monoteismo,
al di là della pretesa di un Dio che sia il Dio di tutti, in ogni epoca
e in ogni luogo, da pregare e onorare nello stesso identico modo, che
escluda ogni altro Dio e imponga un verbo globale – prima e oltre il sentiero di questa follia stanno gli Dèi etnici che rappresentano il grande sì alla vita di popoli differenti».
L’associazione tra monoteismo e mondialismo,
del resto, si presenta fin dalla prefazione, nel paragone – lì per lì
opinabile, più comprensibile dopo una lettura integrale – tra le parole
dell’autoproclamatosi califfo dello Stato Islamico, Al-Baghdadi («La Siria non è per i Siriani e l’Iraq non è per gli Iracheni.
Questa terra è per i musulmani, tutti i musulmani»; «Arabi e non Arabi, bianchi e neri, in nome di una sola fede, distruggeranno gli idoli del nazionalismo»), e le istanze immigrazioniste del presidente della Camera dei deputati italiana, Laura Boldrini,
portate avanti in nome di una retorica tipica della sinistra, contro le
frontiere, gli Stati, in un mondo senza identità. Un’affermazione che,
in principio, suscita qualche perplessità, non solo per l’opposizione
concettuale tra un “mondo” contro le identità ed un “mondo” con una
identità forte che intende affermarsi come unica, ma anche per
l’inevitabile riflesso condizionato dal pensiero “tradizionalista”
evoliano. Proprio l’autore di “Imperialismo pagano”, Julius Evola
– che in questo libro sembra aver un ruolo più importante che nei
precedenti ed è, infatti, citato con maggiore frequenza -, pur
decisamente distante dall’egualitarismo boldriniano, adotta infatti un
approccio similmente ostile nei confronti delle nazioni,
considerati dal pensatore di destra una mera espressione della
modernità, elementi disgreganti e divisivi rispetto alla dimensione
imperiale.
In fin dei conti, però, ogni perplessità si affievolisce una
volta entrati nell’ottica dell’autore sopra descritta. E, quanto
all’antinazionalismo di Evola, ritenere che la sua idea di impero fosse
del tutto slegata dal concetto di “sangue e suolo”, significherebbe dare
una interpretazione edulcorata del suo pensiero.
Ecco perché, probabilmente, “L’identità sacra” riconcilia anche con la “Tradizione”, nel senso di offrire di essa, senza pretesa alcuna di esserne seguaci, una rilettura “sintetica”, nel senso proprio di sintetizzare una dualità. Ed ecco perché, finalmente, alla luce di una prospettiva che è “etnocentrica”
ma non esclusiva, al contrario di quella “universalista” che è, però,
paradossalmente esclusiva, “L’identità sacra” mette giustamente sulla stessa linea «monoteisti, hegeliani, marxisti, liberali, globalisti, tecnocrati, immigrazionisti» che «si sono sforzati “tutti” di chiudere la storia,
sottraendola alla libertà e alla volontà dell’uomo per indirizzarla,
piuttosto, su binari che non ammettono alternativa, in direzione di un
finale già scontato, che rappresenti la riproposizione di un qualche
Eden perduto in una forma più o meno secolarizzata».
Le ragioni dell’associazione tra il califfo e la Boldrini sono, infatti, tutte qua: «Questa
divisione dell’umanità, spaziale e culturale, è semplicemente blasfema
per quel monoteismo antropologico di cui è intriso il sistema vigente.
Esso postula l’unità originaria del genere umano e la ricomposizione di
tale unità nel futuro messianico», evidenzia Scianca. E così – è inutile nasconderlo – l’attacco al Cristianesimo si avverte oltre ogni ragionevole dubbio: «Finito il tempo dei Lari e dei Geni, il paesaggio spirituale sarebbe stato dominato dalle larve», commenta ancora Scianca raccontando dell’editto dell’imperatore Teodosio
volto a vietare ogni forma sia pur privata di culto pagano nell’impero
romano, nel 392. E, nel nono capitolo, l’essenzialità degli “dèi etnarchi”
e la denuncia della disastrosa confusione, che riecheggia Nietzsche, di
un dio particolare con il Dio dell’intera umanità ne è l’espressione
organica maggiore.
