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giovedì 10 dicembre 2015
Julius Evola, Il declino delle caste e la telecrazia
J. Evola in un capitolo de ‘Rivolta contro il mondo moderno’ affronta il problema del declino delle caste. Nell’evolversi sociale e storico individua quattro caste che si sono succedute al potere: casta spirituale, casta nobile-guerriera, casta mercantile o borghese, casta degli schiavi o uomo massa. Analizzando il loro evolversi e declino storico, tratteggia a grandi linee anche un profilo della storia umana e del suo significato.
In un lontano passato, che possiamo considerare prima della storia, in un oltre tempo mitico, c’era il mondo spirituale dove ogni azione che proveniva dall’essere non aveva nessuna causa materiale tantomeno scopo pratico. Da questo empireo si è passati, ‘decaduti’, alla casta nobile guerriera, la quale ha fatto migrare l’umanità dal tempo mitico al tempo profano, alla storia che conosciamo.
Anche questa seconda casta fu destinata a soccombere in seguito a rivolte sociali; si affermò una nuova casta: la classe borghese o mercantile: il Capitalismo. Evola, citando Marx, inserisce questa fase borghese nell’ebraizzazione dell’umanità: poiché ciò che guida in questa fase è il concetto di merce, di denaro, che governa ogni cosa. Decade lo spirituale che viene sostituito, in tutti gli aspetti della vita e della conoscenza, dal materialismo. Ma agli inizi del ‘900 anche questa terza casta è crollata sotto la spinta degli schiavi, i proletari, il Comunismo. Nel lento declino delle caste anche l’umanità è scesa filosoficamente sempre più in basso, dallo spirituale al materiale, poiché l’uomo sia nella fase borghese, sia dell’uomo-massa, riconosce come realtà ultima solo il mondo dei sensi. Evola accomuna, negli scopi ultimi, il Capitalismo e il Comunismo, che considera ambedue società di massa. Infatti, nei due sistemi sociali tutto l’uomo è rivolto al lavoro. E il lavoro era disprezzato dalla società nobile-guerriera.
Evola profetizza che in una nuova evoluzione delle società di massa si giungerà al lavoro senza profitto, al lavoro gioco: è il lavoro stesso che diventa il suo stesso fine. Nella nostra fase attuale, la società dei consumi, epigono del Capitalismo, è l’oggetto (merce) prodotto dall’apparato produttivo che governa il soggetto (persona) che compra il prodotto. Non si compra un prodotto per una reale utilità, ma solo per il reiterarsi coatto della produzione dello stesso oggetto nelle sue varianti che rendono obsoleto il precedente e che rendono coercitivo il comprare da parte del soggetto. Soggetto-persona che in tal modo diventa una variabile del prodotto, un accessorio della produzione.
E così svanisce il concetto di persona, di essere. Al suo posto si afferma l’uomo massa, l’uomo robot. Il ‘compratore’ è costretto a lavorare solo per comprare l’oggetto. Il lavoro, quindi, diventa privo di un fine, e troviamo proprio nello sport, incentivato dalle società industriali e portato al parossismo dalle società consumistiche, il concetto di ‘lavoro’ privo di scopo: l’azione del corpo nello sport non ha più un fine, ma è lo stesso sport privo di finalità lo scopo dell’azione del soggetto. Di contro il selvaggio, dove la sua azione nel mondo, e il movimento necessario del corpo a compierla, ha uno scopo: la caccia o la guerra. Anche nella società nobile guerriera l’esercizio fisico serviva per la guerra. Invece, ora, la ‘palestra’ vuole solo che il corpo sia in perfetta forma, solo per essere ‘guardato’, solo apparenza. E così si aggiunge all’azione priva di scopo dello sport, il concetto di ‘guardare’: se nelle società arcaiche e classiche la rappresentazione teatrale era lo specchio o la celebrazione delle azioni dell’uomo, ora con la società dello spettacolo, l’uomo è diventato solo un occhio che osserva. L’azione si svolge nella rappresentazione, fuori dell’azione del soggetto.
Ambedue queste coercizioni hanno come scopo finale la creazione dell’uomo robot, privato dello spirituale, puramente materiale. La società del consumo fa giungere la società capitalistica al punto culminante del suo percorso: filosoficamente riduce l’uomo al puro orizzonte materiale. Ciò potrà essere compiuto solo riducendo l’uomo a una macchina. Allora le forze dell’inconscio materiale, della bruta materia, riprenderanno il sopravvento. A questa fase Evola dà un nome: era demoniaca. L’uomo non ha più un centro spirituale, un’anima, il suo spirito è sostituito, è un posseduto da forze materiche. Le forze più basse, la caotica materia, l’inconscio, riprendono il sopravvento per condurre l’umanità al suo stato animale, di ritorno alla natura, dove non c’è consapevolezza, dove tutto è indistinto in un’anima universale.
Adesso il Potere è stato preso da ‘macchina’ informe e totalitaria, che ben materializza l’inconscio materiale indistinto e collettivo: la telecrazia.
Il mondo dell’azione è stato sostituito dalla sua rappresentazione. Non esiste più un Potere come nella società nobile guerriera o nella società borghese. La politica è solo un’apparenza con tutta la sua struttura burocratica e di rappresentanza. I burattini della politica non dirigono più nulla né hanno potere decisionale, ma sono solo delle maschere che il vero Potere Economico usa sugli schermi televisivi per ottenere dal ‘popolo’ il consenso. Ma questa nuova forma di controllo mentale è più accurata di tutte quelle usate fino all’avvento del tubo catodico: religione, ideologia, cinema, stampa, morale, sono nulla al confronto di una ‘macchina’ che può ipnotizzare con le sue ‘onde’ la mente stessa dell’individuo ridotto a puro occhio guardante.
Lo schermo televisivo inglobando ogni forma dell’essere e dell’esistente, dal lavoro al divertimento alla cultura, ha raggiunto, o si sta approssimando, all’Era demoniaca profetizzata da Evola.
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