di: Giovanni Sessa
L’uomo senza
Tradizione, vacuo, che spende la propria vita nel vuoto presente del
consumo e della mercificazione universale, lo incontriamo ogni giorno.
Perso nei suoi pensieri sulle metropolitane, o durante le passeggiate
nei non-luoghi dei centri commerciali, templi della religione
consumistica dominante. Di fronte al suo regno incontrastato, nell’età
dell’estremo nichilismo che, in modo fantasmagorico, trasforma il
deserto in ultima Dimora, pochi si interrogano su una possibilità di
esistenza diversa dall’attuale. A tale sparuto manipolo, che osa ancora
porre domande sconvenienti, fa positiva eco un volume, da poco
pubblicato dalla OAKS editrice, che può essere considerato un classico
in argomento. Si tratta del capolavoro di Thomas Carlyle, Gli Eroi (per
ordini: info@oakseditrice.it, euro 20,00). Il volume è aperto
dall’interessante introduzione di Luigi Iannone, mirata alla
contestualizzazione storica del testo e alla presentazione della
biografia intellettuale dell’autore.
Carlyle fu intellettuale eclettico,
saggista, storico e letterato di vaglia, legato simbioticamente al
romanticismo politico e, per questo, in qualità di erudito e di curiosum
tipicamente ottocentesco, ebbe inscritto in sé il tratto geniale ma
contraddittorio, che si evince dalle sue opere. Collerico e dall’animo
vulnerabile, soggetto a frequenti cambiamenti d’umore, metteva in
difficoltà, fin dal
primo approccio gli interlocutori. Il suo obiettivo teorico era però
estremamente chiaro: giungere ad una descrittiva organica e precisa
della società del suo tempo per individuare delle alternative ad essa.
Per questa ragione venne definito «il grande censore dell’Epoca
presente»: andava sviluppando, infatti, una seria critica della
Rivoluzione e della filosofia dei Lumi. Scelse, per tale estraneità allo
spirito del tempo, di vivere isolato in una fattoria nella campagna del
Dumfriesshire, assieme alla moglie Jane Welsh, adusa alla
frequentazione dei salotti più ricercati. Cinque anni più tardi si
trasferì a Londra, dove pubblicò il Sarto rappezzato e la Storia della
Rivoluzione francese. Nel primo libro, muovendo da una storia degli
abiti, lo scrittore «opera […] una ricognizione sulla nuova epoca del
macchinismo e dell’industrialismo […] che investiva la foggia esteriore,
[…] ma anche gli ‘abiti interni’ di ogni singolo individuo» (p. 11).
In quelle pagine colse, tra i primi, i
limiti della democrazia e l’irrealtà del mondo prodotto
dall’industrialismo. Ebbe piena coscienza della crisi che allignava
sotto i fuochi fatui del progresso, anche nella Magna Mater della
modernità, l’ Inghilterra. Questo paese: «avrebbe dovuto trovare il modo
di riportare al potere i più virtuosi» (p. 12), o un suo Lutero o
Cromwell. Le nuove idee avrebbero dovuto essere arginate dal
conservatorismo, altrimenti lo ‘spirito meccanico’, imposto dai nuovi
ritmi produttivi, si sarebbe impossessato, come ricorda Iannone, non
solo della mano degli uomini, ma anche dei loro cuori. La tecnica
rappresentava agli occhi di Carlyle il volano della modernità, se non
arginata, si sarebbe impadronita anche della volontà degli uomini,
assoggettandoli. Imbevuto di filosofia tedesca, lo studioso giunse ad
una visione del mondo difficilmente inquadrabile nelle categorie
politiche consuete. La definizione più acconcia da attribuire alla sua
opera è di essere un prodotto dell’antimodernismo, sia pure sui generis.
Al centro della sua visione delle cose, va posta la teoria che lo ha
reso celebre, quella del ‘grande uomo’.
