Lucky
Luciano era un boss mafioso che stava scontando una condanna a
trent'anni per racket nel carcere di Dannemosa, negli Stati Uniti, allo
scoppio della seconda guerra mondiale. A quanto pare, il governo
americano gli offrì la libertà purché contribuisse a creare un
efficiente movimento di resistenza in Sicilia poco prima dell'invasione
dell'isola [...] Vi sono molte leggende a proposito del modo in cui
Luciano entrò in contatto con il nuovo 'capo di tutti i capi', don
Calogero Vizzini, che viveva nella natia Villalba. Sembra comunque che
Vizzini si lasciasse indurre a schierarsi con gli Alleati e ad
assicurare loro la collaborazione della mafia. Con l'aiuto di Genco Russo di Mussomeli, un altro importante capo mafioso, poté garantire l'intera Sicilia occidentale alle forze americane, contribuendo a facilitare la fulminea avanzata di Patton verso Palermo. Non esistono prove concrete che confermino o confutino queste affermazioni.
Vi sono state persino commissioni d'inchiesta del Senato che non hanno concluso nulla, e secondo i sostenitori della teoria della cospirazione questo serve a dimostrare la potenza della mafia. Il fatto che Lucky Luciano venisse rimesso in libertà sulla parola nel 1946 per l'ampio e prezioso aiuto dato alla marina durante la guerra e si trasferisse in Italia, sembra dar ragione a quanti credono che gli Stati Uniti fossero scesi a patti con la mafia [...] Molti mafiosi, rilasciati dal carcere quando le loro città furono liberate dagli Alleati, poterono spacciarsi per prigionieri politici antifascisti. Le autorità fasciste furono estromesse e il loro posto fu preso da noti esponenti della mafia. Per esempio, gli americani insediarono Vizzini come sindaco di Villalba e lo nominarono colonnello onorario! [...] Il risultato non dà adito a dubbi. Pochi giorni dopo gli sbarchi alleati la mafia aveva ricostruito la sua rete e in breve tempo fu in grado di controllare un fiorente mercato nero che all'inizio trafficava in vini locali, viveri e materiali militari. (da 'La guerra inutile', pag.46-47) |
||||
|
||||
Gli Alleati erano accolti a braccia aperte nelle città italiane, se non altro perché il loro arrivo significava la fine delle sofferenze, delle bombe e dei cannoneggiamenti. Molto presto, però, l'entusiasmo si guastava, non appena la popolazione locale cominciava a subire saccheggi sistematici, invariabilmente a opera della seconda ondata e delle formazioni di retroguardia (dato che i combattenti di prima linea avevano meno occasioni di fare altrettanto). Le vittime non ottenevano molta comprensione da parte delle autorità militari, che trattavano gli italiani come una popolazione assoggettata con la forza e, in assenza di ogni sanzione, i saccheggi e gli abusi erano piuttosto diffusi. (da 'La guerra inutile', pag.232) | ||||
Le forze britanniche furono attaccate anche dalla popolazione locale. I commando subirono perdite a causa del tiro dei cecchini che cessarono solo quando il tenente colonnello John Dinford Slater radunò la popolazione maschile e minacciò per rappresaglia un'esecuzione di massa. Più tardi scrisse che il suo intervento li aveva fatti tornare a casa con una mentalità più disposta alla cooperazione. Ciò può dare l'idea di quanto fosse vera la teoria che voleva gli Alleati accolti come liberatori. (da 'La guerra inutile', pag.241) | ||||
I MASSACRI E GLI STUPRI AD OPERA DELLE TRUPPE BARBARICHE ANGLO-AMERICANE
|
||||
Nella valle dell'Itro, mentre la resistenza tedesca diventava più frammentaria e irregolare, i goums commisero terribili atrocità. Donne e bambine, adolescenti e bambini, furono violentati per la strada e molti di loro morirono. Gli uomini che tentavano di intervenire furono uccisi. La popolazione italiana accusò i goums, i marocchini, ma le atrocità furono commesse da tutte le forze coloniali francesi [...] Si diceva che sodomizzassero i prigionieri e castrassero gli ufficiali catturati [...] A Esperia i goums si scatenarono e gli ufficiali non riuscirono a controllarli. Donne di ogni età, bambini e giovani furono violentati, e il paese venne saccheggiato [...] In un villaggio presso Pico un battaglione del 351 fanteria americano arrivò nella piazza principale mentre i marocchini violentavano donne, giovani e bambini. Infuriati, i soldati americani avanzarono per salvare le vittime, ma il comandante della compagnia intervenne e dichiarò che erano li per combattere contro i tedeschi, non contro i goums. Un tenente americano che conosceva un po' il francese trovò un capitano che beveva vino all'osteria; quello alzò le spalle di fronte alla reazione indignata dell'americano e gli chiese se voleva ascoltare qualcuna delle atrocità commesse dalle truppe americane contro le donne arabe in Algeria. (da 'La guerra inutile', pag.374) |
||||
Subito dopo le prime battaglie,i Goumier (le truppe marocchine) al seguito dell’esercito anglo-americano, non perdettero tempo, iniziando a devastare il territorio: razzie, saccheggi, furti, violenze e sequestri delle donne siciliane, considerate vera e propria “preda di guerra”. I primi episodi si verificarono sulla statale Licata-Gela, per arrivare fino a Capizzi dove, come scrive lo storico Fabrizio Carloni, gli africani praticarono stupri di massa: “le consideravano bottino di guerra e le portavano via sghignazzando e trattandole con un linguaggio da trivio, come se fossero delle prostitute”. L’ondata di terrore, purtroppo, era solo all’inizio. In breve tempo avrebbe colpito l’intero Meridione.
