di: Enrico Marino
Com’è stato
possibile chiedere l’innalzamento dell’età pensionabile per milioni di
lavoratori o avanzare l’oscena proposta di modifica del pensionamento
anticipato, chiamata APE, che prevede in alcuni casi penalizzazioni
ovvero la stipula a carico dei lavoratori di una sorta di “mutuo”
bancario, quando un politico come il presidente emerito Carlo Azeglio
Ciampi ha cumulato 30 mila euro/mese di pensione Bankitalia con 4000
euro dell’Inps e 19.054 euro dell’indennità da parlamentare, che oggi
sono reversibili ai suoi familiari? La domanda sorge legittima dalla
constatazione di come ingenti patrimoni, accumulati sulla pelle del
popolo, si trasmettano di generazione in generazione nel più assoluto
disprezzo di milioni di lavoratori e pensionati italiani che versano in
condizioni di grave indigenza, nella più assoluta e tacita connivenza di
ogni organo di informazione e di tutte le componenti politiche.
Anzi, sollevare la questione suonerebbe
come un caso di lesa maestà nei confronti di un personaggio incensato
dalla casta con disgustoso e acritico conformismo. Frutto dell’arrogante
intangibilità di una classe politica che si perpetua e si autocelebra
ipocritamente. E’ sufficiente fermarsi alla sintesi dell’intervista
rilasciata dal presidente della Repubblica, in prima pagina sul Corriere
della Sera del 18 settembre, nella quale Mattarella per incensare
Ciampi rilegge in modo truffaldino alcuni tragici trascorsi della storia
repubblicana, per smascherare tutte le falsità di questa casta di nuovi
farisei, sacerdoti di una finta religione democratica che da 71 anni
profitta del Paese.
“CIAMPI TECNICO E POLITICO CI SALVO’” è
il titolo di questo articolo favolistico nel quale Mattarella, nel
tratteggiare la figura del presidente emerito, parla della sua
“autorevolezza” e della sua “serenità di valutazione” che “salvarono il
Paese dalla bancarotta” assicurando una “transizione pacifica verso
nuovi assetti”.
I nuovi assetti, di cui parla
Mattarella, furono quelli dell’aggancio alla moneta unica: un risultato,
ottenuto col cambio a 1936,27, che ai tedeschi servì per finanziare la
riunificazione e che negli anni ci è costato moltissimo.
Ma già precedentemente Ciampi aveva avuto modo di influire pesantemente sugli assetti politico economici del Paese.
Nato a Livorno nel 1920, Ciampi cominciò
a 24 anni il suo impegno politico, quando da ufficiale del Regio
esercito, in rotta dopo l’otto settembre, si rifiutò di aderire alla
repubblica di Salò e, approfittando di una licenza, si diede alla
macchia. Questo atto “eroico” gli valse dei preziosi meriti partigiani
che in questa Repubblica fanno sempre curriculum. E che la tempra fosse
quella dell’eroe Ciampi lo dimostrò anche anni dopo, in occasione di una
visita all’U.I.C. (Ufficio Italiano dei Cambi) nella sua veste di
Governatore della Banca d’Italia, allorchè contestato da un gruppetto di
sindacalisti e impiegati si squagliò tremebondo da un’uscita di
servizio. Comunque sia, entrato non a caso nel Partito d’azione, dopo la
guerra vinse un concorso alla Banca d’Italia, aderì alla CGIL e,
sebbene fosse laureato in lettere e privo di ogni nozione di economia,
in trent’anni scalò tutte le posizioni. Diventò Governatore nel 1979,
nel momento più critico: l’istituto infatti era stato appena sconvolto
dal caso Sindona e dall’arresto di Paolo Baffi.
All’epoca, com’è noto, gli italiani
amavano investire nel mattone e assicurarsi una casa rifuggendo dunque
la speculazione finanziaria, fatta eccezione per i tradizionali BOT e
BTP, strumento di risparmio, ma questo desiderio di concretezza della
popolazione non coincideva con quello delle élite finanziarie avvezze a
vivere di rendita.
Da qui la ricerca un modo con cui
dragare ricchezza prodotta dal popolo e dall’economia reale verso la
finanza speculativa che vive parassitariamente ed è diretta da uno
sparuto gruppo di apolidi.
Fino ad allora, la Banca d’Italia era un
organo tecnico direttamente dipendente e controllato dal Tesoro dello
Stato e nel suo operato doveva sottostare a determinate decisioni
politiche.
Il ministro del Tesoro Andreatta decise
di conferire alla banca di emissione il più totale controllo
sull’offerta di moneta, liberandola dall’obbligo di sottoscrivere i
titoli del debito pubblico (con cui si teneva sotto controllo il
disavanzo) per rafforzare il potere d’acquisto del denaro stesso da
parte dell’emittente e dunque il potere in mano al sistema bancario.