«La geografia», prosegue l’autore del “Manifesto dell’Estremocentroalto”, citando Mary Beard, «era una metafora essenziale per fare emergere la differenza religiosa. E si trattava di una metafora centrale per il paganesimo antico
nel suo insieme: nella città di Roma, e anche altrove, la religione si
accompagnava con il luogo, e poteva essere concettualizzata in termini
spaziali. La morte di questa metafora è arrivata con il cristianesimo, le cui pretese di universalità iniziarono a non riconoscere più nessun confine spaziale».
Detto questo, appare anche chiaro dalla
sua terza fatica letteraria, che Scianca dimostra definitivamente di
farsi portavoce di una visione tanto ampia da poter conciliare il
linguaggio estremamente “moderno” del suo primo libro, “Riprendersi tutto”
– volto in un certo senso ad “allontanarsi dalla destra” -, a quello
quasi evoliano rintracciabile in molti passaggi de “L’identità sacra”. E
se è vero che, nel capitolo dedicato alla “Tradizione” di “Riprendersi
tutto”, Scianca alludeva proprio alla possibilità di un «evolismo fresco, combattente, non dogmatico», ecco
che proprio l’ultimo suo libro arriva come un pugno nello stomaco a
quanti hanno spesso scambiato per assenza di un piano verticale il
laicismo e l’operatività concreta, sul campo e nelle istituzioni, di
CasaPound, del quale Scianca è appunto principale voce culturale.
E se
nel 2012, nonostante il linguaggio fresco e per nulla nostalgico (anzi,
proprio per questo), scrivevo su “Il Borghese” di “Riprendersi tutto”
come di «un libro incentrato nella sua essenza sulla “rigenerazione del mito”», «un’opera fondante, che rifugge il ghetto proponendosi con successo innanzitutto questo: il coraggio di proseguire nel tracciare un solco»,
ecco che “L’identità sacra” dà le coordinate spirituali di quel mito e
chiude il cerchio parlandoci di quel solco e di quanto esso rappresenti
la nostra identità, di quanto il futuro sia appunto nell’ «attingere nuovamente al bagliore sovrumano dell’Origine».
Se “Riprendersi tutto” codificava un
linguaggio nuovo, se “Ezra fa surf” descriveva una «via libertaria al
fascismo» che già faceva capolino nelle prime pagine dell’opera
d’esordio, “L’identità sacra” è un libro dedicato alle radici, personali e comunitarie. “Ricorda chi sei tu”,
è il titolo esortativo delle pagine conclusive. Tuttavia, anche in
questo passaggio non è possibile leggervi alcun passo indietro, né
storico né concettuale, piuttosto il puntellamento di un percorso immanente all’azione.
La seconda parte filosofico-politica del
testo viene direttamente fuori dall’attualismo della “Grande
Sostituzione” in atto denunciata nella prima e che, volendo muovere una
critica, mostra forse una scarsa attenzione ai contenuti nel primo
capitolo, laddove alcuni passaggi e affermazioni, pur condivisibili,
appaiono poco approfonditi e dimostrati. Ma sarebbe forse stato un altro
libro e, del resto, non è questo il libro che intendeva scrivere, per
sua stessa ammissione, Adriano Scianca. E se il primo capitolo resta lì a
mo’ di mera introduzione dell’opera ed appare forse un po’ trascurato
l’aspetto Roma/nazione/impero, affascinante è invece il legame
serrato tra popoli, luoghi e dèi rievocato e, ad un tempo, auspicato
come causa e conseguenza di un no radicale all’immigrazione di massa in
quanto ariete per affermare la sostituibilità dei popoli e delle
identità. Encomiabile è la tecnica “narrativa” che trasmette
letteralmente il senso della sacralità dei confini, non in nome di una retorica patriottarda,
ma come affermazione di un’identità ancestrale che su quel legame è
fondato. Interessante, all’interno del capitolo sei, il paragrafo
dedicato alla “cosmopoiesi”, che offre un’immagine plastica di questo legame anche
dal punto di vista paesaggistico. Molto più che politico, il passaggio
sulla “gettatezza”, che meriterebbe tranquillamente un commento a parte:
«Non vivacchiare nella condizione che ci è stata data», suggerisce Scianca in uno dei passaggi più filosofici e pregnanti del libro, «ma trasformarla in un progetto cosciente.