Truppe marocchine In Italia durante la 2 guerra mondiale
|
||||
Lo scrittore Norman Lewis, all’epoca
ufficiale britannico sul fronte di Montecassino, narrò gli eventi di cui
fu testimone nel suo libro “Napoli ‘44”:
“Tutte le donne di Patrica, Pofi,
Isoletta, Supino, e Morolo sono state violentate. A Lenola il 21 maggio
hanno stuprato cinquanta donne, e siccome non ce n’erano abbastanza per
tutti hanno violentato anche i bambini e i vecchi. I Marocchini di
solito aggrediscono le donne in due – uno ha un rapporto normale, mentre
l’altro la sodomizza”.
A Marradi, la notizia si diffuse come un incendio. Gli Alleati erano vicinissimi, nella valle: la liberazione doveva essere questione di ore. L'annuncio ispirò paura, non gioia. Gli abitanti avevano saputo dai partigiani che la loro cittadina si trovava sul percorso delle truppe indiane, e tutti sapevano cos'erano gli indiani. Tutti avevano parenti più a sud. I liberatori indiani erano come le truppe coloniali francesi: stupravano, saccheggiavano e uccidevano. (da 'La guerra inutile', pag.423) |
||||
Non tutti gli italiani erano entusiasti di venire chiamati alle armi da un governo screditato. E non volevano neppure combattere per gli Alleati, che occupavano il loro paese provocando tanta frustrazione e tanta rabbia. In Sicilia la reazione a una chiamata alle armi nel dicembre 1944 provocò violenti disordini [...] Separatisti e comunisti fecero causa comune e fino a metà gennaio disordini imperversarono in tutta l'isola. (da 'La guerra inutile', pag.452-453) | ||||
Perciò i numeri indicano che gli Alleati, in nome della liberazione, uccisero più italiani di quanti ne abbiano uccisi i tedeschi. (da 'La guerra inutile', pag.492) | ||||
Non ci misi molto ad accorgermi, per esempio, che gli inglesi non potevano sopportare i partigiani. Se ne erano serviti e ora li disprezzavano. Il tenente del controspionaggio di Sondrio li definiva, senza tanti complimenti, carne venduta. Quando poi il discorso cadeva sui partigiani comunisti, allora si infuriava davvero. Diceva che, se fosse dipeso da lui, li avrebbe schiaffati tutti in galera al nostro posto; li accusava di avere nascosto ingenti quantitativi di armi in vista di una prossima rivoluzione bolscevica. (da 'La generazione che non si é arresa', pag.151) | ||||
Nulla sapendo di quanto i vivi e i morti avevano sofferto, gli Inglesi e gli Americani entrarono in Roma come nella capitale di un nemico sconfitto. L'elettricità era scarsa; si disse perciò: No Electricity for Italians! (Niente elettricità per gli Italiani). Questo stato di cose durò per tutto l'inverno, mentre le innumerevoli sale da ballo, gli alberghi e le case requisite - la requisizione era fatta con un preavviso di tre ore, come si usa nei paesi nemici occupati militarmente - erano inondati di luce elettrica a tutte le ore del giorno. (da 'Una vita per l'Italia', pag.195) | ||||
Tra le operazioni di guerra, il generale francese Alphonse Juin fece stampare in arabo volantini, da distribuire alle sue truppe, su cui era scritto: 'Miei cari soldati, oltre quei monti c'è una terra grande, ricca di donne, di vino e di case. Se riuscirete ad arrivarci, tutto sarà vostro, per cinquanta ore'. 'Elettrizzati dall'ignobile volantino, i marocchini superarono i Monti Aurunci e il 14 maggio sbucarono a Esperia di fronte a Montecassino, a cento chilometri da Roma'. I tedeschi si ritirarono. 'I marocchini dilagarono per tutti i centri abitati della zona e fecero quel che pochi sanno, che per pudore si è taciuto, e i libri di storia non riportano. Avuta via libera da Juin, dal 17 a 25 maggio stuprarono migliaia di bambine, donne e vecchie che li avevano accolti come liberatori'. (da 'J.V.Borghese e la X MAS', pag.94) | ||||
[...] seguiamo la testimonianza giurata del capitano di vascello Agostino Calosi resa nel corso del processo contro Borghese. 'Come capo dell'ufficio informazioni della Marina del Sud, feci passare le linee a molte persone con incarichi militari; al Borghese, però, inviai degli emissari di mia iniziativa e senza il consenso degli anglo-americani, i quali, per questo fatto, minacciarono di rinchiudermi in un campo di concentramento. Gli anglo-americani solevano far passare le linee ad elementi di estrema sinistra o comunisti, talché io mi vidi costretto a far figurare i miei uomini come militanti o simpatizzanti dei partiti di sinistra al fine di poterli inviare al Nord. Da tale situazione di fatto deriva la logica conseguenza che la lotta partigiana è stata provocata e accesa da elementi interessati al fine di inviperire vieppiù la guerra fratricida tra italiani e italiani'. (da 'J.V.Borghese e la X MAS', pag.130-131) | ||||
La ricchezza di dati e le esatte osservazioni dell'OSS erano il prodotto della collaborazione tra i servizi segreti statunitensi e la Mafia italo-americana, un episodio contingente che peserà irrimediabilmente sul futuro della vita italiana e, per alcuni settori, come la droga, dei paesi del blocco occidentale. (da 'In nome della resa', pag.264) | ||||
|
||||
