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giovedì 16 ottobre 2014

Il significato degli archetipi,l'inconscio collettivo e la legge di sincronicità







Jung ha sempre parlato di dominanti dell’inconscio collettivo e di immagini primordiali. Con questi termini Jung intendeva indicare motivi tipici che si ripetono spesso nei miti, nelle leggende, nelle favole ma anche, a livello personale, nei sogni, nelle fantasie e nelle visioni (più tipiche dei deliri di soggetti gravemente ammalati).

Secondo Jung tutto ciò esprime un modo tipico e universale che governa il comportamento degli essere umani in ogni tempo e luogo.
In seguito Jung, per esprimere quanto sopra cominciò ad usare il termine archetipo (dal greco antico ὰρχέτυπος col significato di immagine: tipos (“modello”, “marchio”, “esemplare”) e arché (“originale”); in ambito filosofico, la forma preesistente e primitiva di un pensiero (ad esempio l’idea platonica); in psicoanalisi da Jung ed altri autori, per indicare le idee innate e predeterminate dell’inconscio umano.






 
 Carl Gustav Jung





In seguito Jung fece altre distinzioni distinguendo tra l’archetipo in sé (come idea non percepibile ma presente solo in potenza) e la rappresentazione archetipica (cioè la sua manifestazione espressa in materiale psichico cosciente divenuto immagine ...

Da qui, Jung definisce l’inconscio collettivo come una struttura psichica inconscia presente nella specie umana (quindi non personale ma, transpersonale) ove gli archetipi svolgerebbero la funzione di strutture operative. Queste strutture sono a supporto dell’intero apparato psichico che ‘suggeriscono’ al soggetto immagini e dinamismi. Queste modalità sono legate al contesto storico del soggetto e della società determinando i ‘valori’ che sono condivisi sul piano della coscienza collettiva.
Nel 1949 Jung sosteneva che “… con il termine di archetipo non si intende denotare una rappresentazione ereditata, ma certi cammini ereditati, ossia un modo ereditato di funzionamento psichico, dunque il modo innato in cui il pulcino esce dall’uovo, gli uccelli costruiscono il loro nido, un certo genere di vespe colpisce con il pungiglione il ganglio motore del bruco e le anguille trovano la loro via verso le Bermude…. Questo aspetto dell’archetipo è quello biologico. Ma il quadro cambia completamente se viene osservato dall’interno, ossia nell’ambito della psiche soggettiva. Qui l’archetipo si mostra come numinoso, vale a dire come un’esperienza di fondamentale importanza”.



cos’è il simbolo?




Il simbolo, per Jung, non è un il ‘segno’ di un impulso rimosso, non è il ‘sintomo’ di un conflitto, ma il ‘mezzo’ con cui l’energia psichica viene trasformata in ‘progetti di esistenza’; rivela il ‘non ancora’, il ‘possibile’ implicito nell’esistenza e connesso alla struttura specifica dell’uomo.

L’archetipo, quindi, attraverso il simbolo agisce come mediatore tra la coscienza e l’inconscio e come trasformatore dell’energia psichica.
Un’altra possibile analogia la troviamo con la fantasia, che sarebbe il rappresentante psichico dell’istinto. Infatti ogni impulso, bisogno, reazione istintiva, verrebbe prima sperimentato come fantasia inconscia. 
La fantasia quindi sarebbe il legame che unisce l’inconscio con l’Io, il mezzo con cui l’uno si trasforma nell’altro.

In conclusione Jung ritiene che la coscienza può pretendere solo una posizione relativamente centrale e deve tollerare il fatto che la componente inconscia dell’intero apparato psichico la trascenda e la circondi da tutti i lati. Inoltre sarebbe condizionata in avanti, da intuizioni che sono regolate dagli archetipi.

Jung inoltre sostiene che la psiche può essere considerata come un sistema che si autoregola. Gli archetipi (poi ne vedremo alcuni) condizionano lo sviluppo dell’uomo la cui caratteristica è la vita simbolica e la creatività culturale. Gli archetipi quindi sono, o meglio agiscono come regolatori che entrano in azione tutte le volte che si verifica uno scompenso psichico.
  