Scegliendo se stesso, l’uomo rinuncia all’impossibile “nostalgia” per
tutto ciò che avrebbe potuto essere e non è, per il fatto che avrebbe
potuto essere “gettato” in tutt’altre circostanze fattuali».
«Non essere sostituibili» rimanendo «radicalmente differenti»,
ri-costruendo un’alternativa, ri-scrivendo un destino: c’è molto di più
di un “no all’immigrazione” nell’ultimo libro di Adriano Scianca, è un
libro che risveglia il nostro spirito “pagano” genuinamente indoeuropeo.
...e meno male che esiste uno come Adriano Scianca e un movimento come CasaPound Italia, aggiungo modestamente io, perchè con tutto il rispetto e la stima che nutro nelle persone di Ordine Futuro e Forza Nuova, non riesco ancora a capire il loro essere cattolici ad oltranza, malgrado le loro menti ed i vari articoli contro Bergoglio e la sua "amministrazione"! A volte non riescono a non farmi pensare con simpatia, lo ammetto, anche a personaggi controversi come Maxine Dietrich di JoS, che pur nella sua, sempre a mio parere, artificiosa ed azzeppata valutazione di diavoli e diavoletti, non ha tutti i torti quando ribadisce fino alla nausea che anche gesù è un prodotto dell'ebraismo elitario mondiale sionista e serve solo per fregarci....non me ne voglia Antonio Bassi, di cui ho letto molti commenti sui forum di articoli interessantissimi degli anni passati, ma che sinceramente mi fanno ricordare con fastidio i paraocchi di un altro cattolico "erudito" che oggi non c'è più...il sottoscritto! Poi, cmq, avendo letto Evola, non posso nascondere un apprezzamento forte per le persone come Scianca, che a differenza del primo, e quì non me ne vogliano i suoi estimatori, prende senza ritegno posizioni certe e visibili! Sinceramente, per esperienza personale, preferisco leggere Pansa, che è di grande onestà intellettuale e cronachistica ed a rischiato personalmente più di tanti che hanno usato il FASCISMO ed il NAZIONAL SOCIALISMO quando erano in buona salute, per poi disfarsene per convenienza con poca eleganza, la stessa che pretendono dagli epiteti a loro rivolti, di INFAMI! Lo stesso è occorso anche al noto ex cavaliere, mi vien da riflettere, ma lui tra un Ordine ed un'Obbedienza, una kippah ed una genuflessione, forse poteva aspettarselo, come recita un vecchio adagio romanesco " chi và pe' 'sti mari, 'sti pesci pija!" Lucio Astarti
RispondiEliminaMah, io so solo che sono tedesco, si resta tedeschi di sangue anche se si nasce in Botswana, il discorso dei confini è relativo, i confini si spostano come si spostano nel tempo i popoli,quello che so con certezza è che non mi lascerò imporre una religione come l'Islam, già quella cattolica mi sta stretta e la ritengo insufficiente a darmi le risposte che cerco, entrambe come anche l'ebraismo possono essere viatico verso conoscenze superiori, non ultimo in questo è il buddismo, ritengo che le religioni siano solo dei vestiti e che uno possa utilizzare quello che crede il migliore per se per abitudine o tradizione, guai però se commette l'errore di impormelo, e già la presenza nella mia heimat di troppi vestiti diversi dai miei è un imposizione che non gradisco. l'Islam esattamente come il cattolicesimo è convinto di essere la miglior cosa è quindi tende a imporsi, preferisco quando invece qualcuno si propone, il vero problema nasce quando cerchi le ver radici delle cose antecedenti alla religione odierna è ti rendi conto di come l'impero romano abbia cancellato i druidi ma non sia stato in grado di spegnere del tutto il fuoco sotto la cenere. La certezza è che qualsiasi religione è potere mentre quello che dovrebbe contare è la spiritualità che di per sè è molto di più.
RispondiEliminajj
Giustissimo jj, concordo in pieno con quanto scrivi sulle religioni ed il bisogno di una sana e sincera, oltre che spontanea, spiritualità. Un saluto, Lucio Astarti.
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