Quando all'inizio del 1943 si delineò il piano di sbarco in Sicilia, gli americani si preoccuparono di preparare alle loro truppe nell'isola un terreno favorevole, un'atmosfera amichevole,
una popolazione che li accogliesse da liberatori. Inoltre necessitava
loro qualcuno che sapesse prendere in pugno la situazione e assumesse
cariche pubbliche una volta consolidata l'occuparne. Il problema fu
affidato a Lucky Luciano che, come si vedrà, lo risolse da par suo,
ricevendone in cambio una pubblica dichiarazione di revisione del
processo e, a guerra finita, la libertà. (da 'In nome della resa', pag.267) |
||||
Anche nel 1943 essa fece un buon lavoro. Dopo il sì agli agenti
americani, Lucky Luciano, a gennaio, aveva messo in movimento il
feudatario di Villalba, Don Calogero Vizzini. 'Don Calò' in breve tempo
divenne il tramite principale tra politica, separatismo siciliano e
clero. Nipote di due vescovi e con due fratelli preti, nonostante fosse
implicato in 51 omicidi, accolto con grandi onori in tutte le case
nobiliari, gli era stato facile far avere a Lucky Luciano non soltanto
una lista di 850 persone 'sicure', ma anche organizzare le azioni di
sabotaggio che ebbero luogo nel Palermitano e nel Trapanese, cioè nelle
zone
più mafiose dell'isola, e culminanti con l'attacco l'aeroporto di
Gerbini, sede della caccia tedesca. Come fa notare Franco Bandini, tre
settimane prima dello sbarco alleato, inoltre, un gruppo di circa
duecento uomini era stato sbarcato in uniforme con l'incarico di
attentare alle spalle dei capisaldi italiani al momento dell'inizio
delle operazioni. Furono questi uomini che eliminarono il giorno dell'invasione una buona parte delle sentinelle e distrussero i centri di comunicazione, di illuminazione e di direzione del tiro sulle coste interessate. Furono ancora essi, parlando un siciliano purissimo, a guidare per le stradine più comode e sicure, verso l'interno, le colonne americane che avevano preso terra. (da 'In nome della resa', pag.277) |
||||
sbarco delle truppe inglesi
|
||||
In Sicilia, comunque, c'erano due suoi luogotenenti: Vito Genovese,
la cui fede fascista si era squagliata col calare delle fortune del
regime e Albert Anastasia, in divisa nelle file dei 'liberatori'. A
Palermo gli americani non accontentarono i sogni separatistici ed
installarono nel capoluogo una loro amministrazione militare, la AMGOT
(creata il 17 luglio), ponendovi a capo Charles Poletti, colonnello dei
servizi informativi, oriundo italiano, più o meno legato agli ambienti
mafiosi che ricevette per giunta entro la fine dell'anno una laurea ad
honorem dall'Università di Palermo. Damiano Lumia, nipote di Don
Calogero Vizzini,
divenne membro dell'AMGOT e Vito Genovese l'interprete ufficiale. Vizzini stesso assunse la carica di sindaco di Villalba; Genco Russo, sua mano destra, quella di sindaco di Mussomeli e altri loro amici andarono ad amministrare 62 dei 76 comuni della provincia di Palermo. […] II giorno dopo la caduta di Palermo, il 23 luglio, la 82a divisione Airborne prese Trapani, assolutamente senza perdite, visto che né il contrammiraglio Giuseppe Manfredi, comandante della piazza, né la 208a divisione costiera (generale Giovanni Marciani) opposero la benché minima resistenza, ammesso poi che quest'ultima esistesse ancora, visto che spesso interi reparti costieri si dissolsero, raggiungendo volontariamente i campi di prigionia americani! (da 'In nome della resa', pag.278) |
||||
Lo stesso 23 luglio gli americani raggiunsero Termini Imerese e il
24 Nicosia. Sempre il 24 luglio i britannici si impadronirono
definitivamente di Leonforte e nell'occasione dei soldati canadesi
liquidarono degli inservienti tedeschi di una batteria, dopo che questi
si erano arresi. […] Durante le operazioni in Sicilia, anche la 45a divisione di fanteria statunitense si macchiò, per colpa di alcuni suoi elementi, di gravi crimini di guerra. Alexander Clifford, corrispondente britannico, afferma, infatti, di aver visto un soldato di questa divisione falciare con una mitragliatrice pesante, all'aeroporto di Comiso, un camion carico di prigionieri tedeschi (ne rimasero in vita solo due o tre) e poi un gruppo di altri 60 prigionieri, stavolta italiani. Clark Lee, corrispondente americano, afferma che il 14 luglio, presso Gela, il sergente Berry West uccise 36 prigionieri e lo stesso giorno, presso Butera, il capitano Jerry Compton ne uccise altri 43. (da 'In nome della resa', pag.279) |
||||
Sotto questo timore e in considerazione del fatto che, scaduto il
teatro di guerra italiano a fronte secondario, un movimento armato nella
Penisola era divenuto militarmente inutile, essi ridussero gli aiuti,
li sospesero alle formazioni a loro meno gradite e, successivamente,