Inoltre l’archetipo si manifesta non solo con noi stessi ma anche nelle dinamiche interpersonali. In particolare nell’analisi sono noti i fenomeni di transfert e controtransfert con la quale diviene possibile fornire una chiave interpretativa dei fenomeni relazionali.
Per concludere, Jung intuì l’esistenza di una realtà che va oltre il tempo e lo spazio ipotizzando una realtà transpsichica le cui caratteristiche sono la relativizzazione, il dissolvimento del tempo e dello spazio e la perdita della validità generale della legge di casualità. L’archetipo agirebbe come ordinatore di avvenimenti che non hanno tra loro un collegamento causale ma soltanto una connessione di significato. Tutto questo ambito di riflessioni hanno portato Jung a definire il concetto di sincronicità. che sarebbe una legge che unisce cose simili.

 
 
 
 
 

La sincronicità

Sincronicità è un termine introdotto dallo psicologo Carl Gustav Jung nel 1950 per descrivere la contemporaneità di due eventi connessi in maniera a-causale. Coincidenza di due o più eventi atemporali, quindi non sincroni, legati da un rapporto di analogo contenuto significativo. 
 I fenomeni denominati “coincidenze significative” hanno affascinato Jung da sempre. Jung distingue la sincronicità dal “sincronismo” (eventi che accadono simultaneamente, cioè nello stesso tempo, es: ballerini che fanno lo stesso passo con la stessa cadenza simultanemaente, due orologi che segnano lo stesso orario, metronomo e musica che seguono lo stesso ritmo etc.) che sono eventi che accadono senza alcuna connessione di significato, sia causale che casuale, perché sono azioni di pura contemporaneità temporale.






La sincronicità invece è basata su altri postulati che, nella vita di tutti i giorni, si traducono come: pensare a una persona e poco dopo ricevere una telefonata che ne porta notizie; nominare un numero e vedere passare una macchina con lo stesso numero impresso sulla carrozzeria; leggere una frase che ci colpisce e poco dopo sentircela ripetere da un’altra persona etc.; che talvolta danno la netta impressione d’essere accadimenti precognitivi legati a una sorta di chiaroveggenza interiore, come se questi segnali fossero disseminati ad arte sul nostro percorso quotidiano per “comunicare qualcosa che riguarda solo noi stessi e il nostro colloquio interiore”. Una sorta di risposta esterna, affermativa o negativa, oggettivamente impersonale e simbolicamente rappresentata.

In analogia alla causalità che agisce in direzione della progressione del tempo e mette in connessione due fenomeni che accadono nello stesso spazio in tempi diversi, viene ipotizzata l’esistenza di un principio che mette in connessione due fenomeni che accadono nello stesso tempo ma in spazi diversi. Praticamente viene ipotizzato che al fianco del logico svolgimento di un atto conforme al principio in cui in tempi diversi accadono avvenimenti provocati da una causa, ne esista un altro in cui accadono avvenimenti nello stesso tempo ma in due spazi diversi perché, essendo casuali, non sono direttamente provocati da un effetto, corrispondendo per cui perfettamente al principio di a-temporalità.
 
 
In un lavoro autobiografico Jung scrive:
 
 “La mia preoccupazione costante riguardo la psicologia dei processi incoscienti mi ha obbligato a cercare, da affiancare alla causalità, un altro principio da spiegare, in quanto a volte il principio della causalità mi sembrava insufficiente per spiegare certi fenomeni sorprendenti della psicologia dell’inconscio. Trovavo così fenomeni psicologici paralleli che non potevano essere legati in modo causale gli uni agli altri; ma, oltre la causalità essi potevano essere legati tra di essi in modo diverso, attraverso un altro svolgimento degli eventi. Questa connessione tra gli eventi sembrava, essenzialmente, essere data dalla loro relativa simultaneità da cui il termine “sincronistico”. Sembra davvero che il tempo, lontano dall’essere un’astrazione, sia un continuum energetico concreto. Esso include determinate qualità o condizioni fondamentali che si manifestano simultaneamente in luoghi diversi con un parallelismo che non può essere spiegato dal principio della causalità”.
 