Verosimilmente, su tali questioni, le posizioni del dott. Baffi non erano gradite.
Esattamente nel Marzo del 1979
un’indagine della Procura di Roma, che si verificherà poi infondata,
travolse la dirigenza Bankitalia di allora: il direttore Mario
Sarcinelli varcò le porte del carcere, mentre al Governatore dott. Paolo
Baffi, venne risparmiata l’umiliazione del carcere solo in
considerazione della sua età.
Entrambi gli imputati furono prosciolti
nel 1981. Giusto il tempo necessario per attuare la separazione tra
Banca d’Italia e Tesoro disposta dal tesoriere Nino Andreatta, che ha
portato l’Italia alla perdita della ricchezza reale attraverso
l’intermediazione bancaria nel frattempo divenuta di proprietà straniera
in attuazione di un processo di vendita di ampie quote azionarie sul
mercato, che aveva portato in particolare alla privatizzazione del
Credito italiano, della Banca Commerciale Italiana, dell’Istituto
Mobiliare Italiano, della Banca di Roma, della Banca Nazionale del
Lavoro e dell’Istituto San Paolo.
L'attule presidente-fantoccio dell'Italietta, per conto dell'elite affarista internazionale con il criminale Beniamino Andreatta.
Il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia,
causò il raddoppio del nostro rapporto debito/pil in soli dieci anni,
strappandoci la sovranità monetaria e ponendo l’Italia su un piano di
inferiorità rispetto ai mercati finanziari. Da allora non siamo più un
vero Stato, avendo perso uno dei suoi attributi fondanti, la moneta.
Le redini dell’istituto centrale
passarono dunque ad Azeglio Ciampi, decisamente più accomodante e con
lui la decisione di Beniamino Andreatta fu accolta in un attimo e il
divorzio divenne effettivo. Con un semplice scambio epistolare tra
Ciampi ed Andreatta, la nostra Banca fu dispensata dall’obbligo di
sostenere la spesa pubblica nazionale, saltando il Parlamento affinché
non vi fosse alcun dibattito e gli interessi contrari non potessero
coalizzarsi.
Poco tempo dopo, nel 1992 Ciampi, ormai
Governatore di Bankitalia, dilapidò 48 miliardi di dollari in una
assurda difesa della lira, che era sotto attacco da parte di Soros.
Soros aveva alle spalle i Rothschild, che dal 1989 avevano aperto a
Milano la Rothschild Italia SpA, il cui direttore, Robert Katz, era
diventato direttore del Quantum Fund di Soros proprio alla vigilia
dell’attacco. Il venerato maestro Ciampi, che sapeva come stavano le
cose, avrebbe dovuto rinunciare fin dall’inizio alla sua difesa,
salvando i 48 miliardi di dollari. Invece la fece ad oltranza: cosa che
costò ai contribuenti italiani 60 mila miliardi di lire (due o tre
stangate alla Prodi) che in parte (almeno 15 mila miliardi di lire)
finirono nelle tasche di Soros. E cosa ancora più grave, Ciampi
prosciugò quasi totalmente le riserve in valuta di Bankitalia. Così,
quando alla fine la lira fu svalutata del 30% – come i Rothschild e le
banche d’affari USA volevano, per poter comprare a prezzi stracciati le
imprese dell’IRI – non c’erano più soldi per la difesa della italianità
di quelle imprese. La svendita era stata accuratamente preparata da
Giuliano Amato che, appena diventato capo del governo, aveva trasformato
gli enti statali in società per azioni, in vista delle privatizzazioni,
in modo che le oligarchie finanziarie estere potessero controllarle
diventandone azioniste, e poi rilevarle per il classico boccone di pane.
L'altro criminale e traditore della nostra nazione Giuliano Amato
Il piano era stato probabilmente
elaborato nella famosa riunione sul Britannia del giugno ‘92, panfilo
della regina d’Inghilterra, su cui era salito Mario Draghi, allora
funzionario del Tesoro. La cosa fu così sporca che Ciampi una volta
prosciugate le riserve, offrì le sue dimissioni. Ci fu anche
un’inchiesta. Nel ‘96 la Guardia di Finanza indagò se “influenti
italiani abbiano operato illegalmente dietro banche e speculatori”,
ricavando un guadagno accodandosi a Soros nella speculazione contro la
lira. Secondo Il Mondo del dicembre ‘96, la “lobby a favore di Soros”,
secondo gli inquirenti, comprendeva Prodi, Enrico Cuccia (capo di
Mediobanca per la Lazard) Guido Rossi, Isidoro Albertini, Luciano
Benetton, Carlo Caracciolo, Carlo De Benedetti.