provvidero a cautelarsi contro tutto il movimento. Il 13 novembre 1944, Alexander emanò allo scopo un proclama a tutti i partigiani, invitandoli a ridurre la loro attività alle sole azioni di sabotaggio ed a cercare nascondigli e rifugi per l'inverno, in attesa della ripresa dell'offensiva generale in primavera. A questa specie di 'congedo', il 7 dicembre, gli Alleati fecero seguire un provvedimento più rilevante. Convocati a Roma quattro delegati del Comitato di Liberazione dell'Alta Italia (CLNAI), imposero loro la stipulazione di un accordo col quale venne stabilito: 1. Il Comando Supremo alleato desidera che fra gli elementi che svolgono la loro attività nel movimento di resistenza, si stabilisca e si mantenga la più stretta cooperazione militare... 2. Durante l'occupazione nemica il Comando Generale dei Volontari della Libertà (CVL) dovrà eseguire tutte le istruzioni date dal Comando Supremo alleato... 3. Il comandante militare del CVL deve essere un ufficiale accettato dal comando alleato. 4. Quando il nemico si ritirerà dai territori occupati, il CLNAI farà ogni sforzo per mantenere l'ordine e la legge e per continuare a salvaguardare le risorse economiche del paese, in attesa che si costituisca il Governo Militare Alleato (AMG). Il CLNAI si impegna a riconoscere il Governo Militare Alleato ed a trasmettergli tutti i poteri di governo locale ed amministrativi di cui abbia disposto in precedenza. Al momento della ritirata nemica, tutti i membri del CVL passeranno alle dirette dipendenze del comandante delle forze alleate: essi saranno tenuti ad eseguire tutti gli ordini che riceveranno, anche quello di consegnare le armi e di sciogliere le bande. Era in pratica l'accettazione della 'resa incondizionata' da parte del movimento partigiano. A questo Diktat, il 26 dicembre, ne segui un altro fra il CLNAI ed il governo italiano di Roma, nel quale era detto: 'II governo italiano riconosce il CLNAI quale organo dei partiti antifascisti sul territorio occupato dal nemico. Il governo italiano delega il CLNAI a rappresentarlo nella lotta che i patrioti hanno impegnato contro i fascisti ed i tedeschi nell'Italia ancora liberata. Il CLNAI accetta di agire a tal fine come delegato del governo italiano, il quale è riconosciuto dai governi alleati come successore del governo che ò le condizioni di armistizio ed è la sola autorità legittima in quella parte d'Italia è già stata o sarà in seguito restituita al governo italiano dal Governo Militare Alleato'. Gli impegni di Roma misero ordine nel disordine della guerriglia, ma, l'obbligando il CLNAI a riconoscere il governo regio, erede della dittatura badogliana, come il solo legittimo; lo slancio rivoluzionario che animava la lotta partigiana venne imbrigliato. Questo era lo scotto da pagare per non aver voluto, saputo o potuto fare della lotta partigiana un movimento nazional-rivoluzionario contro i nemici vecchi e nuovi (e non solo nuovi) e soprattutto contro i due governi loro vassalli (e non solo contro uno dei due). Poiché solo questa era la via per creare un'Italia 'nuova'. Quest'Italia, però, non sarebbe stata una democrazia, bensì una dittatura poliziesca e intollerante di tipo stalinista. Ma, per un paradosso, proprio Stalin, alleato di Londra e di Washington, lo impedì, poiché egli appoggiava, attraverso Palmiro Togliatti, il governo regio, uno dei due governi vassalli. E che Togliatti fosse contro la lotta partigiana, lo riferisce anche Giorgio Bocca. Leo Valiani afferma addirittura che il movimento partigiano gli 'rompesse le scatole' e che, per di più, il segretario del PCI considerasse i partigiani dei guastafeste. Anche Pietro Nenni lo conferma. È il caso perciò di dire che la scelta del nome di 'Garibaldi', il battistrada dei Carignano, si rivelò per i partigiani comunisti una scelta sintomatica e di cattivo augurio! (da 'In nome della resa', pag.444-445) |
||||
Indubbiamente gli Alleati non avevano fiducia nei nuovi cobelligeranti che, ancora due mesi prima, erano membri a tutti gli effetti del Patto Tripartito. Chi poteva loro garantire che le divisioni italiane, una volta impegnate al fronte, non avessero improvvisamente riconosciuto il governo di Gargnano, oppure non avessero 'mollato', com'era avvenuto a Sidi el-Barrani, o se la fossero squagliata, come in Sicilia? I loro dubbi non erano del tutto privi di fondamento e, soprattutto, non sbagliavano quando ritenevano che le forze armate italiane fossero demoralizzate. (da 'In nome della resa', pag.467) | ||||
L'importante compito svolto nella battaglia dalle truppe marocchine fu infangato dal loro bestiale comportamento nei confronti della popolazione di quelle contrade italiane. I goumiers erano infatti provetti guerrieri, ma anche rozzi montanari provenienti dalle catene montuose dell'Atlante, il cui aspetto primitivo e la cui mentalità retriva li avrebbero resi sgraditi anche ai marocchini di Casablanca o di Tangeri. Nei paesi italiani tolti ai tedeschi, i goumiers commisero tremende atrocità, seminando il terrore per due settimane. Essi saccheggiarono, violentarono ed uccisero senza pietà. Ad Ausonia e ad Esperia, i due villaggi più colpiti, le vìttime furono oltre cinquecento. Per queste loro azioni, il generale Mark W. Clark, malgrado l'opposizione del comandante del CEF, maresciallo Alphonse Juin, ne impose l'allontanamento, che ebbe luogo nei giorni 21-23 luglio. L'esperienza italiana non bastò comunque ai comandanti alleati, che reimpiegarono la 2a divisione marocchina nella Foresta Nera, con il risultato che a Freudenstadt, nell'aprile del 1945, si verificarono episodi analoghi a quelli accaduti da noi. (da 'In nome della resa', pag.490-491) | ||||