 
 Sottolineando una definizione del termine scelto da lui in questo caso, Jung stesso scrive:
 
 
 “Utilizzo quindi il concetto generale di sincronicità nel senso specifico di corrispondenza tra due o più eventi senza una relazione causale, e che hanno lo stesso contenuto significativo o un senso simile; e faccio questo attraverso un’opposizione alla nozione di sincronismo che indica soltanto il semplice fatto della simultaneità di due fenomeni”.
 
 
 
 
 In pratica possiamo distinguere tre tipi principali di sincronicità:

1. La coincidenza profondamente significativa tra lo stato psico-mentale di una persona e uno o più eventi esteriori, obiettivi, che hanno luogo simultaneamente.
 

2. La coincidenza profondamente significativa tra lo stato psico-mentale di una persona e uno o più eventi esteriori , obiettivi, che si trovano fuori dal campo di percezione di questa o che sono lontani nel tempo e quindi non possono essere conosciuti e verificati se non dopo che l’evento rispettivo si sia prodotto.
 

3. La coincidenza profondamente significativa tra uno o più avvenimenti che sono vissuti da una persona e uno o più eventi esteriori, obiettivi, che si manifestano allo stesso tempo (simultaneamente) o dopo un periodo di tempo molto breve.
(…) Una delle citazioni utilizzate spesso da Jung sulla sincronicità è tratta da “Alice nel Paese delle Meraviglie ” di Lewis Carroll, dove la Regina dice ad Alice: “È una memoria ben misera quella che ricorda solo ciò che è già avvenuto.”
Solo un osservatore capace di ricordare il futuro sarebbe in grado di comprendere immediatamente e spiegare il Principio della Sincronicità.
 
 Vi siete mai svegliati con la sensazione di aver vissuto qualcosa di “reale” o avete mai vissuto qualche evento che aveva il sapore di un sogno, tanto da non essere poi cosi certi che fosse realtà?
Passato, presente e  futuro – dimensione interiore ed esteriore – non possono essere rigidamente incasellati in qualcosa di assoluto ma, al contrario,  si possono considerare relativi: assumono quindi il significato che gli attribuiamo in base al nostro stato psichico.
Collegamenti apparentemente casuali tra avvenimenti, persone e luoghi che invece, in una diversa chiave di lettura, si rivelano incredibilmente significativi  come “indicatori di direzione“ del nostro cammino evolutivo. Questi segni sono sotto gli occhi di tutti, ma non è da tutti coglierne attinenze e significati.

Il linguaggio che parla questa realtà parallela è fatto di simboli: può essere divertente, il più delle volte ha a che fare con la sfera che per eccellenza  più sollecita il nostro emisfero destro: quella dei sentimenti. Sono stati fatti numerosi parallelismi tra il modo che il principio della sincronicità ha di manifestarsi e la  modo di funzionare del nostro emisfero destro. Quest’ultimo, sede delle emozioni e del nostro vero sè, si servirebbe della sincronicità come un vero e proprio modo di comunicare con la parte razionale del nostro cervello (il suo inseparabile compagno, l’emisfero sinistro), sede del raziocinio e capace di trasferire emozioni e sensazioni nel mondo esterno.

Come un cavallo selvaggio, non provate ad “addomesticare” questo modo di interpretare eventi e persone perchè potrebbe ritorcervisi contro con risvolti anche pericolosi. Questo spazza via il concetto ormai sorpassato della causalità classica per lasciare il posto ad una visione di più ampio respiro, dove il confine tra noi ed il mondo esterno, nonchè tra mente e materia, finisce per assottigliarsi.

Ci ritroviamo immersi in una  infinita ragnatela di collegamenti che rende la nostra vita, le persone che ci sono intorno e i nostri stati mentali, nella più ampia accezione, una “cascata” di flussi energetici: se riusciamo a lasciarci trasportare da essa, rimarremo sorpresi di scoprirci veleggiare tranquilli verso l’isola dei nostri sogni.