A suo giudizio: «gli andamenti
progressivi delle società umane sono considerati diretta derivazione
dell’azione di un eroe» (p. 15). Nell’irrompere dell’eroe si mostra nel
tempo il sovramondo, pertanto, come chiarisce l’articolazione dei sei
capitoli del libro in questione, l’eroe può essere una divinità della
mitologia nordica, un poeta come Dante o Shakespeare, un filosofo, un
re, un uomo di grande fede. Fin qui le posizioni del pensatore scozzese
paiono ricalcare i canoni teorici propri delle filosofie della storia
del secolo XIX.
L’elemento originale che contraddistingue le sue
posizioni, crediamo debba essere individuato nello sforzo di sottrarre
la propria concezione dallo scacco determinista delle visioni cicliche.
Infatti, «lo scopo di ogni nuova epoca sarebbe proprio quello di
riadattare in ‘una forma purificata, le vecchie ere, e appropriarsi di
ciò che vi era di vero e non combustibile in esse’» (p. 16). Un eterno
ritorno che implica la libera azione innovatrice degli uomini. Lo
scozzese anticipa le posizioni novecentesche relative al possibile Nuovo
Inizio della storia europea. Resta comunque, all’eroe di Carlyle, il
crisma provvidenzialistico, nel senso che il corso degli eventi, prima o
poi, si muoverà nella direzione da questi indicata.
Eroe per eccellenza è il Poeta. Questi
profeticamente, come fu il caso di Dante, viene tra gli uomini per
esplicitare la divina idea che muove le cose e sostanzia la vita, nel
momento in cui essa è celata agli occhi dei più. Si evince, da tale
tesi, il ruolo soteriologico del poetare, che verrà riproposto
all’attenzione generale da Stefan George e dal suo Kreis, pochi decenni
dopo la morte di Carlyle, avvenuta nel 1881.
L’azione eroica deve
esercitarsi su un ambiente storico ed esistenziale atto a recepire il
messaggio: «Questo è il punto nodale: l’equilibrio e la consonanza tra
l’eroe e un ambiente preparato ad un nuovo tempo» (p.18), chiosa
Iannone. A questa condizione l’eroe può tornare a porre in forma il
mondo, a trasformare il disordine in ordine. Può risultare interessante
far rilevare che fu Nietzsche uno dei lettori più attenti e critici
delle pagine de Gli Eroi. Il filosofo della volontà di potenza non poté
che rimproverare a Carlyle il suo, forse involontario, affidamento
fideistico nella lettura del fatto storico, egli è, in ultimo, scrisse
il filosofo: «un ateo inglese che cerca il suo onore nel non esserlo»
(p. 21).
Al contrario, il momento religioso espresso dall’eroe, fu
fortemente valorizzato da Ralph Waldo Emerson nel suo trascendentalismo,
sostanziato dall’esaltazione dell’energia che pervade la natura. Il
nostro Mazzini, nell’esilio inglese frequentò Carlyle e con lui
condivise la critica dell’individualismo liberale, ma lo definì: «il più
scettico degli scettici», per tal ragione incapace di individuare una
via di uscita dai problemi dell’epoca moderna. A noi pare che la lettura
delle sue pagine possa sollecitare gli insoddisfatti del presente a
pensare un’azione atta a rimettere in moto il processo storico. L’uomo è
facitore di storia, a condizione che recuperi lo sguardo eroico sugli
eventi, oggi negletto e discreditato agli occhi dei più.
Fonte articolo
Che ne pensate del caso Asia Argento e Jimmy benetten?
RispondiEliminaSiamo sicuri che una donna,in qualche modo, può violentare un minorenne?
Admin moon
MACHISSENEFREGA
EliminaPer chi era interessato
EliminaAdmin Moon
Qui si parla di eroismo nella Tradizione e tu... tiri in ballo Asia e una storiella squallida... perché?
RispondiEliminaCorvo Busunda