I vertici militari ormai si fidavano appieno dei mafiosi, dei loro metodi, dei loro complici. Gli Anastasia avevano sventato la minaccia di uno sciopero a oltranza sui moli che avrebbe danneggiato gli aiuti in partenza per la Gran Bretagna e l'Unione Sovietica. […] Ma nel tardo autunno del '42 Haffenden e i suoi colleghi non si ponevano simili interrogativi. Si chiedevano piuttosto se Luciano, Costello, Lansky, Adonis e la loro combriccola non potessero apportare lo stesso aiuto nella nuova missione: l'invasione della Sicilia. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.68) | ||||
Il bacino cui rivolgersi sono gli italiani d'America. Tra prima e seconda generazione assommano a sei milioni, ma la cospicua maggioranza di essi è ancora legata al fascismo, all'idea di uno Stato forte e rispettato diffusa da Mussolini nel decennio precedente. Gli unici che ritengono, invece, di avere un conto da chiudere sono i siciliani costretti dal regime a lasciare la propria terra. E alle loro porte che bussano gli uomini dell'OSS. Propongono l'ingaggio, accompagnato dalla promessa di un congruo stipendio, a quanti non abbiano ancora in Sicilia i genitori. I soldi sono tanti: 250 dollari a settimana, più una diaria giornaliera di 10. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.74) | ||||
Il 16 dicembre, nel corso di una sofferta riunione del gabinetto di
guerra, Churchill giunge alla conclusione che l'invasione della Francia
ipotizzata dagli americani andrà spostata di un anno e che il 1943 sarà
l'anno dell'invasione dell'Italia e che essa avverrà in Sicilia. Perché
l'Italia? Perché gli inglesi sono ormai convinti che Vittorio Emanuele
per far cadere il fascismo ha bisogno di uno sbarco nemico sulla
penisola. Perché in Sicilia? Perché gli indipendentisti, cioè i nobili e i grandi proprietari terrieri, sono già all'opera per preparare il terreno. Fra l'Italia e i suoi nemici si è stabilito un filo diretto. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.92-93) |
||||
Le autorità statunitensi puntarono forte su questa carta e stabilirono che bisognava creare un buon rapporto con quanti fossero in grado d'influenzare l'opinione pubblica. Rivolgersi ai mafiosi d'America divenne un passo quasi obbligato. Loro erano stati perseguitati dal fascismo, loro avevano dovuto abbandonare la Sicilia, da loro sarebbe venuto l'aiuto necessario per un felice esito dello sbarco. […] Attraverso la catena mafiosa vennero allacciati contatti con quanti erano rientrati nell'isola poco prima della guerra: molti di essi avevano conti in sospeso con la giustizia degli Stati Uniti, molti temevano che i genitori, i fratelli, le sorelle, i figli e le mogli rimasti negli USA potessero patire le conseguenze di un rifiuto. Vennero scovati italiani che non avevano mai chiesto la cittadinanza a o la cui domanda era stata respinta: fu promessa la regolarizzazione in cambio delle solite informazioni. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.103) | ||||
Al coinvolgimento di massa faceva da contraltare il reclutamento sotterraneo di personaggi che avevano conservato in Sicilia una ragnatela di contatti e amicizie. Ecco la testimonianza di Lansky dinanzi alla commissione Herlands, incaricata nel 1954 di far luce sulla commistione tra la marina e la mafia: 'Mi risultava dell'esistenza di certe persone fuggite dall'Italia a causa della loro appartenenza alla massoneria e, tra esse, di un tale che era stato sindaco di una delle maggiori città siciliane. I contatti con lui furono presi da quei signori che si recavano a visitare Charlie Luciano, i quali gli chiesero di prestare la propria opera. L'ex sindaco si dichiarò ben lieto e disposto reclutare anche altri'. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.104) | ||||
A compiere l'atto di clemenza non poteva che essere il governatore dello Stato di New York. Dal 1 gennaio era Thomas Dewey, colui che da procuratore aveva inchiodato Luciano e che ora si sentiva pronto per ben altri traguardi. […] Lucky si era detto dispostissimo, aveva indicato il golfo di Castellammare come il luogo adatto, garantiva di poter convincere parecchi compaesani ad appoggiare l'arrivo degli americani e di poter fornire in prima persona notizie utili sulle infrastrutture militari e sulle fortificazioni. […] Ma se Luciano non fu arruolato sul campo, molti altri lo furono. Nell'inverno del '43 cominciarono a essere inviati in Sicilia parecchi immigrati che avevano conservato la cittadinanza italiana. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.105-106) | ||||