L’isola dove ci aspetta un livello di vibrazione superiore, dove la soddisfazione egoica lascia il posto ad aspirazioni più profonde ed il linea con la nostra evoluzione. È interessante correlare questo dualismo causalità-sincronicità alle tradizioni culturali Occidentale ed Orientale: la prima affida le proprie aspettative ad un atteggiamento pragmatico e materialista mentre la seconda si lascia andare alla trasmissione intuitiva della conoscenza tra persone simili e non ad acquisizioni mnemoniche ed intellettuali.

Da qui nasce la concezione olistica di scienze e discipline quali astrologia, metafisica e mistica che assecondano la magia degli eventi che rendono significativa la nostra vita, superando in questo modo la frammentazione nel comprendere che tipica della mente razionale.

Carl Jung, a questo proposito, accostò il concetto di sincronicità a quello dell’alchimia medievale, ponendosi l’ambizioso obiettivo di trovare anche nella cultura occidentale la comprensione attraverso la vita e non attraverso la scienza. Ciò per evitare una sterile imitazione dello stile orientale fatta da noi occidentali che ci priva del vero senso della nostra antica cultura.





In questo contesto rientra la teoria medievale della correspondentia di Ippocrate:
 
 ”Un unico confluire, un unico cospirare (conflatio), sentendo tutto insieme. Tutto in rapporto alla totalità, ma in rapporto alla parte le parti (presenti) in ogni parte con intenzione all’effetto. Il grande principio va fino alla parte estrema, dalla parte estrema al grande principio: un’unica natura, l’Essere e il Non-Essere. Ma il principio universale si trova anche nella più piccola parte, la quale perciò coincide con il tutto”.
 
In altre parole ciò che accade in alto è strettamente correlato a ciò che accade in basso e non esistono barriere tra le varie discipline ma tante tessere dell’unico mosaico del vivere.  Se riusciamo a inforcare gli occhiali della sincronicità, il mondo diventa davvero come vedere un film in 3D, effetti speciali e mille sorprese sono dietro l’angolo, e come nel film Vanilla Sky, potremmo sorprenderci a vivere sotto un cielo color vaniglia con la colonna sonora dei Beatles che risuona intorno in uno stato di “veglia paradossale”.
 
 
 
 

3 commenti:

  1. Nella mia capoccia c'è un bel po di confusione , ma non me ne dolgo , in parte è normale . ma l'imperioso San Michele chi sarebbe Odino ? Perchè Odino ha un corvo - che lo capisco non significa solo malaugurio - e un occhio bendato ?Se ho capito bene in Germania sarebbe Wotan ? Faccio bene a pregare il soccorso di san Michele contro le spire del Drago infernale e le sue milizie ? in il Maestro e Margherita di Bulgakov si usa un nome simile a Wotan , cioè Woland , ma qui indica.......si insomma , ci siamo capiti , che ha ispirato Salman Rushdie e definito da Montale '' un miracolo che ognuno deve salutare con commozione ''.

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    1. Sono archetipi,Odino o wotan è una forma pensiero archetipale,poi divenuta egregore,sono forme simboliche che risaltano l'inconscio e risvegliano il se interiore,se usate nella giusta maniera,lo stesso la figura del San Michele che schiaccia il serpente,rappresenta il trionfo del se superiore,colui che ha domato la bestia interiore,tramite l'introspezione interiore continua, riesce a controllare i propri istinti,questo uno dei simbolismi del San michele che vince sulla bestia,comunque sia wotan che San Michele sono simboli solari,legati al sole,il sole spirituale,l'elevarsi l'illuminazione,spero che sono stato chiaro.

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  2. Si lo so che sono simbolici , ma il problema è che per san michele si intende comunemente un angelo guerriero e per Wotan un dio guerriero di un popolo guerriero , quindi si bisogna distinguere la rappresentazione simbolica- alchemica , che parla allo spirito , dalla sfera religiosa in cui si inquadrano , e infatti San Michele è simile a San Giorgio VVedebdo come vengono udati- abusati questi nomi ancora oggi in ordini cavallereschi e religiosi fa un po deprimere

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