Naturalmente, le procure insabbiarono. Gli indagati erano tutti padri della patria, venerati maestri, riserve della Repubblica.
Nell’agosto 1993, il governo Amato,
approvò una legge che stravolse radicalmente il criterio prudenziale
della specializzazione temporale e istituzionale, ovvero della
distinzione tra attività bancaria a breve (aziende di credito ordinario)
e attività bancaria a medio-lungo termine (istituti di credito) che era
stato introdotto con la riforma bancaria del 1936, su iniziativa di
Alberto Beneduce e Donato Menichella.
La banca, con la nuova riforma, poté
esercitare attività di raccolta di risparmio, attività d’esercizio del
credito e ogni altra attività finanziaria, compresa quella sui valori
derivati (swaps, options, futures), tesa al conseguimento di un reddito
di gestione. Fu consentito alla nuova generazione di banche “universali”
di raccogliere risparmio senza limiti di durata, utilizzando ogni tipo
di strumento, comprese le obbligazioni, e di poter erogare prestiti
senza alcuna limitazione tecnica o temporale e senza vincoli. Si
confermò la possibilità di assunzione di partecipazioni anche
industriali e di detenere il controllo delle Società di intermediazione
mobiliare, oltre a svolgere le stesse attività finanziare operate dalle
Sim.
Con ciò, la casta politica mondialista e
antinazionale operò un passo decisivo verso la totale
finanziarizzazione dell’economia, la rapina del risparmio, lo
strangolamento delle imprese e l’ulteriore indebitamento dello Stato.
Nel 1993, dopo lo sfacelo del governo
Amato, Scalfaro scelse Ciampi per Palazzo Chigi. Il suo governo tecnico
durò un anno e riuscì a dare una sistematina ai conti pubblici. Alle
elezioni del 1994 Silvio Berlusconi diventò premier e Ciampi se ne andò a
fare il vicepresidente della Banca dei regolamenti internazionali.
Venne richiamato al governo due anni più tardi da Romano Prodi, che gli
affidò Tesoro, Bilancio e Finanze, accorpati in un unico superministero
dell’Economia. Con Prodi, come ministro del Tesoro, Ciampi, grazie
all’eurotassa e a un trucco contabile operato con una fittizia
compravendita tra B.I. e U.I.C. delle riserve auree del Paese, riuscì ad
abbassare il deficit al di sotto della soglia massima consentita dal
Trattato di Maastricht e a traghettare l’Italia nell’euro. Ma con un
cambio decisamente malfatto.
Nel 1999, infine, Massimo D’Alema al suo
secondo mandato fece in tempo, appena 11 mesi prima d’essere giubilato,
a far eleggere a presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi, a
quel punto presentato facilmente come un uomo equilibrato ed
equidistante, dopo l’infame settennato di Oscar Luigi Scalfaro, uno dei
peggiori presidenti mai avuti dal Paese.
In realtà, il settennato di Ciampi fu
del tutto scialbo, ma egli raggiunse tra la gente livelli di popolarità
mai visti dai tempi di Pertini riportando in auge alcuni valori diffusi
ingenuamente nel popolo: ripristinò la parata del due giugno e pretese
che la nazionale di calcio cantasse l’Inno di Mameli, fece restaurare il
Vittoriano e rese omaggio alla sacralità della bandiera. Ma lo fece a
suo modo, con un algido senso della legalità repubblicana privo di ogni
slancio comunitario e con riferimenti a una tradizione patriottarda di
stampo massonico risorgimentale, ricca di ampollosa retorica ma avulsa
da ogni slancio lontanamente improntato a uno spirito nazionale
identitario ed eroico.
In sostanza, la vicenda di Ciampi si
inquadra nella consuetudine tutta italiana di quei governi “tecnici”
affidati a personaggi che sembrano apparire dal nulla nei momenti
difficili della storia nazionale, che operano con disinvoltura e
freddezza chirurgica per eseguire compiti nel campo politico ed
economico e poi lasciare la scena tra applausi dei grandi media,
beatificazioni dei leccatori professionisti di regime e assunzione tra i
padri della patria antifascista. Il tutto per scoprire, dopo qualche
tempo, che queste “risorse del Paese” (mai passate per le urne) hanno
letteralmente saccheggiato un popolo di ogni risorsa, sovranità, dignità
e libertà. Gente come Amato, Draghi, Andreatta, Dini, Maccanico,
Barucci, Mario Monti e naturalmente, il venerato e ora compiantissimo
Ciampi. Compiantissimo però, è bene precisare, da tipi come Roberto
Benigni. Il che è tutto dire.
Il pagliaccio dei sionisti e il clown della politica
Se gli italiani sono stupidi o resi stupidi, questo è il risultato...
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