Nell'inverno '43 la 'sezione Italia' dell'OSS mise le tende al Club des Pins di Algeri. Scamporino e Anfuso vi effettuarono veloci puntate dagli Stati Uniti lasciando a Corvo la responsabilità operativa. E il giovane Max in primavera cominciò a fare avanti e indietro dalla Sicilia con la sua squadra. All'inizio venivano sbarcati in prossimità delle coste dai sottomarini, che ormai scorrazzavano nel Mediterraneo, poi presero a salire sui pescherecci siciliani, si confondevano coi marinai, scendevano nei porticcioli, studiavano le insenature e le spiagge sulle quali si sarebbe iniziata l'invasione. I capitani e gli equipaggi che li accoglievano a bordo erano legatissimi a Cosa Nostra: prima della guerra avevano trasportato droga, latitanti, ragazze per i bordelli di Tripoli, Tunisi, Algeri, emigranti clandestini da stipare nelle bagnarole dal Marocco e dalla Tunisia verso gli USA. […] In tal modo, agli Amici e ai Bravi Ragazzi, gli Alleati si assicurarono un passaggio continuo e un incalcolabile patrimonio d'informazioni. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.109) | ||||
Veniva diffusa una propaganda sottile e inesauribile: s'infiltrava in ogni ganglio della società e la minava dall'interno. Le citta, i paesi, i villaggi sapevano che gli yankee sarebbero arrivati ed erano pronti a spalancare le porte e le braccia com'erano avvezzi a fare da secoli nell'accogliere i tanti invasori della Sicilia. Le famiglie consideravano la guerra già conclusa: l'aveva persa il fascismo, di conseguenza che fosse esso ed esso soltanto a pagarne le conseguenze. Le madri raccomandavano ai figli costretti a servire nelle divisioni del regio esercito di non rischiare la vita, buttare il fucile e di alzare le mani non appena il primo americano si fosse profilato all'orizzonte. E i militari siciliani costituivano il 75 per cento delle truppe adibite alla difesa permanente della costa (cinque divisioni, due brigate, un reggimento) e di due delle quattro divisioni di fanteria (Napoli e Aosta). (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.110-111) | ||||
[…] molto più semplice e veloce fu il tragitto del colonnello inglese Hancock, inviato in Sicilia per definire gli obiettivi militari assegnati al gruppo di Canepa e per stringere gli ultimi accordi con i rappresentanti del movimento indipendentista. Il 16 aprile Hancock fu depositato da un sottomarino su una spiaggia vicino Gela, preso in consegna dai mafiosi e accompagnato nella villa dell'ex deputato Verderame, esponente di spicco del MIS. Da qui, sempre protetto da Cosa Nostra, Hancock fu trasferito a Palermo in un palazzo di via Mariano Stabile, dove aveva lo studio l'avvocato Antonio Ramirez. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.113) | ||||
Il buon esito delle missioni di Hancock e di Poletti persuase definitivamente i vertici militari anglo-americani che all'asse Mafia-Chiesa poteva essere assegnata la cogestione della Sicilia dopo l'invasione. Per la prima volta, infatti, gli Alleati si trovavano nella condizione di dover installare una nuova forma di governo su un territorio straniero. Era chiaro che essi avrebbero mantenuto il controllo civile e militare dell'isola, tuttavia per la soluzione dei problemi pratici, per la trasmissione degli ordini serviva un interlocutore locale. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.114) | ||||
Povero duce, non sapeva neppure un decimo. Ignorava ad esempio che
gli uomini dell'OSS razzolavano in ogni luogo. Il maggiore Francis
Toscano sovrintendeva ai lavori di fortificazione di Monte Lungo, vicino
Licata, zona cruciale per lo sbarco della 7a armata di Patton. L'11
luglio Toscano e quindici operai della sua squadra si mostreranno con la
divisa statunitense ai licatesi, con i quali per oltre un mese avevano
mangiato, bevuto e giocato a tressette. […] All'aeroporto militare di
Ponte Olivo faceva l'operaio il capitano Asquini. Era ritenuto una
persona affidabile e fu selezionato per il gruppo che collocò le mine
anticarro sulla spiaggia di Gela. A Rosolini l'11 luglio scopriranno
che l'ufficiale incaricato di sovrintendere all'amministrazione
civile, il tenente maltese James Asphar, era il popolare Gaspare. Nei
mesi precedenti tutti l'avevano visto girovagare con il carrettino di
frutta e verdura. Gaspare si esprimeva soltanto in dialetto, la sua
merce aveva prezzi invitanti, accettava sempre un bicchiere di vino ed
era disponibile ad ascoltare ogni discorso. Per vender i suoi prodotti
faceva il giro delle postazioni più isolate: spesso lo invitavano a
trattenersi. Così poteva dare un'occhiata ai bunker, ai camminamenti
sulla spiaggia, segnarsi i turni di guardia. Il tenente Asphar
racconterà ai conoscenti di Rosolini che teneva la ricetrasmittente
sotto le cassette
dei pomodori e delle melanzane. […] In un'intervista concessa nel 1959, Lucky Luciano svelò che nella primavera del '43 era stato ingaggiato un giovane laureato in legge di Patti, il ventitreenne Michele Sindona. Faceva l'impiegato presso l'ufficio imposte di Messina e rimpinguava il modesto stipendio con un redditizio commercio di agrumi. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.119-120) |
||||
Michele Sindona,più tardi reso noto alle cronache,per lo scandalo dello IOR,la banca del vaticano,e la sua appartenenza alla loggia p2. Nelle amicizie di Sindona rientrano uomini legati ai servizi segreti atlantici e agli ambienti mafiosi italo-americani. Oltre a Mc Caffery, il finanziere di Patti entra in contatto con John Mc Cone, allora ai vertici della Cia, e Willam Harvy, capo stazione della Cia a Rom.
|
||||
Titolo e Alfieri cercavano i siciliani indicati da zio Lucky. Erano
quelli rientrati fra il '40 e il '41 dagli Stati Uniti e avevano
ricevuto l'avviso di tenersi pronti. Da mesi raccoglievano notizie e le
riversarono, usando il non dimenticato broccolino, sui paisà
d'oltreoceano. Marsloe spiegherà alla commissione Herlands che l'apporto di quei mafiosi era stato prezioso.
[…] La mattinata fu infiocchettata dal colpo gobbo di Alfieri. Una settimana prima dell'invasione era giunta al quartier generale della marina statunitense a Tunisi un'indicazione precisa: una villa vicino Gela circondata da uno splendido parco è la sede segreta del comando navale italiano; i piani, i documenti, i codici stanno dentro la cassaforte nella stanza attigua allo studio dell'ammiraglio. L'incarico di prelevare quelle carte ritenute determinanti per il prosieguo dell'avanzata fu assegnato ad Alfieri, l'esperto di serrature e di combinazioni. E dai mafiosi rintracciati nei dintorni di Gela Alfieri si fece indicare l'esatta ubicazione della villa. […] con una carica di esplosivo fece saltare lo sportello. Cifrati, mappe, fascicoli con su scritto riservato, buste da aprire in caso di particolari ordini facevano bella mostra di sé. […] Secondo Marsloe i documenti recuperati da Alfieri contribuirono ad accelerare la resa dell'Italia. Manca una lista esatta della spesa, tuttavia pare che le carte non riguardassero soltanto la Sicilia, ma anche la dislocazione dell'aviazione tedesca nel Mediterraneo e gli ordini riservati per le divisioni della Wehrmacht nella penisola. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.204-205) |
||||
Gli statunitensi lamentarono parecchie perdite e s'invelenirono per l'inaspettata resistenza. Catturati 36 soldati italiani, alcuni dei quali in abiti civili, il capitano John Compton, comandante della compagnia C, ordinò di fucilarli immediatamente. Era soltanto l'inizio della mattanza ignorata per oltre mezzo secolo in Italia e ricostruita da Ezio Costanze in Sicilia 1943. Altri 48 prigionieri, 3 dei quali tedeschi, erano nelle mani della compagnia A. Il sergente Horace West doveva scortare 37 italiani nelle retrovie, affinché fossero interrogati, invece li fece schierare lungo un fosso, s'impossessò di un fucile mitragliatore Thompson e aprì il fuoco. Ne caddero 36, uno provò a fuggire e fu abbattuto da un caporale, dietro preciso ordine di West. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.236-237) | ||||
Talune foto, talune sequenze dei Combat-Film sono strazianti. Su un lato della strada colonne di prigionieri italiani assistono sbigottiti all'esultanza con cui vengono accolti i nemici contro i quali hanno combattuto fino a pochi minuti prima. L'incessante opera di proselitismo svolta dagli agenti del Naval Intelligence e della 'sezione Italia' dell'OSS dette da subito risultati eccellenti. Alfieri, Titolo, Corvo, Fiorilla ricevettero l'appoggio dei capibastone, dei latifondisti, della borghesia. Da questi contatti germinò l'idea di concedere un veloce ritorno a casa a tutti i soldati siciliani che avessero disertato o si fossero arresi. Quelli dell'OSS ne parlarono a Bradley. Il freddo Omar colse al volo i tanti aspetti positivi del progetto. Gli americani avevano già 22.000 prigionieri italiani e non sapevano che cosa farne e dove metterli. Un quarto di questi erano locali, Bradley disse ai suoi che il miglior impiego sarebbe stato di mandarli a raccogliere il grano, la frutta, l'uva, le olive in modo da non far pesare integralmente sull'intendenza USA il compito di sfamare la popolazione. Così, all'insaputa dello stesso Patton, prese il via l'operazione che avrebbe alla fine liberato quasi 35.000 soldati siciliani e che accelerò lo sfaldamento delle divisioni di Guzzoni. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.240) | ||||
In quelle lande desolate i mafiosi assunsero il compito che era stato delle guide indiane nella colonizzazione del selvaggio West. Aprivano la strada in tutti i sensi. Nei centri del Vallone, a Villalba, Mussomeli, a Valledolmo, a Vallelunga, a Montedoro i reparti dell'esercito consegnarono le armi direttamente nelle mani dei boss. La campagna d'arruolamento dell'OSS procedette spedita. Corvo e Scamporino avevano in pochissimi giorni ricreato e spedito in mare i pescherecci. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.243) | ||||
Dal molo della città partì una squadra della 'sezione Italia'. I ragazzi di Scamporino e Corvo avevano una delicata missione da compiere. Liberare nell'isola di Favignana il centinaio di mafiosi che il regime aveva rinchiuso. Una delle tante operazioni sotterranee, su cui si è sempre preferito tacere. Probabilmente faceva parte del patto stipulato fra l'OSS, i Bravi Ragazzi di Luciano e la mafia siciliana. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.248) | ||||
Il 27 luglio era stato designato sindaco di Villalba Calogero
Vizzini: il tenente Beher del Civil Affair aveva dovuto scandire l'atto
di nomina a voce alta per venire incontro alla difficoltà del neo
sindaco con la lettura di vocali e consonanti. Don Calò raccontava agli
estimatori che nella lieta circostanza era anche avvenuto il suo
arruolamento nell'esercito USA con il grado di colonnello ad honorem. A
Vizzini e ai suoi Bravi Ragazzi era stato concesso il porto d'armi per
difendersi dai fascisti, che, poveracci, non li avevano infastiditi
neppure quando detenevano il potere. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.285) |
||||
|
||||
Giuseppe Genco Russo ebbe la sovrintendenza dell'ente comunale di
assistenza di Mussomeli. A Montedoro i rappresentanti dell'AMG si
presentarono dal medico condotto, Calogero Volpe, stupendosi di vederlo
pure d'estate con una coppola nera: sapevano che senza il suo assenso
era difficile persino che venisse impastato il pane. […] A Villabate
l'OSS arruolò Giuseppe Cottone jr, figlio del rispettato 'capofamiglia'
Giuseppe sr. Max Mugnaini, che tra le due guerre si era conquistato
la fama di principale trafficante internazionale di stupefacenti ed era
ricercato da una dozzina di polizie, ebbe in consegna il deposito dei
medicinali della 7a armata: la morfina andò letteralmente
a ruba. D'altronde su Palermo cominciava a gravitare Vito Genovese. Per la giustizia statunitense era un latitante con a carico un processo per omicidio e la possibile condanna alla sedia elettrica. Eppure entrò nella cerchia degli intimi di Poletti, lo arruolarono e gli misero indosso una divisa militare. (da 'Arrivano i nostri - 10 luglio 1943: gli Alleati sbarcano in Sicilia', pag.286) link:www.controstoria.it altri link: il fascismo annientò la mafia,la democrazia la riporto al potere la-profezia-di-mussulini la-guerra-alleata-contro-leuropa il-nuovo-ordine-mondiale-ebraico |
Pagine
▼
Vorrei fare una precisazione riguardo ai siciliani: la Sicilia come ogni parte dell'Italia ha avuto nei secoli la sventura di accogliere i profughi di guerra di ogni stato che stava nel mediteraneo i nei pressi. Questi profughi, venivano consolati dai loro capi con la frase: L'ESTATE PROSSIMA RITORNEREMO NELLA NOSTRA PATRIA"", quindi li' doveva erano stati accolti erano solo di passaggio, nel frattempo per ingannare il tempo davano una mano ai signorotti locali a riscuotere le tasse e ad educare alla docilita' gli autoctoni che provavano a far presente le loro difficolta'.
RispondiEliminaCosi' nacquero i famosi CAMPERI, gli uomini che difendevano con la lupara i possedimenti dei loro protettori.
A loro volta i signorotti erano altri ospiti che grazie alla generosita' della chiesa dopo che gli spagnoli li avevano defenestrati questi erano rientrati dalla porta, convertendosi e mantendo intatti i loro privileggi. Infatti per avere la prova inconfutabile di quello che dico basta guardare il degrado del paesaggio siciliano e la sparizione di ogni tradizione. Chi non ha amore per la propria terra non e' di quella terra. E' un alieno ed alienato.
SEPP
Le mafie sono da sempre create e gestite dalle élite per svolgere i compiti che loro in apparenza non potevano compiere. Che siano mercenari o altro non importa sono solo idioti al loro servizio, se si indaga in profondità vi è una stretta connesione con i servizi segreti che li proteggono e li sostengono altrimenti non avrebbero possibilità di esistere in altro modo, in poche parole l'elite ebraica ovunque vada ha creato mafie che fungono da manodopera e capro espiatorio, essi sono complementari ai loro scopi, un esempio su tutti la yakuza giapponese è stata creata dopo la seconda guerra mondiale per opera dei servizi americani che operano per conto degli ebrei, prima del loro arrivo non esistevano, lo stesso vale per le altre, e lo stesso discorso vale per il tuo commento chi erano i signorotti locali in Sicilia? Erano sempre collegati con lor signori, nella Spagna l'infiltrazione ebraica è stata massiccia durante e dopo il medioevo, i sovrani e la nobiltà spagnola erano e sono tutti di origine ebraica, l'unica colpa dei siciliani è che non li impiccato ai pali insieme a chi li sostiene.
Elimina